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"Comunisti uniti": una precisazione e qualche riflessione

(23 Febbraio 2009)

Cari compagni,
il resoconto della riunione di Roma dei primi 100 firmatari dell’appello merita qualche integrazione perché ai compagni non presenti giunga un’informativa completa.

L’incontro avrebbe dovuto concludersi con l’individuazione di alcuni compagni che, temporaneamente, avrebbero dovuto svolgere la funzione di coordinatori-garanti, in attesa che le realtà territoriali e un’assemblea nazionale nominassero un vero e proprio organismo di coordinamento.

Quest’obbiettivo non è stato raggiunto perché prevedibili “interferenze” e punti di vista differenti hanno sconsigliato un accordo. D’altro canto l’assenza di molti compagni, il cui parere è sembrato necessario, ha fatto preferire di andare alla soluzione interlocutoria di affidare ad Azzarà e Fioretti l’incarico di contattare le realtà territoriali e i compagni assenti per formulare una proposta di coordinamento temporaneo di garanzia.

In questo modo non soltanto si è evitato di giungere a contrapposizioni che avrebbero contrastato con l’avvio di questo processo unitario, ma si è evitato di giungere ad una soluzione di compromesso che, seppure temporanea, avrebbe riprodotto difetti e metodi di un passato che tutti vogliamo non inquini più il percorso dell’unità dei comunisti.

L’episodio è significativo ed emblematico di alcune difficoltà che necessariamente incontreremo lungo il nostro cammino: il vecchio (e non solo i gruppi dirigenti cui sono ascrivibili pesantissime responsabilità, ma anche concezioni, metodi e abitudini di decenni) non scompare d’incanto per nostro desiderio, ma si annida e si riproporrà di continuo in varie forme.

Bisogna mantenere alta la guardia, vigilare e sconfiggere – come è stato fatto a Roma – il vecchio che tenta di rigenerarsi, e non soltanto con metodi non più accettabili, ma, soprattutto, sul piano dei contenuti: le reazioni alla crisi del PD stanno già rivelando che le suggestioni di una possibile collaborazione con l’opportunismo non sono state sconfitte una volta per tutte.

Abbiamo le idee chiare e i numeri per vincere queste battaglie mano a mano che sarà necessario combatterle. E questo non potrà che rafforzare il nostro percorso.

Nessuno – credo – poteva pensare che il processo della costituente comunista (di cui l’appello “Comunisti Uniti” è stato il punto di partenza) fosse privo di ostacoli e di difficoltà: vista la portata del disastro e, soprattutto, le sue cause era previsto che la strada fosse in salita. Nessuno può, quindi, ragionevolmente scoraggiarsi (o, anche, indignarsi) quando poi, concretamente, queste difficoltà e questi ostacoli si manifestano.

Fermo restando che tutti, almeno a parole, si sono detti convinti della necessità di una discontinuità con il passato, sono convinto che per passare dalla dimensione delle buone intenzioni e delle parole si debbano affrontare due questioni – strettamente connesse e tutte e due incardinate sulla centralità della contraddizione capitale-lavoro – su cui occorre avere una posizione estremamente ferma e rigorosa:
1. il rifiuto di ogni residua suggestione opportunista e, dunque, di qualsiasi prospettiva riformista, emergenzialista, governista, concertativa, etc. (es.: allenaze con il PD);
2. la necessità di riportare i comunisti all’interno della classe lavoratrice e delle classi subalterne recuperando quel distacco che una concezione e una pratica della politica schiacciata sulle istituzioni e sui tatticismi di ceti politici hanno determinato.

Sul lungo periodo questo vuol dire attrezzarsi sul piano culturale e teorico e definire sul piano politico un programma minimo di classe, e ci deve portare, da un lato, a privilegiare le contraddizioni che le classi di riferimento vivono – specialmente in presenza dell’attuale crisi economica –, e, dall’altro, a ricercare e costruire opportunità di un rinnovato legame di massa.

Nell’immediato a queste priorità fanno ombra – come spesso accade – le urgenze della quotidianità che pongono altre questioni che, pure, bisogna affrontare.

In questo momento – come tutti possono constatare – occorre sciogliere due nodi tra loro complementari:
a) il ruolo delle forze politiche organizzate (in particolare del PRC e del PdCI), delle loro aree interne e di quei gruppi dirigenti nel processo costituente e in “Comunisti Uniti”;
b) la posizione di “Comunisti Uniti” rispetto alle prossime elezioni europee e amministrative.

Tutti noi abbiamo il nostro punto di vista alla cui formazione hanno contribuito certamente le esperienze negative di ciascuno. Discuterne in astratto, in generale, non ci porterebbe da nessuna parte, con il rischio che, alla fine, certe suggestioni possano prevalere e determinare l’ennesima divisione tra noi.

Credo, allora, che l’unico modo di affrontare questa ineludibile discussione sia di farlo a partire dalla concretezza politica – di merito e di metodo – dei comportamenti e delle proposte.

La questione del ruolo delle forze politiche nel processo costituente è complicata– oltre che da posizioni spesso dichiaratamente ostili o incompatibili con il percorso di “Comunisti Uniti” – ulteriormente dalle loro persistenti divisioni interne, dalla litigiosità e dalle incompatibilità reciproche. Non possiamo certamente lasciarci trascinare in questa deriva di contrapposizioni e di faide – che è stata causa concorrente del loro fallimento – che riprodurrebbero al nostro interno le stesse perniciose divisioni tra gruppi dirigenti, né possiamo permettere che “Comunisti Uniti” divenga strumento di queste lotte residuali tra ceti politici che, non solo non ci appartengono, ma che vogliamo combattere e sconfiggere.

Per affrontare questa questione – che incombe in modo oppressivo in questo momento – non è sufficiente contrastare pretese “primogeniture” (del resto soltanto oggi, dopo mesi, rivendicate strumentalmente), né polemizzare sull’uso monopolistico degli strumenti dell’”appello” (sito, indirizzari, etc.). Ugualmente sterile è la contrapposizione tra chi, pregiudizialmente, ritiene che non si debba prescindere dalle realtà organizzate qualunque sia stata la loro responsabilità e qualsiasi sia il loro atteggiamento attuale, e chi, altrettanto pregiudizialmente, vorrebbe la cancellazione di queste forze e l’azzeramento dei loro gruppi dirigenti. Si rischierebbe non soltanto l’ennesima divisione tra noi, ma anche di restare inchiodati nella paralisi e nell’immobilismo.

Credo che ci sia un solo modo di affrontare e risolvere il problema: riaffermare con forza l’assoluta autonomia e centralità del processo costituente e, quindi, di “Comunisti Uniti” definendo, quindi, in piena libertà di confronto e di decisioni, contenuti e modalità del percorso e, su questa base irrinunciabile verificare posizioni e comportamenti di forze politiche, aree e singoli dirigenti. Escludendo quelli che vogliono ripescare e “rigenerare” la “rifondazione” (e sono, quindi, apertamente indifferenti o ostili al percorso di costruzione di un nuovo partito), non sarà impossibile verificare negli altri se vogliono far parte dell’esperienza di “Comunisti Uniti” senza pretendere di avere, di imporre o di prendersi surrettiziamente un iòpossibile ruolo egemonico, oppure se si collocano autocriticamente e, quindi, paritariamente nel percorso mettendosi a disposizione del processo costituente.

Anche qui, però, è opportuno uscire dalla vaghezza delle dichiarazioni d’intenti o di posizioni generali e astratte e riferirsi, piuttosto, a questioni concrete. La convergenza su precise proposte che spostino l’asse della politica dei comunisti dal rapporto con le altre forze politiche e dalle istituzioni al lavoro di massa, nella società, all’interno e in rapporto diretto con la classe lavoratrice e con le classi subalterne, è un modo di mettere sul terreno concreto la verifica. In questo senso il secondo “nodo” che occorre sciogliere nell’immediato – quello delle elezioni – offre un terreno ideale.

L’esperienza di un parlamento in cui manca del tutto un’opposizione, mancando anche una forza di contrasto adeguatamente organizzata nella società e in un momento di crisi che comporta scelte “pesanti”, è stata una significativa lezione per chi ha usato male in passato la propria presenza nelle assemblee elettive, ma non è certo favorevole agli interessi delle classi subalterne e non sta creando condizioni più favorevoli al cambiamento. La questione, dunque, sul piano concreto non è tra astensione e partecipazione: è sul come e perché partecipare. Ed è proprio per questo che certe proposte e profferte unitarie (di lista o di altro) spalancano la porta al sospetto di una loro finalizzazione strumentale ad assicurare – ai soliti noti – almeno in Europa e negli enti locali quella rappresentanza istituzionale che è sfuggita a livello parlamentare. “A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si azzecca”: e i comunisti, si sa, sono dei grandi peccatori. Ma al peccato sono indotti sia dalle obbiettive difficoltà di PRC e PdCI a superare lo sbarramento alle europee (che hanno fatto recentemente cambiare ad alcuni posizioni e disponibilità all’”unità”), sia dalla persistente connivenza con l’opportunismo in troppe giunte locali, sia dalla dichiarata eventuale disponibilità a riprendere il rapporto compromissorio e subordinato con PD.

Come sfuggire, allora, alla tentazione di una scelta astensionista per non consentire ai ceti politici di rinnovare con i propri privilegi anche le nefandezze delle collaborazioni governiste con l’opportunismo?

Mi sembra che ci sia una sola strada: quella di individuare, in piena autonomia, alcune condizioni o garanzie minime e di porle con franchezza a chi, con altrettanta franchezza, ponga la questione. E, a mio parere, queste condizioni o garanzie non possono che attenere, per un verso, al programma, per altro alla formazione delle liste, per altro ancora alla gestione degli eventuali mandati elettivi.

Programma. Poiché è del tutto fuori discussione che il sostegno si possa dare ad una qualsiasi lista, per quanto unitaria, ed è, invece, necessario darla ad un programma, bisognerà concordarne i contenuti che dovranno discendere da una comune analisi del contesto politico, vedere al centro una concreta propositività sugli interessi delle classi subalterne e, quindi, necessariamente, l’impossibilità di rapporto e di interlocuzione con il PD (a meno che il PD non accetti il nostro programma!!!). Facciamo qualche esempio: per le europee, siamo d’accordo tutti sulla natura imperialista dell’EU e delle missioni italiane all’estero? Oppure che gli eletti dovranno lavorare per definire rapporti e contenuti finalizzati all’unità del mondo del lavoro (contratti, salari, ammortizzatori sociali, etc., comuni a livello europeo, comprese le questioni relative alla precarietà e all’immigrazione)?

Formazione delle liste. Non è sufficiente restare assolutamente estranei ai manovrismi e alle zuffe tra e all’interno dei due partiti sulla composizione delle liste. Anche qui qualche “paletto” deve esser messo. Per esempio: bisogna mostrare in concreto la discontinuità con il passato e che non si lavora per i soliti noti. Quindi un rinnovamento completo delle candidature in ogni tipo di elezioni, assicurando – attraverso i collegi e le preferenze – l’elezione di lavoratori e di esponenti di realtà di lotta.

Gestione dei mandati elettivi. È la questione più delicata e che, di solito, è del tutto trascurata. Il mio suggerimento è che si ritorni – nei limiti delle mutate condizioni e delle possibilità effettive – ai criteri fondanti della cultura e dell’esperienza comunista: revocabilità del mandato, rotazione, controllo degli eletti da parte degli elettori, compenso economico rapportato al salario operaio, etc. E, per quanto riguarda i rimborsi o le ricadute economiche, concordare un qualche marchingegno che non attribuisca tutto ai partiti e lasci, invece, qualche risorsa (= autonomia) a “Comunisti Uniti”.

Non mi pare che siano ipotesi “estremiste”, che abbiano invece una ragionevolezza, che sono possibili e che vanno nella direzione di costruire l’unità senza subordinazioni e vassallaggi – né presenti né futuri – per nessuno.

Sergio Manes

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