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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

Il no alla guerra del "popolo dei popoli"

di Michele di Schiena - magistrato

(2 Aprile 2003)

Se qualcuno di noi, ricco e potente, pretendesse di mettere le mani sui beni di famiglia di qualche altro che vive nell'indigenza e che quei beni vende per sfamarsi ed andare avanti; se qualcuno, dopo aver utilizzato per suoi oscuri affari personaggi spregevoli e pericolosi, li volesse poi brutalmente far fuori considerandoli ad un certo momento non più affidabili; se costui, con ricatti economici e minacce di vario genere, tentasse di costringere i suoi consimili a fare, loro malgrado, ciò che egli vuole e si arrogasse nel contempo il diritto di stabilire ciò che è bene e ciò che è male prescindendo dall'opinione dei più e dal pensiero di autorevoli cattedre morali e religiose; se qualcuno, nella comunità in cui vive, avesse l'ardire di farsi egli stesso legge e giustizia beffandosi di codici e tribunali; se qualcuno, per i suoi disegni ed il suo tornaconto, irrompesse in casa d'altri armato fino ai denti per uccidere, distruggere e terrorizzare e se poi, a fronte di qualche disperata e perdente reazione dell'aggredito, invocasse regole che si è messo costantemente sotto i piedi; se infine, costui si servisse di uno stuolo servile di imbonitori per coprire i suoi torti e le sue nefandezze con impudenti bugie e plateali stravolgimenti della realtà: ebbene, se uno di noi facesse tutto questo diremmo che siamo di fronte ad una mostruosa incarnazione dell'arbitrio, della violenza e della follia.

E diremmo cosa assolutamente ovvia. Ora, dopo i conflitti e le speranze del novecento e all'alba del terzo millennio, non è più possibile accettare che le regole di civile convivenza, universalmente considerate valide nei rapporti interpersonali all'interno delle singole comunità nazionali, non debbano presiedere anche ai rapporti tra gli stati nell'ambito della comunità internazionale. E questo spiega ciò che oggi sta avvenendo con la rivolta dell'opinione pubblica mondiale contro la guerra scatenata dal governo statunitense: una ripulsa morale e civile che segna un mutamento di rotta, un radicale cambiamento perché per la prima volta non un consesso di statisti, di giuristi o di intellettuali ma un enorme movimento di opinione, un "popolo dei popoli" scende in piazza e chiede a gran voce, in ogni contrada del pianeta, che la "Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo", la Carta delle Nazioni Unite e gli Statuti che ripudiano la guerra divengano il fulcro di un diritto internazionale non più regolato su brutali rapporti di mera forza ma costruito su principi e regole da tutti accettati e per tutti vincolanti. Un diritto internazionale che può aprire la strada ad un "altro mondo possibile": il mondo della vera globalizzazione, la globalizzazione dei diritti in alternativa a quella del dominio economico, dell'arbitrio e della violenza.

Ed allora, mentre cade una pioggia di micidiali missili e di devastanti bombe sulle martoriate sponde del Tigri e dell'Eufrate, mentre si muore e si piange per le migliaia di caduti che la morte presenta nella loro umanità violata e nuda di divise e bandiere, mentre la forza delle armi si prepara a cantare i lugubri inni di una scontata (anche se meno facile del previsto) vittoria; mentre guerrafondai e affaristi si apprestano a sedere intorno ad un tavolo per spartirsi i moderni bottini fatti di petrolio e di dollari, i pacifisti ed i costruttori di pace, dovunque collocati e comunque denominati, avvertono che questo disastro non segnerà la "fine della storia" perché il sistema che genera ingiustizia e guerra ha oggi mostrato il suo volto più vero e più truce e perciò ha prodotto, come unico "effetto collaterale" dai suoi fautori veramente non voluto, una grande novità, un "popolo dei popoli" che può cambiare il mondo.

Di fronte alla cieca determinazione degli autori della guerra, nessuna frustrazione, nessuna caduta di tensione civile: ogni bandiera esposta, ogni segno di pace esibito, ogni partecipazione a manifestazioni e proteste, è un gesto profetico, un piccolo grande atto politico, un contributo prezioso offerto per la costruzione di quella nuova "superpotenza" povera di mezzi e disarmata che invoca pace e solidarietà e tanto preoccupa i "santuari" del superpotere economico e militare.

Brindisi, 29 marzo 2003

Michele di Schiena

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