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La guerra terroristica di Israele

(26 Gennaio 2009)

L’attuale guerra nella striscia di Gaza è il frutto marcio di un complotto internazionale ordito dai sionisti di Tel Aviv e dai loro soci in affari di Washington (con la tacita, inconsapevole o meno, complicità dell’Unione Europea) ai danni non tanto di Hamas, bensì della causa palestinese. L’accordo che aveva condotto alla nascita del governo di unità nazionale non ha sanato la violenta contrapposizione tra le fazioni di Hamas e Al Fatah, anzi. Un scontro intestino giunto all'estremo di una guerra civile in piena regola. Il 15 giugno 2008, dopo aspri e sanguinosi combattimenti, Hamas conquistava il controllo della striscia di Gaza facendo piazza pulita dei dirigenti corrotti di Al Fatah. La reazione del presidente Abu Mazen che sostituiva il legittimo governo di Hamas con un esecutivo di emergenza senza la ratifica parlamentare, rappresentò un vero e proprio golpe avallato da USA, UE e Israele. I quali appoggiano i dirigenti di Al Fatah per indebolire e boicottare il governo di Hamas. Questo atto di sabotaggio fu solo l’ennesimo episodio di una complessa trama di oscure manovre tese ad ostacolare e far fallire l’azione del governo palestinese guidato da Hamas. Lo stesso presidente dell’Autorità palestinese ha partecipato a tali manovre. Una prova in tal senso è stata la designazione da parte di Abu Mazen di Mohamed Dahlan (il famigerato uomo forte dei servizi di sicurezza palestinesi) a vice-presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale, l’organo addetto alla supervisione dei servizi segreti palestinesi, che agivano indipendentemente dalle direttive del governo e, non a caso, collaboravano con i servizi segreti sionisti. Le invisibili manovre tramate contro il legittimo governo palestinese erano state denunciate persino dall'ONU il 5 maggio scorso. Dalle prime schermaglie tra le milizie di Hamas e Al Fatah agli inizi dello scorso anno si è rapidamente passati allo scontro frontale nella prima settimana di giugno. Alle vittorie militari di Hamas il presidente Abu Mazen reagiva il 14 giugno dimissionando il governo di unità nazionale e annunciando la formazione di un esecutivo provvisorio di emergenza in attesa di nuove elezioni. Il 15 giugno scorso Abu Mazen annunciava la scelta di un nuovo primo ministro, Salam Fayyad, già a capo del ministero delle finanze nel governo di unità nazionale, un economista di formazione nordamericana ed ex funzionario della Banca Mondiale, assai vicino alla vecchia amministrazione Bush. Il golpe riceveva il benestare immediato del governo israeliano e, a ruota, di quello statunitense. L'esecutivo golpista prestava giuramento il 17 giugno a Ramallah in Cisgiordania.

Come si è giunti a questa tragica situazione?

Tutti potevano intuire sin dall’inizio che l’astio tra le formazioni palestinesi sarebbe presto degenerato in un conflitto aperto e frontale, per cui a taluni conveniva consegnare la Palestina in mano a due schieramenti che si sarebbero combattuti e indeboliti reciprocamente, a netto ed esclusivo vantaggio degli oppressori, ossia a beneficio dell’imperialismo sionista. I governi di Washington e Tel Aviv hanno lasciato fare perché la situazione era chiaramente a loro favore, nella misura in cui le dispute fratricide tra palestinesi e, nel contempo, rivali, avrebbero ulteriormente piegato una nazione già stremata da decenni di lotte contro Israele, senza alcuna necessità di intervenire direttamente. Israele ha proseguito indisturbata la sua opera di repressione e di eliminazione dei dissidenti, ha intensificato le rappresaglie terroristiche nella striscia di Gaza e negli altri territori, costruendo un colossale muro che in pratica cinge un immenso lager nel quale sono rinchiusi oltre un milione di abitanti. Per completare la sua opera Israele, con l’esplicito appoggio statunitense (e la tacita complicità dell’Unione Europea), ha intrapreso una feroce ed orribile guerra, non tanto contro Hamas, perpetrando lo sterminio indiscriminato di migliaia di civili innocenti, soprattutto donne e bambini. Una guerra terroristica, tesa a dividere ancor più la nazione palestinese per controllarla e soggiogarla più facilmente. Oggi, il rischio più serio ed inquietante per il popolo palestinese non è solo l’esaurimento della già misera ipotesi dello Stato-enclave previsto dalla Road Map, ma uno scenario ancor più raccapricciante in cui si profila la creazione di due entità palestinesi distinte e separate, ciascuna sostenuta dai propri sponsor internazionali. Inoltre, bisognerebbe ricordare alcune cifre che sono davvero impressionanti ed emblematiche in quanto indicano lo stato reale in cui versa la popolazione palestinese, cifre concernenti in particolare la disperata situazione di miseria materiale della gente che vive a Gaza. Secondo dati ufficiali forniti dalla Banca Mondiale, il 40% dei bambini della Striscia di Gaza soffre di malnutrizione, oltre il 70% degli abitanti giace sotto la soglia della povertà sopravvivendo a stento con meno di 2 dollari al giorno. Tali condizioni sono soprattutto la conseguenza dell’embargo economico imposto da Israele contro la popolazione di Gaza.

Democrazia e imperialismo

La guerra aperta tra le milizie di Hamas e quelle di Al Fatah ha radici profonde. La ragione principale è che da Oslo in poi Al Fath ha spinto sempre più verso un accordo negoziale con Israele sulla base dello slogan (tanto caro anche alla “sinistra radicale” di casa nostra) “due popoli due stati”. Il fallimento di questa strategia è fin troppo evidente. Ma chi ci ha rimesso e chi ci ha guadagnato? E’ facile rispondere. I Palestinesi non hanno ottenuto nulla, mentre i sionisti di Tel Aviv hanno consolidato le loro posizioni, espandendo i loro domini territoriali con nuovi e crescenti insediamenti coloniali, e relegando i Palestinesi Cisgiordani all’interno di un vero e proprio lager circoscritto da un gigantesco muro di cinta.

L’Occidente decanta sempre le virtù liberatorie della democrazia, ma quando un popolo decide di autodeterminarsi e di esprimersi liberamente e democraticamente, come è accaduto nel caso dei Palestinesi che hanno voluto la vittoria di Hamas, e il risultato elettorale non è gradito alle potenze occidentali, queste intraprendono una serie di manovre e di tentativi al fine di pregiudicarne e vanificarne ogni valore ed ogni fondamento di legalità. Alle ultime elezioni politiche la stragrande maggioranza della popolazione palestinese si è espressa a favore di Hamas, e non di Al Fatah. Non a caso, la vittoria elettorale di Hamas è stata sin dall’inizio rigettata ed ostacolata dai paladini della "democrazia" nel mondo, cioè gli Stati Uniti d’America. I quali possono indubbiamente vantare un assoluto primato e un’indiscutibile “superiorità morale” nel campo dei diritti civili e delle libertà democratiche (la pena capitale, vigente in numerosi Stati della Confederazione USA, è un nobile esempio della civiltà giuridica e politica nordamericana!), per cui hanno tutti le carte in regola per “esportare la democrazia” nel mondo (un po’ di ironia non guasta). A riguardo gli islamisti non hanno per nulla torto quando disprezzano ed accusano la cosiddetta “democrazia” di essere una “foglia di fico” utile per coprire le nefandezze del capitalismo, la natura autoritaria ed oppressiva, guerrafondaia e sanguinaria dell’imperialismo occidentale. D’altronde, i medesimi concetti sono formulati dai marxisti, benché in funzione comunista e sulla base di un’impostazione intellettuale ateistica e storico-materialistica. In particolare, Lenin e Rosa Luxemburg definivano la democrazia liberal-parlamentare e costituzionale come un “involucro protettivo” dentro il quale si riparano e si annidano la violenza e il fascismo della dittatura di classe della borghesia capitalista. La logica manichea che pretende di contrapporre la “democrazia” liberal-borghese alla “teocrazia” islamista è l’ennesima trappola ideologico-propagandistica escogitata dalle potenze imperialistiche per mistificare ed occultare la verità, per ingannare l’opinione pubblica internazionale, distraendola dai problemi concreti e dalle contraddizioni realmente esistenti in Medio Oriente, nel Golfo Persico e in altre aree del pianeta strategicamente importanti dal punto di vista geo-politico, economico e militare.

Dopo le ultime elezioni palestinesi vinte da Hamas, la comunità internazionale ha imposto un ignobile embargo al fine di ricattare i palestinesi e costringerli a pentirsi di aver votato per Hamas. E’ innegabile che Hamas sia un’organizzazione culturalmente retrograda e misoneista, politicamente reazionaria (diciamo pure islamico-fascista), certamente non progressista, ma è altrettanto ineccebile che Abu Mazen sia una pedina manovrata dagli USA e da Israele, che hanno appoggiato sia la gravissima decisione di Abu Mazen di sciogliere il legittimo governo guidato da Hamas, sia il golpe di Abu Mazen con il quale è stato formato un nuovo governo che non è minimamente rappresentativo del popolo palestinese, in quanto la decisione presidenziale viola apertamente la Costituzione palestinese, non avendo ricevuto la necessaria ratifica parlamentare.

Cui prodest?

Poniamoci una domanda solo apparentemente “sciocca e banale”, che sorge spontanea, almeno nella mente di chiunque sia provvisto di buon senso. Cui prodest? A chi giova la guerra nella striscia di Gaza? Certo non alla causa palestinese. Allora chi ne trae vantaggio? Hamas? Al Fatah? Oppure altre forze in gioco, vale a dire la potenza di Israele, braccio armato dell’imperialismo globale in Medio Oriente? Comunque, un risultato utile questa guerra lo ha già avuto, nella misura in cui ha rivelato al mondo la natura reale, terroristica e criminale, dello Stato di Israele.

Lucio Garofalo

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