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Né gli Stati Uniti, né Israele sono “campioni della pace autenticamente sinceri

(7 Febbraio 2009)

Barack Obama viene riconosciuto essere una persona di acuta intelligenza, uno studioso del diritto, molto attento alla scelta delle parole. Egli merita di essere preso seriamente in considerazione, sia quando parla, sia quando omette.
Particolarmente significativa la sua prima considerevole affermazione di politica estera, il 22 gennaio, resa al Dipartimento di Stato, quando ha presentato George Mitchell come suo inviato speciale per la pace in Medio Oriente.
Mitchell deve focalizzare la sua attenzione sul problema Israelo-Palestinese, sull’onda della recente invasione USA-Israeliana di Gaza.
Durante l’aggressione omicida Obama è rimasto in silenzio, a parte la banalità del dire che vi era solo un Presidente – un fatto che non gli imponeva il silenzio, anche su molte altre questioni.
Tuttavia, il suo ufficio stampa ripeteva la sua dichiarazione che “se i missili fossero caduti dove dormivano le mie due figlie, avrei fatto qualsiasi cosa per bloccare tutto questo.” Obama faceva riferimento ai bambini Israeliani, non alle centinaia di bambini Palestinesi che venivano massacrati dalle armi Statunitensi, in merito ai quali non poteva parlare, perché… vi era un solo Presidente.

Dal 22 gennaio l’unico Presidente è stato Barack Obama, e quindi poteva esprimersi in merito con tutta libertà – e tuttavia ha evitato di parlare dell’aggressione su Gaza, che, molto convenientemente, veniva arrestata sospensivamente, giusto proprio prima della sua assunzione dei pieni poteri.
Il discorso di Obama enfatizzava il suo impegno per una risoluzione pacifica. Egli lasciava nel vago i contorni specifici, eccezion fatta per un progetto particolare.
Obama affermava: “L’iniziativa di pace Araba contiene elementi costruttivi che possono aiutare a portare avanti questi sforzi. Ora è giunto il tempo per gli Stati Arabi di agire in base alla promessa di iniziative di appoggio al governo Palestinese, con Presidente Abbas e come Primo Ministro Fayyad, facendo passi verso la normalizzazione delle relazioni con Israele, ed opponendosi all’estremismo che minaccia tutti noi.”
Obama non sta direttamente falsificando la proposta della Lega Araba, ma è istruttivo il raggiro accuratamente formulato.

Infatti, la proposta di pace della Lega Araba fa appello alla normalizzazione delle relazioni con Israele – nel contesto – ripeto, nel contesto di un insediamento di due stati, nei termini degli accordi internazionali di vecchia data, che gli Stati Uniti ed Israele, nell’isolamento internazionale, hanno bloccato per più di 30 anni, e che ancora ostacolano.
Il nucleo del progetto della Lega Araba, come Obama e i suoi consiglieri sul Medio Oriente conoscono molto bene, invoca una pacifica risoluzione politica in questi termini, che sono ben noti, e ha individuato essere questa la sola base per una risoluzione pacifica, per la quale Obama professa essere impegnato.
L’omissione di questo fatto cruciale può difficilmente essere accidentale, ed indica con chiarezza che Obama non prevede scostamenti dalle usuali forme di rifiuto degli USA.
La sua raccomandazione agli Stati Arabi di agire sulla base di un corollario al loro progetto, mentre gli USA ignorano perfino l’esistenza del contenuto centrale della proposta, che è precondizione per il corollario, supera il cinismo.

Le azioni più significative che minano il processo di pace sono le azioni che avvengono giorno dopo giorno nei territori occupati, con l’appoggio Statunitense, tutte riconosciute essere criminali: quella di impadronirsi del controllo della terra e delle risorse ricche di valore e la costruzione di quelli che l’architetto responsabile del piano, Ariel Sharon, definiva come i “Bantustan” per i Palestinesi – una comparazione inadeguata, visto che i Bantustan consentivano condizioni vitali ben più dei frammenti di terra lasciati ai Palestinesi, secondo la concezione di Sharon, che ora ha visto la sua realizzazione.
Ma ancora gli USA ed Israele continuano a contrastare una soluzione in termini politici, e più di recente, nel dicembre 2008, gli Stati Uniti ed Israele (e poche isole del Pacifico) hanno votato contro una risoluzione dell’ONU che sosteneva “il diritto del popolo Palestinese all’auto-determinazione” (passata con 173 voti a favore e 5 contrari, con l’opposizione di USA-Israele che hanno addotto pretesti evasivi).
Obama non ha detto una parola sullo sviluppo degli insediamenti e delle infrastrutture nella West Bank, e sul complesso delle misure per il controllo dell’esistenza dei Palestinesi, designati a indebolire le prospettive per la costituzione pacifica di due Stati.
Il suo silenzio è una decisa confutazione delle sue fiorite espressioni oratorie su come “Io farò fronte ad un attivo impegno per ricercare due Stati che possano convivere uno accanto all’altro in pace e sicurezza.”
Nemmeno ha fatto menzione sull’uso Israeliano a Gaza di armamenti USA, in violazione non solo del diritto internazionale ma anche delle leggi Americane. E non ha parlato della spedizione da parte di Washington di nuovi sistemi d’arma proprio al culmine dell’attacco USA-Israeliano, fatto certamente non ignorato dai consiglieri di Obama per il Medio Oriente. Comunque, Obama è fermo nel dichiarare che il contrabbando di armi verso Gaza deve essere bloccato!
Egli approva l’accordo fra Condoleeza Rice e la ministro degli esteri di Israele Tzipi Livni che prevede che il valico di frontiera fra Egitto e Gaza rimanga chiuso – un rimarchevole esercizio di arroganza imperialista, come ha fatto osservare il Financial Times: “Quando si sono incontrate a Washington felicitandosi l’un l’altra, ad entrambe le alte dirigenti sembrava cosa ovvia il fatto di avere concluso un accordo riguardante un traffico illegale che avviene attraverso il confine di un altro paese, che non è il loro – in questo caso l’Egitto.” Il giorno dopo, un funzionario Egiziano definiva il memorandum di intesa come “da romanzo”.
Le obiezioni dell’Egitto venivano ignorate.

Ritornando alla dichiarazione di Obama sulla proposta “costruttiva” della Lega Araba, come indica l’enunciazione, Obama insiste per un rapporto ristretto con la parte politica Palestinese che è risultata sconfitta nelle elezioni del gennaio 2006, le uniche elezioni libere in tutto il mondo Arabo, alle quali gli Stati Uniti ed Israele hanno reagito, immediatamente e in modo manifesto, punendo con estrema durezza i Palestinesi per essersi opposti ai voleri dei “signori”.
Un dettaglio…di poco conto è che l’incarico di Abbas scadeva il 9 gennaio 2009, e che Fayyad era stato nominato senza la ratifica del parlamento Palestinese (molti dei Parlamentari erano stati rapiti e rinchiusi nelle carceri di Israele.)
Ha'aretz descrive Fayyad come “uno strano tipo fra gli uomini politici Palestinesi. Da un lato, egli è il politico Palestinese che riscuote la più alta considerazione in Israele e in Occidente; d’altro canto, non ha alcun potere elettorale sia a Gaza che nella West Bank”. Inoltre, l’articolo sottolinea “le strette relazioni con la dirigenza Israeliana” di Fayyad, in special modo la sua amicizia con un consigliere di Sharon, l’estremista Dov Weiglass. Sebbene privo del sostegno popolare, egli viene considerato competente ed onesto, cosa inconsueta nei settori politici appoggiati dagli Stati Uniti.
Obama insiste che i soli Abbas e Fayyad siano conformi ed adeguati al costante disprezzo Occidentale per la democrazia, a meno che questa sia sotto controllo dell’Occidente.
Obama ha fornito le solite motivazioni per cui si deve ignorare il governo legittimamente eletto e guidato da Hamas.
“Per essere un partito campione della pace autenticamente sincero”, così ha dichiarato Obama, “il Quartetto [USA, Unione Europea, Russia, ONU] si è espresso chiaramente che Hamas deve soddisfare pienamente alle seguenti condizioni: riconoscere il diritto di Israele ad esistere; rinunciare alla violenza; e rispettare gli accordi del passato.” Senza far menzione, come al solito, al fatto imbarazzante che gli USA e Israele respingono con fermezza tutte e tre le condizioni.
Nell’isolamento internazionale, loro precludono la formazione di due Stati, che preveda lo Stato Palestinese; naturalmente, loro non rinunciano alla violenza; e loro respingono la proposta fondamentale del Quartetto, la cosiddetta “road map”.
Israele formalmente ha accettato la “road map”, ma con 14 riserve che in realtà eliminano i suoi contenuti ( con il tacito consenso degli USA).
Questo è il grande merito di Jimmy Carter, quello di avere portato per la prima volta queste vicende, “Per la Palestina Pace, non Apartheid”, alla pubblica attenzione – e nel flusso delle comunicazioni di massa, l’unica volta.
Ne consegue, per ragionamento elementare, che nemmeno gli Stati Uniti, né Israele sono “campioni della pace autenticamente sinceri ”. Questo non può essere, e non esiste ancora nella lingua Inglese una espressione corrispondente.

Forse è ingiusto muovere critiche ad Obama per questa ulteriore prova di cinismo, dato che il cinismo è pressoché universale; Obama ha solo fornito un nuovo contributo con questo suo sventramento del nucleo costitutivo della proposta della Lega Araba.
Come quasi universali sono gli standard di riferimento ad Hamas: “una organizzazione terroristica, dedita alla distruzione di Israele (o forse di tutti gli Ebrei).”
Vengono omessi i fatti imbarazzanti che gli USA-Israele non solo si sono dedicati alla distruzione di ogni vitale Stato Palestinese, ma hanno rigidamente implementato questa politica. O che, a differenza di questi due Stati che sempre pongono veti ed ostacoli, Hamas ha richiesto la formazione di due Stati nei termini degli accordi internazionali: pubblicamente, ripetutamente, esplicitamente.
Obama ha iniziato le sue considerazioni, affermando: “Devo essere chiaro: l’America è impegnata nella sicurezza di Israele. E noi daremo sempre tutto il nostro sostegno al diritto di Israele di difendere se stesso contro minacce giustificate.”
Nulla ha dichiarato sul diritto dei Palestinesi a difendere se stessi contro minacce ben più estreme, come quelle messe in atto quotidianamente nei territori occupati, con l’appoggio degli USA.
Ma questo ancora rientra nella norma. Quindi, è normale l’enunciazione del principio che Israele ha il diritto di difendere se stesso. Questo è corretto, ma vacuo: questo vale per tutti. Ma nel contesto, la frase stereotipa è ben peggiore della vacuità: si tratta della più cinica disonestà.
Il problema non è se Israele ha il diritto di difendere se stesso, come lo è per ognuno, ma se ha il diritto di farlo sempre con la forza. Nessuno, compreso Obama, ritiene che gli Stati godano di un generale diritto di difendere se stessi con l’uso della forza: per prima cosa è necessario dimostrare che non esiste più alcuna possibilità di ricercare alternative di pace. E in questo caso, sicuramente ci sono.
Un’alternativa limitata potrebbe essere per Israele quella di attenersi, per esempio, ad un cessate-il-fuoco, cessate-il-fuoco che il leader politico di Hamas Khaled Mishal aveva proposto pochi giorni prima che Israele scatenasse la sua aggressione il 27 dicembre. Mishal aveva richiesto che venissero ristabiliti gli accordi del 2005. Questi accordi prevedevano la fine delle violenze ed un’apertura ininterrotta dei valichi di frontiera, attraverso i quali, con l’avallo di Israele, beni e persone potevano muoversi liberamente tra le due parti della Palestina occupata, la West Bank e la Striscia di Gaza. L’accordo veniva respinto dagli Stati Uniti e da Israele pochi mesi più tardi, dopo che le libere elezioni del gennaio 2006 avevano prodotto “la cattiva strada”.
L’alternativa più larga e più significativa dovrebbe essere per gli USA e Israele quella di abbandonare le loro posizioni di rifiuto estremo e di unirsi al resto del mondo – inclusi i paesi Arabi ed Hamas – in appoggio alla costruzione di due Stati, secondo gli accordi internazionali. Bisognerebbe sottolineare che negli ultimi 30 anni, in un precedente, era avvenuto uno scostamento dalle posizioni di rifiuto e di ostacolo, sostenute usualmente dagli USA-Israele: l’occasione si era presentata a Taba nel gennaio 2001, durante i negoziati che sembravano concludersi con una risoluzione pacifica, quando invece prematuramente Israele annullava tutto.
Quindi, per Obama non dovrebbe risultare tanto assurdo convenire con il resto del mondo, anche all’interno della cornice della politica Statunitense, se egli fosse veramente interessato a procedere in tal modo.
In breve, l’energica reiterazione di Obama sul diritto di Israele a difendere se stesso è un altro esercizio di cinica disonestà – sebbene, bisogna ammetterlo, da non ascrivere soltanto a lui, ma effettivamente universale.

La disonestà è particolarmente impressionante in questo caso, data l’occasione del conferimento a George Mitchell dell’incarico di inviato speciale per il Medio Oriente.
La missione più importante affidata a Mitchell era consistita nel suo ruolo guida per il conseguimento della pace nell’Irlanda del Nord. Questo incarico aveva l’obiettivo di porre fine al terrorismo dell’IRA e alle violenze Britanniche. Implicito era il riconoscimento che mentre la Gran Bretagna aveva il diritto a difendere se stessa dal terrorismo, non aveva però il diritto di farlo con la forza, visto che esisteva una alternativa di pace: il riconoscimento delle oggettive ingiustizie subite dalla comunità Cattolica Irlandese, che stavano alle radici del terrorismo dell’IRA.
Quando la Gran Bretagna si incamminò su questo assennato percorso, il terrorismo ebbe fine.
Le connessioni della missione di Mitchell rispetto alla questione Israelo-Palestinese sono talmente ovvie che non hanno alcuna necessità di essere spiegate nei dettagli. Ma ometterle è, per contro, una sorprendente indicazione dell’impegno da parte dell’amministrazione Obama alla consueta posizione di rifiuto e all’opposizione verso la pace, se non nei tradizionali termini estremistici.

Inoltre Obama ha elogiato la Giordania per il suo “ruolo costruttivo nell’addestramento delle forze di sicurezza Palestinesi e nel coltivare le sue relazioni con Israele” – in contrasto stridente con il rifiuto USA-Israeliano di trattare con il governo della Palestina, liberamente eletto, mentre vengono sottoposti ad una selvaggia punizione i Palestinesi per averlo eletto.
Effettivamente la Giordania si è affiancata agli Stati Uniti armando ed addestrando le forze di sicurezza Palestinesi, in modo che queste potessero sopprimere con violenza le manifestazioni di appoggio alle infelici vittime dell’aggressione USA-Israeliana contro Gaza, arrestando anche i sostenitori di Hamas e l’illustre giornalista Khaled Amayreh, mentre nel contempo venivano organizzate dimostrazioni in sostegno di Abbas e Fatah, nelle quali la maggior parte dei partecipanti “era costituita da dipendenti pubblici e da giovani studenti che avevano ricevuto l’ordine da parte dell’Autorità Palestinese di partecipare alle manifestazioni,” questo secondo il Jerusalem Post.
Il nostro modello di democrazia!
Obama ha reso un’ulteriore considerevole osservazione: “Come conseguenza di un durevole cessate-il-fuoco, i valichi di frontiera dovrebbero aprirsi per consentire il flusso degli aiuti e lo svolgersi di attività commerciali, con un opportuno regime di controlli…”
Naturalmente, non ha fatto menzione del fatto che, dopo le elezioni del gennaio 2006, gli USA-Israele hanno del tutto respinto un patto analogo, e che Israele non ha mai tenuto fede a simili accordi sulla gestione dei confini.
Quindi, non fare menzione di ciò costituisce già una qualche risposta alla dichiarazione di Israele che respinge l’accordo di cessate-il-fuoco, ed allora le prospettive di un cessate-il-fuoco “permanente” non sono favorevoli.

Come riportato nello stesso tempo dalla stampa, “il Ministro del Gabinetto Israeliano Binyamin Ben-Eliezer, che partecipa alle decisioni sulla sicurezza, ha dichiarato alla Radio delle Forze Armate che giovedì Israele avrebbe impedito la riapertura dei valichi di frontiera con Gaza, senza un accordo per la liberazione di [Gilad] Schalit” (AP, 22 gennaio); “Israele tiene chiusi i valichi di Gaza…Un ufficiale ha affermato che il governo ha progettato di usare il problema come arma di scambio per il rilascio di Gilad Shalit, il soldato Israeliano tenuto prigioniero dal gruppo Islamista dal 2006” (Financial Times, 23 gennaio); “All’inizio di questa settimana, la Ministro degli Esteri di Israele Tzipi Livni ha riferito che progressi per il rilascio del caporale Shalit sarebbero una precondizione per l’apertura dei valichi di confine, che sono stati generalmente chiusi da quando Hamas ha strappato nel 2007 il controllo di Gaza all’Autorità Palestinese insediata nella West Bank” (Christian Science Monitor, 23 gennaio); “Un funzionario di Israele ha dichiarato che sarebbero state imposte condizioni dure per una qualche abolizione del blocco, in stretto collegamento con la liberazione di Gilad Shalit” (FT, 23 gennaio); e tanti altri articoli.
In Occidente, la cattura di Shalit costituisce un problema importante, un’altra indicazione del carattere criminale di Hamas.
Qualsiasi cosa si possa pensare a riguardo, è incontrovertibile che la cattura di un soldato di un esercito aggressore non è paragonabile ad un crimine come il rapimento di civili, esattamente quello che le forze di Israele hanno messo in atto il giorno prima della cattura di Shalit, durante l’invasione della città di Gaza, rapendo due fratelli, quindi trasportandoli al di là del confine, dove sono scomparsi all’interno del complesso carcerario Israeliano. A differenza del caso molto meno grave di Shalit, non si è mai avuto notizia di questo crimine, che è stato regolarmente dimenticato, come è stata dimenticata la pratica consueta decennale di Israele di rapire civili in Libano o in acque internazionali e di spedirli nelle prigioni Israeliane, spesso tenuti per tanti anni come ostaggi. Ma la cattura di Shalit fa da interdizione al cessate-il-fuoco!

Il discorso di Obama al Dipartimento di Stato sul Medio Oriente continuava con “ la situazione in deterioramento in Afghanistan e in Pakistan... il fronte centrale nella nostra permanente lotta contro il terrorismo e l’estremismo.”
Poche ore più tardi, aerei Statunitensi attaccavano un remoto villaggio in Afghanistan, con l’intento di uccidere un comandante Talebano. “Gli anziani del villaggio, però, riferivano a funzionari provinciali che non vi erano Talebani nella zona, che il loro era un piccolo villaggio popolato principalmente da pastori. Secondo Hamididan Abdul Rahmzai, alla testa del consiglio provinciale, i morti erano stati 22, fra cui donne e bambini.”(LA Times, 24 gennaio).
Il primo messaggio inviato dal Presidente Afghano Karzai ad Obama dopo la sua elezione di novembre era un appello a mettere fine ai bombardamenti sui civili Afgani, reiterato poche ore prima che Obama prestasse giuramento. Questo veniva considerato tanto rilevante quanto la richiesta di Karzai per la messa a punto di un programma di partenza delle forze armate USA e degli altri stranieri. I ricchi e i potenti erano investiti di “grandi responsabilità”! Fra cui, come riportava il New York Times, vi è quella di “fornire la sicurezza” nel sud dell’Afghanistan, dove “la rivolta è di casa ed autosostentata.”
Tutto familiare. Già letto, ad esempio, sulla Prava negli anni Ottanta!

1 febbraio 2009

Articolo originale: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=listByAuthor&authorFirst=Noam&authorName=Chomsky Global Research Articles by Noam Chomsky
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

Noam Chomsky

Fonte

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