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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Note all'accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009

(15 Febbraio 2009)

«Armonizzare la propria azione con le direttive del Governo Nazionale che ha ripetutamente dichiarato di ritenere la concorde volontà di lavoro dei dirigenti delle industrie, dei tecnici e degli operai come il mezzo più sicuro per accrescere il benessere di tutte le classi e le fortune della Nazione»
«l'organizzazione sindacale non deve basarsi sul criterio dell'irriducibile contrasto di interessi tra industriali ed operai, ma ispirarsi alla necessità di stringere sempre più cordiali rapporti tra i singoli datori di lavoro e i lavoratori»
dall'ordine del giorno approvato il 21 dicembre 1923 nella riunione svoltasi a Roma sotto la presidenza di Benito Mussolini fra Confederazione Generale dell'industria italiana e Confederazione Generale delle corporazioni fasciste
«Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione».
1927 «Carta del Lavoro» punto IV


Quando, per l'ennesima volta, la destra è tornata al governo una delle questioni che si è posta alla nostra discussione è stata la valutazione sulla natura e sugli effetti della sua politica sociale in senso lato e, in particolare, sindacale con riferimento a due possibili scelte:
1. un attacco diretto e radicale all'apparato sindacale volto a ridurre i costi che comporta, per lo stato e per le imprese, una burocrazia pletorica e a definire un rapporto diretto fra imprese private e pubbliche e lavoratori senza una significativa mediazione dei sindacati stessi;
2. le reiterazione della politica del precedente governo della destra e, di conseguenza, la ricerca di un rapporto privilegiato, per un verso, con CISL e UIL e, per l'altro, con la galassia dei sindacati autonomi di taglio corporativo come CONFSAL e CISAL e con quelli legati ai partiti di governo come UGL, in quota AN, e Sin Pa, in quota Lega Nord, che mettesse in un angolo la CGIL.

Su questo genere di questioni conviene, pena il lasciarsi fuorviare da pregiudizi ideologici quale il convincimento che la destra italiana sarebbe sul serio liberista*, lasciar parlare i fatti.

Un'importante cartina di tornasole può essere, a mio avviso l'ACCORDO QUADRO sulla RIFORMA DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI del 22 GENNAIO 2009, un accordo che supera quelli del 1992 e 93 che avevano visto l'adesione di CGIL – CISL – UIL e disegna un nuovo scenario per le relazioni sindacali.

Il primo fatto da cui partire è la firma da parte, appunto, di tutti i sindacati istituzionali con l'esclusione della CGIL e con la valorizzazione di sindacati come UGL e Sin Pa che hanno un peso reale fra i lavoratori decisamente modesto nonostante lo spazio loro riconosciuto dal governo ed assegnato dai media.

L'accordo segue il Protocollo di Intesa del 30 ottobre 2008 per il rinnovo del contratti del Pubblico impiego firmato da CISL, UIL, UGL e Confsal, un protocollo importante perché, proprio in corrispondenza di uno sciopero della scuola straordinariamente riuscito, spaccava il fronte sindacale istituzionale e concedeva al governo contratti decisamente modesti (aumenti del 3,2% delle retribuzioni per il biennio 2008/9 a fronte, solo nel 2008, di un'inflazione calcolata, con prudenza, al 3,3%).

Quali sono le caratteristiche nuove dell'accordo quadro?

Se gli accordi degli inizi degli anni '90 erano volti, essenzialmente, a comprimere i salari mediante il meccanismo che prevedeva il contenimento degli aumenti retributivi al di sotto della cosiddetta inflazione programmata (ovviamente dal governo) l'accordo quadro, che non abbandona affatto questo obiettivo, si propone essenzialmente di legare le retribuzioni alla produttività e cioè all'andamento delle aziende indebolendo la contrattazione di primo livello, quella nazionale, e dando più spazio, vedremo poi quale, alla contrattazione di secondo livello, quella aziendale.

Per quanto riguarda il contratto nazionale l'accordo prevede di sostituire l'inflazione programmata con l'IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. In pratica, si punta ad un'ulteriore riduzione del peso del contratto nazionale dal punto di vista economico.

I contratti avranno valore triennale, in luogo dell'attuale situazione che ne vede una durata quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte economica. È interessante notare che laddove il governo è anche il padrone si stabilisce che gli eventuali scostamenti fra inflazione reale ed aumenti verranno posti in contrattazione nel triennio seguente. Sembra di vedere quei simpatici cartelli che si trovano in alcuni negozi con su scritto “oggi non si fa credito, domani si”.

Applicando il tradizionale alternarsi di carota (sempre più piccola e vizza) e di bastone (sempre più duro) l'accordo prevede che “saranno definite le modalità per garantire l’effettività del periodo di <<tregua sindacale>> utile per consentire il regolare svolgimento del negoziato”.

Ora, se la lingua italiana ha un senso, il termine “effettività” significa che tutte le organizzazioni sindacali, in primo luogo quelle dissidenti, per non parlare dei comitati extrasindacali e degli scioperi spontanei, saranno costrette ad una “tregua” utile a non disturbare i manovratori ed a bloccare l'eventuale protesta delle lavoratrici e dei lavoratori.

Si tratta, a ben vedere di una normativa già presente in altri paesi sviluppati dove, di norma come ad esempio in Germania, si basano su di uno scambio un po' meno asimmetrico, rispetto all'Italia, fra pace sociale e garanzie per i lavoratori. Per quanto riguarda l'Italia, un modello del genere sta a quelli presi a riferimento come la scimmia sta all'uomo.

Qualcuno potrebbe obiettare che ci resta la contrattazione di secondo livello**, quella aziendale, quella sulla quale, almeno in ipotesi, i lavoratori hanno maggior margine d'azione***.

Peccato che in Italia le imprese che hanno una contrattazione aziendale sono solo quelle medio grandi, un'infima minoranza delle imprese ed una minoranza abbastanza modesta dei lavoratori.

L'inevitabile effetto di questo dispositivo sarà un'impossibilità, per i lavoratori, delle piccole imprese, la maggioranza, di recuperare anche solo parzialmente quanto sottratto loro dall'inflazione. Apparentemente un regalo della grande impresa alla piccola, in realtà un regalo dei grandi imprenditori a se stessi visto che le piccole imprese sono, di norma, indotto delle grandi sulle quali si scaricano le contraddizioni e nelle quali il rapporto di forza fra lavoratori e padroni e sbilanciato a favore di questi ultimi a loro volta sottomessi al dispotismo del grande capitale.

Ma, perché in ogni caso sia chiaro che non siamo di fronte ad una qualche forma di “liberi tutti” l'accordo prevede che la contrattazione aziendale non può toccare questioni trattate nella contrattazione nazionale (art. 11).

D'altro canto l'articolo 16 dell'accordo prevede che “per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria”.

L'apparente contraddizione con l'articolo 11 si risolve facilmente, si può derogare dai contratti nazionali ma lo si può fare in peggio.

Alla “tregua sindacale” generale se ne aggiunge, non c'è limite al peggio, una particolare.

Infatti l'articolo 18 dell'accordo prevede che “le nuove regole possono determinare, limitatamente alla contrattazione di secondo livello nelle aziende di servizi pubblici locali, l’insieme dei sindacati, rappresentativi della maggioranza dei lavoratori, che possono proclamare gli scioperi al termine della tregua sindacale predefinita”.

In pratica, in un settore che è sotto tiro, viste le privatizzazioni in cantiere, si è stabilito di garantire ai sindacati “rappresentativi” pesino il monopolio del diritto di sciopero. In pratica si blinda a doppio mandato la contrattazione.

A questo punto una domanda è legittima. Perché, in particolare, CISL e UIL, gli altri sindacati firmatari come l'intendenza seguono, accettano un accordo con simili caratteristiche?

Possiamo dare due risposte fra di loro concordanti:
l'accordo rafforza notevolmente il potere di controllo degli apparati dei sindacati concertativi sia nei confronti dei lavoratori che degli stessi delegati aziendali e, nello stesso tempo, punta a impedire lo sviluppo di organizzazioni sindacali di classe e conflittuali anche con specifici escamotage come l'art. 19 che recita”le parti convengono sull’obiettivo di semplificare e ridurre il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro nei diversi comparti”. In pratica padronato, governo e sindacati concertativi potranno definire i comparti per i quali si contratta sulla base della loro esigenza di scegliersi le controparti****;
l'articolo 4, forse il più importante da questo punto di vista, stabilisce che “la contrattazione collettiva nazionale o confederale può definire ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento di servizi integrativi di welfare”.

Traduciamo in italiano, già adesso esistono svariati enti bilaterali, gestiti dai sindacati concertativi e dalle associazioni padronali e finanziati con trattenute coatte sulla busta paga dei lavoratori, enti che sono macchine mangiasoldi e meccanismi di finanziamento della burocrazia sindacale.

Con l'accordo ad enti di questo genere verranno affidati nuovi ed importanti compiti per quanto riguarda assistenza, collocamento ecc.. se li sommiamo ai fondi pensione ed alle mille forme di finanziamento pubblico e privato, lecito ed illecito ai sindacati istituzionali ci rendiamo conto che, ad onta delle polemiche degli avversari a un tanto al chilo della “casta” siamo di fronte ad un robusto modello corporativo.

Fuori dal coro fra i sindacati istituzionali resta, per ora, solo la CGIL. Una scelta apparentemente forte e coraggiosa.

È, a questo proposito, opportuno fare alcune considerazioni:
la prova del fuoco l'avremo quando si tratterà o meno di costituire gli enti bilaterali. Sembra assolutamente improbabile che l'apparato della CGIL rinuncerà sul serio a massicce entrate ed ad un forte incremento del proprio potere. È ragionevole supporre che, naturalmente con rincrescimento, la CGIL a quel punto si adatterà;
già oggi la CGIL non è affatto compatta sulla scelta di non firmare. C'è già chi propone la tradizionale “forma tecnica”. Di fronte all'arroganza di governo, padronato e confindustria la CGIL tiene ma, come si suol dire, domani è un altro giorno, si vedrà;
la posizione della CGIL, è bene ricordarlo, deriva anche, non solo ma in misura considerevole dal fatto che non c'è un governo amico. Molte delle novità introdotte dall'accordo quadro non fanno che sviluppare precedenti accordi e proposte sottoscritti dalla stessa CGIL. Ovviamente vanno oltre quanto era disposta a concedere ma si tratta di gradazioni della stessa logica.

Di conseguenza, anche riconoscendo che il radicamento sociale della CGIL non è della precisa natura di quello di CISL ed UIL e che all'interno della CGIL vi sono minoranze di tradizione più conflittuale rispetto ad altre organizzazioni concertative è bene non immaginare una CGIL ricollocatasi su posizioni di classe pena cocenti delusioni a breve. Basta, a questo proposito, guardare alla normale pratica aziendale e categoriale della CGIL stessa.

In sintesi, ancora una volta la burocrazia sindacale ha brillantemente gestito lo scambio fra privilegi per sé e diritti dei lavoratori.

Ancora una volta è evidente la necessità di una battaglia contemporaneamente antipadronale ed antiburocratica che, a partire dalla costruzione di lotte, iniziative ed organizzazioni deve maturare come consapevolezza politica generale, capacità di assumere i compiti nuovi che ci aspettano, elevamento della qualità, dal punto di vista tecnico, politico, vertenziale della nostra azione.


03-02-2009

Note:

* Non pretendo affatto affermare con queste note che non è possibile, in futuro, un'offensiva statale e padronale di tipo liberista anche in Italia. In nazioni di ben più solida struttura economica, stando alla questione che trattiamo, politiche ostili ai sindacati istituzionali sono state praticate con successo. Basta pensare alla Gran Bretagna, in primo luogo, e agli USA degli anni '80 dove, però, si sono accompagnate a scontri politici e sociali importanti.
In realtà la burocratizzazione dei sindacati istituzionali ne fa dei soggetti fortissimi in apparenza per numero di iscritti, di funzionari, di sedi ma debolissimi laddove dovessero affrontare uno scontro reale.
Ma, come è noto, la guerra si fa in due, anche la guerra asimmetrica. E, perché vi sia, è necessaria la volontà di farla da parte anche del padronato e del governo, cosa che, al momento, non ritengo vi sia.

** Per favorire la quale è previsto, all'art. 9 dell'accordo che “le parti confermano la necessità che vengano incrementate, rese strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello che collega incentivi economici al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti”. In pratica si scarica una parte consistente della contrattazione aziendale sulla fiscalità generale con lo scontato effetto di rendere necessari ulteriori tagli a scuola, sanità previdenza ecc.
è interessante notare che nel settore pubblico l'art. 10 dell'accordo pone secchi vincoli agli sgravi fiscali. Insomma, dove uil governo è il padrone e non ci sono da finanziare le imprese, gli sgravi sono ridotti al minimo.

*** Ovviamente, lo sviluppo di un forte movimento di classe porrebbe in discussione le regole che ci vogliono imporre. È già avvenuto in più occasioni, basta pensare agli scioperi selvaggi degli autoferrotranvieri qualche anno addietro. Non si può, di conseguenza, escludere che una serie di lotte aziendali possa scardinare la nuova gabbia di ferro che ci viene imposta, anzi dobbiamo lavorare proprio in questa direzione. Ciò non toglie che di una gabbia di ferro si tratta e che va condotta una battaglia politica generale contro la sua introduzione.

**** In linea di principio può essere interesse dei lavoratori l'unificazione dei contratti soprattutto nel settore privato dove le aziende utilizzano la pletora dei contratti per dividere i lavoratori mediante le esternalizzazioni, gli appalti ecc.. ovviamente il problema è quale contratto si usa come riferimento. Se vi è la forza di estendere quello migliore, ovviamente, nessun problema.

Cosimo Scarinzi coordinatore di CUB SCUOLA

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