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Torino: a proposito della democrazia da "esportare" in Iraq

un resoconto delle cariche contro il corteo del 29 marzo

(1 Aprile 2003)

Sabato 29 marzo ero presente a Torino, al corteo contro l'aggressione anglomericana all'Iraq ed ho assistito alla brutale aggressione da parte delle "forze dell'ordine" nei confronti dei manifestanti. Facevo parte dello spezzone finale, assieme ai compagni dei Cobas, dei centri sociali e di altri sindacati di base.

Il clima si fa pesante da subito: mentre procediamo scandendo canzoni e slogan, vediamo carabinieri e poliziotti a ranghi serrati stringerci ai lati: è un tunnel di manganelli, scudi, mitragliette puntate contro il corteo, ad altezza d'uomo. Nei pressi di via Pietro Micca, i poliziotti con una manovra aggirante si infilano nel corteo, chiudendo dai quattro lati il nostro spezzone, isolandolo dal resto dei manifestanti: qui parte la prima carica, piovono le manganellate.

Viene preso di mira il furgone che diffonde musica, i compagni addetti agli impianti di amplificazione vengono imbottigliati all'interno e pestati a sangue; manganellate piovono anche sugli impianti di trasmissione.

Sia pure a fatica, ripartiamo per ricongiungerci al corteo. A Porta Palazzo si uniscono alla manifestazione centinaia di lavoratori immigrati con le loro famiglie: c'è tutta al comunità palestinese di Torino, numerose sono le donne e i bambini, alcuni piccolissimi, sul passeggino.

La folla multicolore dei manifestanti riempie corso San Maurizio: migliaia e migliaia di persone contro la guerra, il razzismo, il fascismo che torna, arrogante e funesto.. Unica nota stonata il muro di carabinieri e poliziotti che marciano alle nostre spalle sempre più numerosi e minacciosi, in assetto antisommossa, seguiti da decine di furgoni e camionette.

Svoltiamo in via Rossini. Il corteo procede chiuso tra gli alti muri dei palazzi. A questo punto parte la seconda carica. Mentre la testa della manifestazione raggiunge piazza Castello arriviamo in via Po. Il nostro spezzone procede lentamente; noi con le bandiere dei Cobas siamo gli ultimi; davanti a noi i giovani di Askatasuna e, in testa, gli immigrati. A fare ala al corteo sosta la folla del sabato pomeriggio, gente che passeggia ad ammirare le vetrine, magari a gustare il primo gelato di stagione.

Mi volto a controllare: alle nostre spalle il nuvolone di poliziotti e carabinieri sta avanzando, preceduto dal gruppetto in borghese della Digos, seguito da auto e camionette: un inquietante esercito di robot. Quale contrasto con la malinconia della sera, con le dolci, tenaci fisionomie di quelle ragazze e di quei giovani nei quali ritroviamo la parte migliore di noi, l'indignazione contro l'ingiustizia, la volontà concreta di lottare per una società senza servi né padroni.

Siamo quasi in piazza Castello quando parte l'ultima carica, a freddo, di una violenza inaudita: vengono colpiti indiscriminatamente donne, uomini, bambini, giovani e anziani, anche passanti, mentre Piazza Castello è invasa dal fumo dei lacrimogeni; chi cerca di mettersi in salvo nelle strade vicine è inseguito e pestato; vengono distrutte a manganellate anche le bancarelle di alcuni venditori ambulanti.

Cerchiamo di fermare il pestaggio ai danni di un giovane; egli guidava il furgone che apriva lo spezzone dei migranti: viene trascinato a terra e colpito con manganelli e calci da alcuni poliziotti: la testa spaccata in più punti gronda sangue, il volto è tumefatto; accorrono anche alcuni passanti scandalizzati da ciò che vedono; mentre tentiamo di dargli aiuto, il ragazzo sviene. Qualcuno chiama un'ambulanza che non arriverà mai. I poliziotti non lo mollano, alla fine lo trascinano via, non prima di aver spaccato con una gomitata il setto nasale ad uno dei presenti che protestava.

Dal furgone viene trascinato a terra anche un anziano immigrato: aveva preso posto sul furgone, perché affetto da gravi difficoltà di deambulazione; ora è costretto a stare in piedi, contro una camionetta, in attesa di essere identificato: si guarda intorno smarrito, umiliato.

Qualche passo più avanti c'è una donna di mezz'età accompagnata dalla figlia e dai nipoti : anche lei è stata malmenata dalle "forze dell'ordine" e ora ha un braccio rotto. Ci riferiscono di alcuni bambini contusi. Un uomo si aggira angosciato tra la folla: nella confusione della carica ha perso la piccola figlia e ora la cerca dappertutto, senza trovarla.

Le cariche continuano nelle strade intorno alla piazza dove i manifestanti vengono inseguiti con una vera e propria caccia all'uomo.

Durante i caroselli in piazza, da un furgone dei carabinieri compare ostentatamente la bandiera americana a stelle e strisce.

A un certo punto il suono delle sirene lacera l'aria: arriva velocemente una colonna di blindati con i cannoncini spara-lacrimogeni sulla torretta: in testa alla colonna una macchina di grossa cilindrata. I mezzi sfrecciano verso corso San Maurizio: pensiamo siano diretti a Porta Palazzo.

Li troviamo infatti in corso Giulio Cesare, nella zona della Moschea; apprendiamo di cariche nei confronti degli immigrati arabi. Diamo vita a un piccolo presidio, assieme agli abitanti del quartiere. Veniamo immediatamente fronteggiati dalle file serrate dei poliziotti: Dopo averci mostrato i muscoli per altre due ore, finalmente i rambo se ne vanno.

Torniamo a casa, giusto in tempo per vedere il telegiornale, e sentir bollare come facinorosi le vittime delle violenze poliziesche a cui abbiamo assistito e di cui saremo irriducibili testimoni.

Apprendiamo anche che in un'altra parte della città i fascisti di Forza Nuova hanno sfilato impunemente e indisturbati.

E ci è chiaro più che mai che la guerra e la repressione, lo sfruttamento e il razzismo, sono le molte facce di un'unica realtà, quella del dominio capitalistico sul mondo: un modello a cui dobbiamo opporci qui e ora, con chiarezza e coerenza, senza se e senza ma.

Bussoleno, 30 marzo 2003

Nicoletta Dosio

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