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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Il destino del dollaro e dell’economia capitalistica statunitense

(23 Febbraio 2009)

In precedenti articoli si è discusso della situazione economica statunitense e della sua moneta, il dollaro (1) e si analizzava la possibile futura svalutazione. In questi giorni in cui il crollo delle borse e del sistema finanziario è sotto gli occhi di tutti, stiamo assistendo ad una rivalutazione del dollaro, anche abbastanza forte: rispetto all’euro è passato da 1,5990 del 15/07/2008, massimo storico dell’Euro sul Dollaro, a 1,2460 dello scorso 27 ottobre, con una rivalutazione di oltre il 22%. (Vedasi cambio Euro-Dollaro dal 1999 ad oggi).

Come mai il dollaro si rafforza se l’economia statunitense crolla? La risposta è proprio nella crisi che sta vivendo il sistema economico statunitense. Con il crollo dei mercati finanziari e le multinazionali alle prese con enormi debiti da pagare, nella ricerca disperata di capitali non possono fare altro che immettere sul mercato i propri pezzi migliori (edifici, grattacieli, imprese, filiali…), che ovviamente sono venduti a prezzi decisamente inferiori a quelli di qualche mese fa.

La convenienza ad acquistare i pezzi migliori dell’economia USA, soprattutto da parte dei “nuovi ricchi”, tra cui cinesi, indiani, russi ed arabi, ha determinato un forte aumento della domanda di dollari, dato che tali beni statunitensi debbono essere pagati appunto in dollari. Essendo la banconata soggetta, come ogni bene del sistema capitalistico, alla legge della domanda e dell’offerta, ne deriva che a maggiore richiesta di dollari, il suo prezzo sale.

L’aumento del dollaro è comunque qualcosa di effímero e momentaneo: il dollaro non solo è da considerarsi carta straccia, ma ha probabilmente i giorni contati! In passato parlavamo di pochi anni per il suo tracollo, oggi siamo sempre piu convinti che il tracollo del dollaro potrebbe essere questione di poco tempo, forse pochi mesi.

E’ sempre più vicino il giorno in cui il Tesoro USA potrebbe essere costretto ad annunciare al mondo che gli USA non possono pagare l’enorme debito accumulato, neppure i soli interessi sul debito. A meno che non ci sia una drastica ed inmediata inversione di rotta, tendente a ridurre i debiti ed a cambiare lo stile di vita degli statunitensi, fondato sul consumismo sfrenato e l’indebitamento ad ogni costo. Ma ciò sembra alquanto improbabile.

L’economia USA e la sua moneta sono in grandissime difficoltà. I suoi creditori, soprattutto Cina e Giappone, pur sapendo ciò, hanno continuato a finanziarla con la speranza che gli USA cambiassero rotta, con la speranza di poter riavere indietro l’enorme quantità di denaro prestato.

Gli USA non hanno mai cambiato rotta; hanno continuato a sperperare coi soldi degli altri, coi soldi avuti in prestito. Tutta l’economia consumistica USA si basa sul debito. Il debito accumulato è talmente grande che presto gli USA si troveranno in grande difficoltà coi pagamenti, ed anzi potrebbero non essere più in grado di pagarlo.

Il giorno, in cui il Tesoro USA dovesse anunciare di non essere piu in grado di pagare il debito, il dollaro cesserebbe di esistere e qualunque conto in dollari, qualsiasi fondo in dollari, qualsiasi risparmio in dollari non varrà più niente e di fronte alle conseguenti proteste del popolo statunitense, il governo USA non potrà fare altro che mandare i carrarmati in strada, a reprimirlo. Gli USA potrebbero essere alla vigilia di un grande cambio, di una rivoluzione?

I numeri del disastro economico USA

Il solo debito pubblico a giugno 2008, secondo l’ultimo dato ufficiale pubblicato della Federal Reserve aveva raggiunto i 9.492 miliardi di dollari ed al 13 novembre era a ad oltre 10.578 miliardi di dollari, secondo i dati del Tesoro. Vedasi il quadro riepilogativo del debito pubblico statunitense dal 1790 ad oggi.

Tabella 1 - Debito Pubblico USA dal 2000 al 2008
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 31/03/08 30/06/08
5.662,2 5.943,4 6.405,7 6.998,0 7.596,1 8.170,4 8.680,2 9.229,2 9.437,6 9.492,0
Nota: Dati in miliardi di dollari. Fonte Federal Reserve (2000-2003; 2004-2008)

Avendo gli USA circa 304 milioni di abitanti, si capisce che il solo debito pubblico pesa per ogni statunitense, neonati compresi, per circa 35.000 dollari. Come da annessa tabella, il debito pubblico in anni passati è stato percentualemnte anche più alto, ma tale dato odierno va inquadrato nell'ambito complessivo dell'economia USA.

Oltre il debito pubblico infatti c’è da considerare anche gli altri debiti che pesano sull’economia USA, ossia quello delle famiglie, pari a circa 30.000 miliardi di dollari, più altri 30.000 miliardi di dollari di banche ed imprese, a cui vanno aggiunti ovviamente gli interssi (2).

In sostanza, il debito complessivo statunitense è quasi quattro volte il valore dell’intero PIL annuale USA. Tali dati coincidono anche con quelli di un recente studio sull’indebitamento USA realizzato dal The Economist di Londra, per il quale il debito complessivo USA è oltre il 350% del PIL statunitense (3).

Accanto ai dati del debito vanno considerati altri dati economici, che completano il quadro negativo dell’economia USA.

Il PIL statunitense, secondo i dati ufficiali (4), alla fine del terzo trimestre del 2008 ammontava a 14.429,156 miliardi di dollari, al di sotto delle stime di crescita di inizio anno. E' anche possibile, in virtù della crisi finanziaria, che non solo possa smettere di crescre, ma addirittura retrocedere.

Le riserve internazionali USA (oro, dollari, monete estere e titoli vari) ammontano a 71.834 milioni di dollari, secondo i dati della Federal Reserve al 30 settembre 2008, ossia una goccia d’acqua rispetto allo sterminato oceano del debito.

Anche il bilancio commerciale USA è fortemente negativo: nel 2007 ha esportato beni e servizi per 1.645 miliardi di dollari, ed ha importato beni e servizi per 2.345 miliardi di dollari e nel 2008 l’andamento non cambia.

Se analizziamo i dati storici dell'Intercambio commerciale statunitense ci rendiamo conto di come gli USA da paese esportatore di beni e servizi si trasformano in un paese importatore. A tal fine utilizziamo i dati dell'Ufficio di Studi Economici del Dipartimento del Commercio (BEA), che partono dal 1929. Tranne alcuni anni (1935,1936,1942,1943,1944, 1945 e 1953), gli USA iniziano a presentare un deficit nel bilancio commerciale negli anni 70;; il deficit si accentua progresivamente fino ad assumere le dimensioni di una voragine (quasi 800.000 milioni di dollari all'anno) nell'ultimo quinquennio.

Il deficit commericale accumulato negli ultimi trent'anni è praticamente equivalente al PIL; come dire che l'intero PIL annuale degli USA serve a coprire il deficit commericlae cumulato degli ultimi trent'anni.

Il Bilancio commerciale rende esattamente l’idea di quella che è l’economia statunitense: una economia basata esclusivamente sul consumo; un consumismo sfrenato basato sull’indebitamento.

La fine del dollaro

Quando il consumo sfrenato è enormemente superiore alle proprie possibilità, non solo arriva il giorno che nessuno è più disposto a farti credito, ma i debiti accumulati sono cosi ingenti che diventa impossibile pagarli. E quel giorno sembra abbastanza vicino, ormai, a meno di una inversione di rotta generale.

Se gli Usa non avranno la possibilità di pagare le rate del debito, neppure i soli interessi sul debito, con annuncio o senza annuncio, diventerà notizia di dominio pubblico e sarà la fine definitiva del dollaro. Nessuno al mondo a quel punto vorrà più un dollaro, che diventa letteralmente carta straccia; tutti tenderanno a disfarsi dei dollari, il cui valore scenderà enormemente.

L’enorme massa di dollari, con cui gli Usa hanno invaso i mercati mondiali (l’unico vero prodotto dell’industria USA!) farebbero ritorno negli USA, causando un enorme effetto inflazionario. Negli USA, in tutta la sua storia non ci sono mai stati veri problemi inflazionari e nell'ultimo quarto di secolo, tranne nel 1990, l'inflazione è sempre stata al di sotto del 5%. Vedasi tabella relativa all'inflazione in Usa dal 1775 ad oggi.

Il Governo USA sembra avere un piano: sostituire il dollaro con una nuova moneta; il piano sarebbe da realizzarsi assieme a Canada e Messico. I tre Paesi del nord america, che darebbero vita all’Unione del Nord America, una sorta di Unione Europea, starebbero per abbandonare le monete nazionali (dollaro USA, dollaro canadese e peso messicano) in favore di una moneta comune, il cui nome sembra essere Amero. Ma al di la dell’esistenza o meno di questo piano, di questa Unione del Nord America, di cui ha ampiamente parlato il giornalista statunitense Hal Turner, il problema, che viene da lontano, rimane. Nella foto una moneta da 20 Ameros mostrata dal citato giornalista, che è riuscito ad entrare in possesso della nuova moneta presuntamente già coniata dalla Federal Reserve. A questo punto è necessario analizzare alcuni punti salienti della storia del capitalismo statunitense.

Nascita e declino della superpotenza USA (5)

Gli Usa si affermano come potenza mondiale alla fine dell'ottocento, a segutio delle guerre ispano-americane (1898) e del Grande Crack del 1873 e la succesiva depressione che trascinò verso il declino l'impero inglese. Ma è con la seconda guerra mondiale che si afferma come grande superpotenza economica e militare. Nell'estate del 1944, quando le sorti della guerra erano già segnate, le grandi potenze occidentali si riunirono in una piccola cittadina americana, Bretton Woods, per accordarsi su un nuovo sistema monetario internazionale. Era ormai necessario pensare all'imminente fine della guerra e al modo migliore per regolare i commerci mondiali. Il Gold Standard, il sistema monetario basato sulla convertibilità di tutte le monete in oro secondo una parità fissa, non rispondeva più alle esigenze di un capitalismo sempre più lanciato verso la conquista di nuovi e più ampi mercati.

A Bretton Woods furono presentati due progetti per il futuro sistema monetario internazionale. Il primo, di parte britannica, portava la firma di Keynes, che prevedeva la costituzione di una banca centrale mondiale che avrebbe avuto il potere d'intervenire sui mercati per regolare i rapporti tra debitori e creditori. La banca doveva regolare tali rapporti tramite l'emissione di una propria moneta, che stando allo stesso keynes doveva prendere il nome di Bancor, ovvero "Oro Bancario".

Il secondo progetto fu redatto dal sottosegretario al tesoro americano, Harry Dexter Withe, che prevedeva, invece un semplice fondo di stabilizzazione dei tassi di cambio. Il risultato raggiunto fu un compromesso fra i due progetti iniziali. Il capitalismo si dotava di due organismi finanziari internazionali, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, che avevano il compito di coordinare le politiche economiche dei singoli stati nazionali, soprattutto in una materia delicata come quella monetaria. Questi due organismi, che sembrano ormai anche essi al tracollo, per oltre 60 anni, hanno gestito il sistema finanziario mondiale. In sostanza, il sistema monetario nato a Bretton Woods era imperniato sul ruolo centrale del dollaro, l'unica moneta che poteva essere convertita in oro. La banca centrale americana, la Federal Reserve, s'impegnava a convertire la propria moneta in oro secondo una parità stabilita dagli stessi accordi di Bretton Woods.

Gli Stati Uniti, usciti vincitori nella seconda guerra mondiale, con gli accordi di Bretton Woods, pongono le basi per controllare l'intera economia mondiale, relegando ad un ruolo secondario Giappone e Germania, i due principali antagonisti. L'Unione Sovietica, l'altra potenza imperialistica uscita vincitrice dal conflitto, in seguito al Trattato di Yalta, esercita la propria egemonia sull'Europa orientale.

Con gli accordi di Bretton Woods il dollaro diventa lo strumento monetario utilizzato negli scambi commerciali internazionali.

Tab 2 - PIL Mondiale, degli USA, della Gran Bretagna e dell’area Ex URSS, dal 1820 al 2006. Dati in milioni di dollari 1990 Geary-Khamis. Dati di fonte Angus Maddison
Anno PIL mondiale PIL USA % PIL USA su PIL Mondiale PIL Gran Bretagna % PIL Gran Bretagna su PIL Mondiale PIL Area Ex URSS % PIL EX URSS su PIL Mondiale
1820 694.493 12.548 1,81% 36.232 5,22% 37.678 5,43%
1870 1.110.952 98.374 8,85% 100.180 9,02% 83.646 7,53%
1900 1.973.682 312.499 15,83% 184.861 9,37% 154.049 7,81%
1913 2.733.366 517.383 18,93% 224.618 8,22% 232.351 8,50%
1940 4.502.584 929.737 20,65% 330.638 7,34% 420.091 9,33%
1950 5.336.686 1.455.916 27,28% 347.850 6,52% 510.243 9,56%
1951 5.651.080 1.566.784 27,73% 358.234 6,34% 512.566 9,07%
1960 8.434.828 2.046.727 24,27% 452.768 5,37% 843.434 10,00%
1961 8.727.584 2.094.396 24,00% 467.694 5,36% 891.763 10,22%
1970 13.771.750 3.081.900 22,38% 599.016 4,35% 1.351.818 9,82%
1980 20.042.400 4.230.558 21,11% 728.224 3,63% 1.709.174 8,53%
1989 26.582.911 5.703.521 21,46% 940.908 3,54% 2.037.253 7,66%
1990 27.136.041 5.803.200 21,39% 944.610 3,48% 1.987.995 7,33%
2000 36.692.661 8.032.209 21,89% 1.211.453 3,30% 1.287.576 3,51%
2006 47.329.381 9.266.364 19,58% 1.394.821 2,95% 1.943.567 4,11%

La tabella propone un confronto tra Prodotto Interno Lordo degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell’area ex URSS, in realazione al PIL mondiale. I dati sono in dollari 1990 Geary-Khamis. Alla vigilia della grande crisi del 1873, la Gran Bretagna era il paese con il più alto PIL al mondo: il 9,02% del PIL mondiale era prodotto in Gran Bretagna, superiore al 8,85% prodotto negli USA. Nel 1900, benchè percentualmente il suo PIL aumenta, la Gran Bretagna aveva perso il primato a favore degli USA, che ormai producevano il 15,83% del PIL mondiale. La Gran Bretagna segue il suo inesorabile declino ed oggi il suo PIL rappresenta meno del 3% del PIL mondiale.

Gli USA invece seguono crescendo, fino a raggiungere nel 1951 il tetto massimo: producono il 27,73% del PIL mondiale. Anche per gli USA inizia successivamente un lento, ma insesorabile declino. Praticamente, alla vigilia della crisi odierna meno del 20% del PIL mondiale è prodotto negli USA e sicuramente tale dato tenderà a scendere sempre piu velocemente con l’accentuarsi della crisi. Il destino degli USA sembra segnato.

Negli anni 50, 60 e 70 gli USA competono con l’altra grande superpotenza, la ex URSS che esercitava la sua influenza nell’Europa orientale. La ex URSS raggiunge il punto di massima espansione nel 1961, quando produce il 10,22% del PIL mondiale. Alla fine degli anni 80 il progressivo declino economico condurrà alla dissoluzione della URSS. Questa area dopo quel periodo di crisi inizia, nel nuovo secolo, una nuova fase di crescita ed oggi la principale delle Repubbliche ex sovietiche, la Russia, rappresenta uno dei Paesi in crescita.

Negli anni 50, dunque gli USA dominano la scena economica mondiale. Oltre ad essere il principale produttore di merci del mondo, avevano in mano anche il controllo assoluto della politica monetaria su scala internazionale. Infatti, con il sistema costruito a Bretton Woods, gli Stati Uniti, non solo avevano imposto agli altri paesi l'utilizzo del dollaro nei commerci internazionali, ma questi erano obbligati ad intervenire sul mercato per mantenere la parità della propria moneta rispetto a quella americana. Se gli Stati Uniti immettevano sul mercato una quantità di dollari superiore alle necessità dei traffici commerciali, cosa che puntualmente si è verificata, gli altri paesi erano obbligati ad acquistare i dollari in surplus per mantenere in equilibrio l'intero sistema monetario. Fino a tutti gli anni sessanta gli Stati Uniti mantengono il dominio incontrastato sui mercati internazionali. Sono il maggior paese esportatore al mondo e presentano ogni anno una bilancia commerciale ampiamente in attivo. Le industrie americane, oltre a poter usufruire di un mercato interno di dimensioni continentali che permette loro di realizzare grosse economie di scala, sono le più competitive sui mercati internazionali.

Ovviamente, allo strapotere economico si accompagna lo strapotere militare: gli USA s'impegnano a difendere militarmente gli interessi del capitalismo occidentale (ossia i propri) dalla presenza minacciosa dell'altro polo imperialistico guidato dall'URSS.
L'Europa occidentale, tra cui spicca la Germania, ed il Giappone liberi da qualsiasi impegno di natura militare, possono concentrare tutti gli sforzi nella ricostruzione degli apparati produttivi. In questi paesi, negli anni cinquanta e sessanta, il prodotto interno lordo cresce molto più velocemente che nel resto del mondo. In conseguenza di tale crescita, il peso economico di Germania e Giappone, nel contesto dell'economia mondiale, assume una rilevanza sempre maggiore. Gli Stati Uniti, pur essendo ancora dominanti sui mercati mondiali, finiscono per essere minacciati dall'ascesa economica giapponese ed europea.

Tab 3 - PIL Mondiale, della Germania e del Giappone, dal 1820 al 2006. Dati in milioni di dollari 1990 Geary-Khamis. Dati di fonte Angus Maddison
Anno PIL mondiale PIL Germania % PIL Germania su PIL Mondiale PIL Giappone % PIL Giappone su PIL Mondiale
1820 694.493 26.819 3,86% 20.739 2,99%
1870 1.110.952 72.149 6,49% 25.393 2,29%
1900 1.973.682 162.335 8,22% 52.020 2,64%
1913 2.733.366 237.332 8,68% 71.653 2,62%
1940 4.502.584 377.284 8,38% 209.728 4,66%
1950 5.336.686 265.354 4,97% 160.966 3,02%
1951 5.651.080 289.679 5,13% 181.025 3,20%
1960 8.434.828 558.482 6,62% 375.090 4,45%
1961 8.727.584 581.487 6,66% 420.246 4,82%
1970 13.771.750 843.103 6,12% 1.013.602 7,36%
1980 20.042.400 1.105.099 5,51% 1.568.457 7,83%
1989 26.582.911 1.302.212 4,90% 2.208.858 8,31%
1990 27.136.041 1.264.438 4,66% 2.321.153 8,55%
1991 27.496.511 1.331.700 4,84% 2.398.928 8,72%
2000 36.692.661 1.556.928 4,24% 2.628.056 7,16%
2006 47.329.381 1.647.840 3,48% 2.864.280 6,05%

La Germania sia alla vigilia della prima guerra mondiale che della seconda guerra mondiale è una vera potenza e ciò si riscontra anche nel PIL. Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, libera da impegni militari si concentra esclusivamente nell'economia civile ed i suoi tassi di crescita, superiori al 10% negli anni 50, la conducono a diventare nuovamente una potenza economica di primo piano. Anche il Giappone, dopo la seconda guerra mondiale cresce con tassi a doppia cifra, che lo conducono ad essere la seconda economia del pianeta.

Tab 4 - Tasso di crescita medio annuo dell'Economia mondiale, degli USA, della Germania e del Giappone a partire dal 1940. Tassi calcolati sui Dati del PIL in dollari 1990 Geary-Khamis di fonte Angus Maddison
Anno PIL mondiale Tasso di Crescita Annuo Mondiale PIL Germania % PIL Germania su PIL Mondiale Tasso di Crescita Annuo Germania PIL Giappone % PIL Giappone su PIL Mondiale Tasso di Crescita Annuo Giappone
1940 4.502.584 - 377.284 8,38% - 209.728 4,66% -
1950 5.336.686 1,85% 265.354 4,97% -2,97% 160.966 3,02% -2,33%
1960 8.434.828 5,81% 558.482 6,62% 11,05% 375.090 4,45% 13,30%
1970 13.771.750 6,33% 843.103 6,12% 5,10% 1.013.602 7,36% 17,02%
1980 20.042.400 4,55% 1.105.099 5,51% 3,11% 1.568.457 7,83% 5,47%
1990 27.136.041 3,54% 1.264.438 4,66% 1,44% 2.321.153 8,55% 4,80%
2000 36.692.661 3,52% 1.556.928 4,24% 2,31% 2.628.056 7,16% 1,32%
2006 47.329.381 4,83% 1.647.840 3,48% 0,97% 2.864.280 6,05% 1,50%

Come può vedersi anche nel grafico seguente, dopo la seconda guerra mondiale, Germania e Giappone sperimentano tassi di crescita superiori alla media mondiale e di qualsiasi altro paese.

Tasso di crescita annuo economia mondiale, Usa, Germania e Giappone

In sostanza alla fine degli anni sessanta, l'industria tedesca e giapponese supera in competitività quella americana. Nel 1969 si era sviluppata sui mercati monetari una fortissima pressione sul marco che aveva costretto la Bundesbank ad assorbire ingenti quantità di dollari allo scopo di mantenere le parità esistenti, stabilite a Bretton Woods.

Nonostante l'intervento, le autorità monetarie tedesche nell'ottobre dello stesso anno furono costrette ad interrompere la politica d'acquisto di dollari e a far fluttuare il valore del marco, che iniziava a sperimentare una rivalutazione crescente. Con la manovra tedesca il sistema di Bretton Woods subiva un durissimo colpo; tra l’altro cominciava ad insinuarsi il dubbio che gli Stati Uniti non potevano più garantire la convertibilità in oro del dollaro. La rivalutazione del marco non placò i movimenti speculativi a favore della moneta tedesca e in seguito al continuo peggioramento della bilancia dei pagamenti statunitense, aumentarono gli afflussi di dollari sul mercato tedesco. Nel maggio del 1971 le pressioni sul marco erano diventate così forti da indurre le autorità tedesche a rivalutare per la seconda volta la propria moneta.

In questi mesi la Federal Reserve è letteralmente invasa dalle richieste di conversione di dollari in oro. Il presidente americano Nixon il 10 agosto del 1971, per evitare che le casse della Federal Reserve si svuotassero completamente delle riserve auree, dichiarò unilateralmente la sospensione della convertibilità del dollaro. Si poneva fine dopo ventisette anni al sistema monetario che aveva garantito lo sviluppo dell'economia capitalistica statunitense.

La rottura dei trattati di Bretton Woods poneva fine ad un sistema di cambi fissi, aprendo la strada a continui terremoti valutari. Nel dicembre del 71 i rappresentanti del Gruppo dei Dieci si riunirono a Washington per negoziare le nuove parità monetarie. Era la prima volta, in questo secondo dopoguerra, che il riallineamento monetario avveniva su basi multilaterali; in questa sede la moneta tedesca si rivalutò di un altro 13,6% rispetto al dollaro e alle altre valute.

Nel secondo dopoguerra il commercio internazionale si era strutturato in maniera tale da utilizzare esclusivamente la moneta americana; tutto il mercato delle materie prime, e tra queste il petrolio, avveniva ed avviene esclusivamente in dollari. L’annuncio del 10 agosto del 1971 riguardante la sospensione della convertibilità del dollaro in oro non provocò il crollo del dollaro perchè l’intercambio delle principali merci, tra cui il petrolio, in assoluto la merce più importante nel sistema industriale attuale, avviene in dollari. Quell’annuncio, quindi non fece venir meno la necessità di rifocillarsi di dollari e le riserve delle banche centrali continuarono ad essere costituite in dollari per poter far fronte alle transazioni commerciali, che continuarono ad essere effettuate in dollari.

Dopo la rottura dei trattati di Bretton Woods, dunque, gli Stati Uniti, pur non essendo più la grande superpotenza economica mondiale, ha continuato a dominare il panorama economico attraverso il dollaro.

La situazione attuale

Oggi la situazione è radicalmente cambiata rispetto al 1971. Il potere economico degli USA si fonda quasi esclusivamente sull’utilizzo del dollaro come moneta di scambio.

Gli USA si trovano di fronte a due grossi problemi: da un lato un consumismo sfrenato fondato sul debito, che ha condotto ad un indebitamento generale (pubblico, privato ed impresariale) non più in grado di essere colmato; dall’altro lato il possibile utilizzo di monete alternative per l’intercambio commerciale internazionale.

Sia il possibile, probabile e forse imminente annuncio da parte degli USA di non poter più far fronte all’ingente debito accumulato, sia il possibile utilizzo da parte dei paesi produttori di petrolio (OPEC) di monete alternative per il pagamento di questo che è il bene più importante del sistema industriale, farebbe crollare il valore del dollaro.

Questi due fattori possono determinare, dunque il tracollo del dollaro, una enorme inflazione negli USA ed una crisi economica, praticamente irreversibile, con il declino definitivo dell'economia statunitense come superpotenza. Ovviamente non ne rimarrebbero immuni le altre economie mondiali, soprattutto quelle intimamente legate all'economia statunitense, come la europea, in particolare la economia italiana e inglese.

Per gli USA e per la sua economia, la sopravvivenza stessa è intimamente legata al fatto che il dollaro continui ad essere utilizzato come moneta di riserva di tutti gli Stati e principale moneta per gli scambi commerciali internazionali.

Però, il giorno in cui gli USA dovessero annunciare che non possono più pagare i propri debiti, quel giorno sarà la fine del dollaro e dell’economia USA e quel giorno non sarà un nuovo 10 agosto 1971; questa volta non interverranno i paesi produttori di petrolio a salvarla.

In conclusione, la fine del dollaro sembra essere vicina e con essa la fine degli USA come superpotenza economica.
Inoltre, non sembrerebbe azzardato ipotizzare la fine della stessa Unione, ossia la fine degli Stati Uniti come stato unitario; gli USA sembrano destinati a disgregarsi e da questa disgregazione nasceranno numerosi nuovi stati indipendenti.
Le differenze tra i vari stati dell’unione sono enormi e di fronte ad una crisi crescente diventerà sempre più forte la spinta degli stati più ricchi a liberarsi di quelli più poveri. La tendenza è in atto e ciò necessita un successivo doveroso approfondimento da parte nostra.

Fine dello strapotere economico USA significa fine del capitalismo?

La possibile fine del dollaro, della crisi economica negli USA ed in generale in tutto l’occidente non significa crollo del capitalismo. C’è chi, in questi giorni di crisi dei mercati finanziari, sta parlando di crisi e tramonto del sistema capitalistico! Niente di più falso, perché si tratta semplicemente di una crisi ciclica del capitale, di una crisi di ristrutturazione e ricollocamento del capitale.

Il sistema economico capitalistico, ossia la produzione di beni per il mercato, è in forte espansione e sta maturando in zone del mondo in cui fino a pochi decenni fa dominava praticamente il feudalesimo o qualcosa di molto simile.

Il capitalismo si sta dunque sviluppando in altre zone del mondo, dove una abbondante presenza di mano d’opera a prezzi stracciati rende molto più appetibile gli investimenti di capitale rispetto alle zone del capitalismo maturo. Sono fenomeni non nuovi nel sistema economico capitalistico.

Inizialmente il capitale esporta merci e servizi, poi con la caduta del saggio di profitto, nei paesi a capitalismo maturo, si passa all’esportazione dei capitali, che non hanno mai incontrato frontiere e barriere di nessun genere.

In una economia capitalista matura, la mano d’opera utilizzata nella produzione, l’unico fattore che determina il profitto del capitalista, inizia ad organizzarsi, a portare avanti lotte per ottenere maggiori diritti, maggiori salari e di conseguenza si determina una caduta del saggio di profitto, ossia il capitalista guadagna sempre di meno. A quel punto, il capitalista trova più conveniente esportare il capitale verso zone dove vi è un maggiore sfruttamento della mano d’opera, con salari più bassi ed in alcuni casi irrisori.

E’ esattamente quello che è successo, ad esempio, alla fine dell’ottocento con l’Inghilterra, i cui capitalisti trovano più convenienza, maggiori guadagni ad “esportare” i propri capitali oltre oceano, negli USA. E’ quello che sta succedendo ultimamente, ossia una crisi di ristrutturazione e ricollocazione del capitale. Il capitale sta lasciando progressivamente gli USA e l’Europa occidentale verso mercati che garantiscono saggi di profitti più alti, ossia verso l’Europa dell’est, verso l’Asia, verso i Paesi Arabi e verso l’America Latina.

La crisi di ristrutturazione attualmente in atto, sta determinando, non come dicono alcuni visionari, il tracollo del capitalismo, ma l’espansione del sistema economico basato sul capitalismo verso nuove zone. Il capitalismo a livello mondiale è in espansione, anzi in forte espansione, così come l’aumento della proletarizzazione, ossia sta enormemente crescendo a livello mondiale il numero dei proletari.

Il possibile tracollo degli USA non significa affatto superamento del capitalismo.

Note:
(1) Vedasi: Attilio Folliero e Cecilia Laya, Il dollaro, l'euro, il petrolio e l'invasione nordamericana; Tito Pulsinelli (traduzione di), Che succederebbe se l’OPEC passasse all’Euro?;
(2) Dati di fonte Internet
(3) Dato citato dal giornalista italiano Marcello Foa nel suo Blog
(4) Fonte: Bureau of Economic Análisis - US Department of Commerce
(5) Tratto sostanzialmente dall’articolo degli stessi autori, Il dollaro, l'euro, il petrolio e l'invasione nordamericana


Attilio Folliero è laureato in Scienze Politiche presso l'Università "La Sapienza" di Roma; fondatore e responsabile del sito web La Patria Grande. Cecilia Laya, sua moglie, è una economista venezuelana, laureata presso la UCV di Caracas; entrambi vivono a Caracas

Caracas, 22/10/2008 - Attualizzato 15/11/2008

Attilio Folliero e Cecilia Laya

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