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Un messaggio per l'Europa

Un messaggio per l'Europa

(26 Marzo 2011) Enzo Apicella
La nube radioattiva fuoriuscita da Fukushima ha raggiunto l'Europa

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    Colonia francese?

    Gli accordi Berlusconi – Sarkozy sul nucleare: come passare da una finta dipendenza ad una vera sudditanza

    (27 Febbraio 2009)

    L’accordo Berlusconi – Sarkozy sul nucleare non è solo un attacco al diritto alla salute degli italiani, non è solo un’offesa al popolo che nel novembre 1987 decretò il no all’energia atomica con il 70% dei voti, non è neppure soltanto un regalo alla lobby dei cantieri che già gioisce. Ovviamente è tutto questo, ma è anche qualcosa di più: è un’incredibile scelta di dipendenza tecnologica, un regalo alla filiera nucleare francese in crisi, un omaggio alla copertura che l’Eliseo garantisce alla politica reazionaria di Palazzo Chigi.

    L’annuncio dell’accordo, cui è seguita la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) tra l’Enel e la francese Edf (ma non c’era il “libero mercato”?), è arrivato dopo un’intensa campagna propagandistica, tesa da un lato ad archiviare il risultato referendario – “la situazione è cambiata”... “la sicurezza è aumentata” ecc – e dall’altro ad alimentare l’idea dell’inevitabilità del ricorso al nucleare anche per contrastare l’effetto serra.
    Da questa campagna all’annuncio del ministro Scajola sull’avvio del nuovo progetto nucleare, con l’obiettivo di porre la prima pietra entro questa legislatura, il passo è stato assai breve. Ancor più breve il lasso di tempo che ha condotto all’accordo di ieri l’altro.

    I giochi non sono fatti
    Tuttavia, non è affatto detto che questa politica decisionista possa avere alla fine successo. Chi ha una certa età ricorda sicuramente la forza del partito nuclearista alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Quel partito – con l’elaborazione del PEN (Piano Energetico Nazionale) che prese le mosse nel 1975 - arrivò ad ipotizzare 20 centrali nucleari da costruire in pochi anni, a partire dalle prime 4 che avrebbero dovuto iniziare a produrre dal 1983. Di quelle 4 solo quella di Caorso iniziò l’attività, per cessarla poco dopo a causa di una serie di guasti e del dramma di Chernobyl, fino alla chiusura definitiva decretata appunto nel 1987.
    Se le 4 centrali di Donat Cattin non ebbero successo, perché Berlusconi dovrebbe averlo oggi?
    Gli odierni argomenti dei nuclearisti non sono affatto più forti di quelli di ieri, anzi. Chernobyl non è passata invano, le energie rinnovabili (argomento che qui non è possibile approfondire) sono assai più credibili, l’aumento della domanda di energia è decisamente più basso. Oggi sappiamo, nonostante il segreto militare, che le riserve di uranio sono limitate più di quanto si pensasse e che il picco produttivo è piuttosto vicino, ma sappiamo anche che il prezzo dell’energia atomica non è affatto competitivo rispetto alle altre fonti primarie. A conferma di tutto ciò un fatto macroscopico: quasi nessuno costruisce più impianti nucleari. In Europa ci sono soltanto due centrali in costruzione, in Francia ed in Finlandia. Gli altri stanno a guardare... ma adesso ecco l’Italia.

    La lotta inizia ora
    Negli ultimi anni un numero impressionante di articoli di tecnici, economisti, politici e pennivendoli vari ha cercato di far passare l’idea che gli italiani sono ormai pronti al “grande ritorno”. Sono finiti, si dice, “i tempi della demagogia”, ed oggi un sano “realismo” regnerebbe dalle Alpi alla Sicilia. Ma nonostante l’enorme opera di disinformazione e l’innegabile successo della cloroformizzazione di massa, i sondaggi ci parlano piuttosto di un paese spaccato in due come una mela. Un dato che fa ben sperare per il futuro, quando necessariamente un vero dibattito dovrà riaprirsi. Speriamo senza dover attendere il momento topico dell’annuncio dei siti.
    Gli antinucleari verranno certamente accusati, fra le altre cose, di far leva strumentalmente sull’emotività. Ma è strumentale ricordare le vittime dell’incidente di Chernobyl che liberò una quantità di radioattività 200 volte superiore a quella di Hisoshima e Nagasaki? E’ strumentale ricordare che la più grande centrale nucleare al mondo – quella di Kashiwazaki in Giappone – è ferma dal luglio 2007 a causa dei guasti provocati da un sisma ben inferiore a quelli attesi nel sito in cui sorge? E’ strumentale ricordare la sequenza infinita degli incidenti dell’estate 2008 negli impianti francesi? E’ strumentale ricordare il precedente fallimento (10 miliardi di euro gettati al vento, un terzo pagato dagli italiani con le bollette della luce) della collaborazione italo-francese per il reattore al plutonio Superphenix?
    Già, la Francia...
    Nel 1986, quando tutta l’Europa seguiva con ansia l’evolversi della cosiddetta nube di Chernobyl, i cittadini francesi erano quelli meno informati del continente, vittime di un sistema che ha fatto dell’atomo (civile e militare) un dogma al quale sacrificare non solo la salute ma anche l’informazione e dunque la democrazia.
    E’ verso quel sistema che il governo Berlusconi vuole andare. E’ contro quel sistema che la lotta deve iniziare al più presto. La battaglia sarà lunga, ma vincerla è possibile.

    Alcuni dati
    Prima di parlare dell’attuale deriva francese della politica energetica italiana è utile partire da alcuni dati, considerando che il sistema informativo italiano è non solo servile, ma anche confusionario.
    Non è dato sapere se lo sia per scelta o per ignoranza, probabilmente per entrambe le cose. Sta di fatto che si confonde sistematicamente il fabbisogno energetico con quello elettrico, che ne rappresenta solo un terzo. Si confondono potenza installata ed energia prodotta. Si parla di dipendenza del sistema elettrico solo in virtù di importazioni che nascono da una scelta economica non da una necessità strutturale come i più sono indotti a credere.
    L’Italia ha una potenza installata ormai superiore ai 90.000 megawatt, quando la rete elettrica nazionale ne richiede nelle punte massime 55.000. Ovviamente non tutta la potenza installata può essere sempre disponibile, sia per le manutenzioni, che per la stagionalità di alcune fonti primarie come l’idroelettrico e l’eolico, ma è sicuro che l’attuale potenza disponibile è perfettamente in grado di soddisfare tutte le esigenze nazionali (330 miliardi di Kwh annui).
    Allora perché l’Italia continua ad importare circa 40 miliardi di Kwh all’anno dalla Francia?
    Semplice, solo ed esclusivamente perché è conveniente. Ma la convenienza non discende da un minor costo del chilowattora nucleare, ma da una rigidità tecnica facilmente spiegabile. Gli impianti nucleari (come in generale quelli termici) sono poco flessibili; non possono (a differenza di quelli idroelettrici o turbogas) variare il carico di funzionamento in tempi rapidi. Ora si da il caso che l’energia elettrica abbia la particolarità di dover essere prodotta in tempo reale (consumo = produzione meno perdite di rete). A differenza delle altre forme di energia non è possibile l’accumulo e dunque un sistema elettrico come quello francese nuclearizzato al 78% la notte, con un carico che è circa il 50% di quello diurno, si trova in condizioni di enorme sovrapproduzione che determina una necessità di vendita sottocosto all’estero. Ed infatti l’Italia importa dalla Francia essenzialmente di notte (utilizzando fra l’altro l’energia a basso costo per ricaricare i bacini idroelettrici che funzionano a pompaggio), non di giorno quando la curva del carico di rete è massima, a dimostrazione che il sistema nazionale sarebbe perfettamente in grado di fare a meno delle importazioni.
    Sì, diranno i nuclearisti, ma perché non arrivare anche noi ad un’energia a costo così basso? Per una ragione molto semplice: perché, al di là degli enormi costi ambientali, è comunque impossibile. Il modello francese è un’eccezione nel panorama mondiale. Ha richiesto investimenti eccezionali, in buona parte legati al settore militare, ed ha goduto di un territorio assai adatto ed asismico, ben diverso da quello della penisola. Solo sviluppando tutta la filiera nucleare ed arrivando ad elevatissime economie di scala è possibile ridurre veramente i costi. Oltre a ciò va detto che le cifre che ci vengono presentate sono un po’ “furbe”, perché non tengono conto dei costi – anche qui prescindendo da quelli ambientali – per lo smaltimento delle scorie (questione che rimane completamente irrisolta!) e per lo smantellamento degli impianti giunti a fine vita. Costi che nel caso francese sono sostanzialmente assorbiti dallo stato.
    C’è poi il balletto delle cifre sul costo effettivo dei reattori EPR: l’Enel aveva parlato inizialmente di 3,5 miliardi cadauno, poi saliti a 4; altre fonti indicano la cifra più realistica di 6 miliardi, per un totale di 24 miliardi per i primi 4 reattori previsti, così tanto per cominciare!
    Per concludere sui numeri, giova ricordare che il mostro nucleare francese copre il 78% non dei consumi energetici, bensì di quelli elettrici, mentre la quota sui consumi finali complessivi è di circa il 25% e la Francia continua ad importare petrolio quanto l’Italia. Ed ancora, a causa di quella stessa rigidità del sistema nucleare che la obbliga ad esportare sotto costo la notte, di giorno capita che la Francia sia costretta ad importare energia elettrica dalla più flessibile Germania...

    La vera dipendenza
    Abbiamo visto sommariamente come l’Italia non abbia attualmente una vera dipendenza dalla produzione elettrica francese. I sostenitori del nucleare potrebbero però obiettare che vi è un’eccessiva dipendenza dai combustibili fossili. Questa dipendenza ovviamente c’è, ma riguarda tutti i settori, dai trasporti, al residenziale non soltanto quello della produzione di energia elettrica. E’ una dipendenza che hanno tutti i paesi europei, con l’eccezione della Norvegia e della Gran Bretagna e che comunque, come si è visto nel caso francese, non è risolvibile con il nucleare.
    Ora, però, la dipendenza sta per arrivare anche nel settore elettrico.
    Mentre Edf (già presente in Italia attraverso Edison) costruirà le centrali italiane in società con Enel, il colosso francese Areva (in crisi) ci piazzerà i sui reattori che nessuno al mondo gli compra più. Tutto il settore nucleare francese, quasi fermo in patria per raggiunta saturazione, e fermo del tutto all’estero perché fuori moda e troppo costoso (il progetto finlandese è stato bloccato per un aggravio di costi di 2 miliardi di euro), troverà il modo di rifarsi nella vergine Italia.
    A condizione che glielo consentiamo.

    E la sicurezza?
    Recita l’accordo Enel-Edf: “Quando sarà completato l’iter legislativo e tecnico in corso per il ritorno del nucleare in Italia, Enel ed Edf si impegnano a sviluppare, costruire e far entrare in esercizio almeno 4 unità di generazione, avendo come riferimento la tecnologia EPR (European Pressurized water Reactor), il cui primo impianto è in costruzione a Flamnville in Normandia”.
    Una tecnologia che ci viene ovviamente presentata come super-sicura.
    Ma proprio in contemporanea con l’annuncio romano, il quotidiano britannico “The Indipendent” ha reso noto di aver messo le mani su dei documenti che se da un alto attestano la tecnologia EPR come meno esposta al rischio di guasti, considerano la stessa assai più pericolosa in caso di incidente.
    Uno studio super-segreto della stessa Edf evidenzierebbe un’emissione di isotopi radioattivi di bromo, rubidio, iodio e cesio 4 volte superiore (altri dicono 7) a quelle dei reattori tradizionali. In questo modo le vittime previste a parità di incidente raddoppierebbero. Alla faccia della sicurezza!
    Oggi in pochi sembrano interessarsi a questa mostruosità italo francese, ma possiamo stare certi che le cose cambieranno non appena il progetto comincerà a prendere forma.

    Non solo atomo
    Ma il vertice italo-francese non si è occupato solo di energia nucleare, ma anche di Tav – ovviamente da completare – e soprattutto di collaborazione nel campo militare, dall’Afghanistan al Libano, arrivando ad ipotizzare la creazione di un battaglione navale congiunto.
    E’ chiaro che siamo di fronte ad un’intesa politica complessiva, che ha fatto dire a Sarkozy che al prossimo vertice UE “Italia e Francia parleranno con una voce sola per chiedere di prendere decisioni forti”.
    Di questa intesa la questione nucleare è il simbolo, perché la scelta atomica non è meramente economica, ma implica stretti rapporti politici e militari. “E’ una gioia aver firmato questi accordi sul nucleare”, ha detto Berlusconi. Non disperiamo di avere in futuro noi la gioia di farglieli rimangiare. E la “prima pietra” il ministro Scajola più che posarla potrebbe riceverla in fronte. La storia del nostro paese dimostra che ciò è possibile. Dobbiamo crederci.

    Giovedì 26 Febbraio 2009 14:37

    Leonardo Mazzei

    Fonte

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