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    Viterbo: davvero Carlo Celestini è stato “sacrificato nelle foibe”?

    (7 Febbraio 2009)

    Sono passati quasi dieci anni esatti da quando l’amministrazione comunale di Viterbo ha dedicato la piazza (o largo) fuori porta Faul ai “martiri delle foibe istriane”, nella logica di contrassegnare le principali vie d’accesso al centro cittadino con intestazioni che non lascino alcun dubbio al forestiero circa l’orientamento politico e i propositi del Comune. Ai margini di questa piazza, una pleonastica targa di peperino aggiunge: “A perenne ricordo di migliaia di italiani sacrificati con la sola colpa di essere italiani”. Nel 2001, l’intestazione si arricchisce di un cippo su cui è scolpito “In ricordo del nostro concittadino Carlo Celestini, sacrificato nelle foibe. Viterbo marzo 1922 - Djakovo maggio 1945”.

    Non è il caso di tornare nuovamente a controbattere l’infondatezza di cifre improbabili o di asserzioni strumentali che nulla hanno di storico. Sapendo però delle regole della cosiddetta “operazione foibe”: intestazioni di vie e monumenti e assegnazioni di medaglie effettuate con disinvoltura, senza la pur minima ricerca storiografica, ho deciso di fare delle verifiche, soprattutto perché quel cognome, Celestini, mi era tutt’altro che nuovo.

    Mi sono così rivolto al direttore della Biblioteca Comunale di Viterbo Giovanni Battista Sguario: a lui esponenti locali d’Alleanza Nazionale avevano commissionato la ricerca su questa persona ai fini dell’intestazione. La risposta è stata che la documentazione allora utilizzata, di cui lui aveva posseduto copia che ora non riesce a recuperare, si trova all’Archivio di Stato di Viterbo (Asvt). Mi reco sul posto e cerco nel fondo Gabinetto della Prefettura. Qui però, alla lettera C della serie Caduti e Dispersi in Guerra, non esiste alcun fascicolo sul Celestini. Tra l’altro, m’informano gli impiegati dell’Archivio, ai tempi di tale ricerca questo fondo non era ancora inventariato; buste e fascicoli non erano censiti: nessuno potrebbe quindi sapere riguardo eventuali smarrimenti.

    L’unico documento sul Celestini che si trova all’Asvt è nella documentazione del Distretto Militare di Viterbo, ivi depositata alla chiusura del distretto stesso. Trattasi di un foglio matricolare (n. 10243) contenente notizie che mettono fortemente in dubbio i motivi dell’intestazione. Emerge subito un’ovvietà, trattandosi di foglio matricolare: il Celestini era un militare, non un semplice cittadino infoibato “con la sola colpa di essere italiano”. Poi, guardando la paternità, si apprende che lo stesso è figlio di Crescenziano Celestini, personaggio nel quale mi ero imbattuto durante gli studi sui fatti viterbesi del 1921-’22, quando questi, fascista “antemarcia”, era, assieme al fratello Giulio, dirigente del Fascio di Combattimento di Viterbo. Le camicie nere viterbesi in quel periodo non trovavano agio nella vita politica cittadina; per questo motivo chiedevano aiuto alle delegazioni forestiere che, a loro volta, nel 1921, si macchiavano dei delitti Antonio Prosperoni (2 maggio) e Tommaso Pesci (10 luglio). Crescenziano Celestini sarà poi impiegato alla Provincia, funzionario zelante pure durante la Rsi, ma non per questo epurato, tanto che è nell’elenco degli impiegati ancora negli anni ’50. Il figlio Carlo perciò non proveniva dalla cosiddetta “zona grigia” ma da un ambiente familiare spiccatamente fascista. Difatti, il foglio matricolare informa che questi parte volontario (molto probabilmente per convinzioni politiche) per il 56° Reggimento Fanteria di Venezia, con la ferma d’anni due, dal 5 dicembre 1940. Il 6 aprile dell’anno dopo è imbarcato per l’Albania (Durazzo). L’ultimo aggiornamento del foglio - ciò significa che da lì in poi il Distretto non ha più ricevuto informazioni - è del 13 ottobre 1947 e dice: “Disperso in occasione di eventi bellici in Croazia” a seguito dell’8 settembre 1943. Da nessun fatto né luogo tra quelli riportati qui, nell’unico documento a nostra disposizione che ne parli, si evince un infoibamento, né “disperso in Croazia” equivale a “sacrificato nelle foibe”, cavità carsiche del territorio istriano. Sul cippo in suo ricordo è dato Djakovo come luogo di morte. Secondo quanto riferitomi da Sguario, che mi ha gentilmente citato a memoria alcuni particolari, sarebbe stato scelto questo luogo poiché da qui il Celestini inviava la sua ultima lettera ai familiari, nel gennaio 1945 (almeno all’epoca delle ricerche di Sguario due sorelle del Celestini risiedevano a Milano). Se questo rispondesse al vero, per quale motivo sul cippo il decesso è postdatato di quattro mesi? Djakovo inoltre si trova in Slavonia, regione croata ai confini con la Serbia, territorio – m’informa Sandi Volk della Biblioteca Nazionale Slovena e degli Studi di Trieste - di pertinenza tedesca durante l'occupazione della Jugoslavia. Qui non si sono verificati infoibamenti; siamo assai lontani dall’Istria: sarebbe come dire “sacrificato nel Viterbese” riferendosi ad un tale venuto a mancare, grossomodo, tra l’Emilia e la Lombardia.

    Il foglio ci dice - come abbiamo visto - che il Celestini era un volontario, circostanza che Sguario ricorda anche per il dopo 8 settembre. Facciamo presente che, per quanto riguarda gli occupanti italiani, sono proprio i volontari fascisti a distinguersi per ferocia nell’opera di rastrellamento, distruzione villaggi e deportazione delle popolazioni slave. Ragion per cui un volontario finito nelle mani della Resistenza jugoslava riusciva difficilmente a farla franca, aldilà delle responsabilità del singolo. In conformità a ciò, l’ipotesi più plausibile è che il Celestini nel periodo 1943-’45 fosse ancora volontario in Jugoslavia (Croazia, stando al foglio) per il fronte nazifascista - non è dato sapere in quale reparto (camicie nere, X MAS, SS italiane etc.) - e che fosse caduto in combattimento o, se vogliamo prender per buona la data del maggio 1945, giustiziato dai partigiani, dai civili, oppure deceduto successivamente in un campo di concentramento. Non vi è invece documentazione sul fatto che sia finito nelle foibe istriane, tanto è vero che non è menzionato in nessuno degli elenchi redatti in merito. C’è sì un soldato della provincia di Viterbo finito nelle foibe in quei frangenti, ma si tratta di Valentino Trauzzola di Lubriano, guarda caso un volontario fascista della Rsi (si veda: Luigi Catteruccia, Cominciò l’8 settembre in Jugoslavia l’odissea di migliaia di soldati, inserto di “Biblioteca e Società”, XIV, 1995, 23).

    In conclusione - nel rispetto dovuto ad una persona morta in giovane età, senza che i familiari ne ottenessero la salma o almeno notizie sulle circostanze della morte, e di cui ignoriamo responsabilità individuali - è lecito sospettare che il Celestini sia stato scelto nell’intestazione per un solo motivo: è, a quanto pare, l’unico viterbese di idee fasciste disperso in Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale. Da qui, senza perderci troppo tempo, è stato a lui conferito il ruolo toponomastico di “sacrificato nelle foibe con la sola colpa di essere italiano”, che ciò fosse vero o meno.

    Silvio Antonini
    Segretario e Portabandiera Anpi Comitato Provinciale di Viterbo.

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