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Quando i DS andavano alla guerra: "Dovere della sinistra far guerra a un dittatore"

Intervista Walter Veltroni su La Repubblica del 1 aprile '99

(10 Aprile 2003)

Il leader ds Veltroni: "Blair ha ragione: dobbiamo fare dei diritti umani il nuovo internazionalismo"

ROMA - "Ci sono in gioco decisioni che lasceranno una traccia incancellabile, nella storia di questo Continente. Ci sono in gioco la vita, la morte, i diritti degli uomini. Sono i giorni più difficili della nostra avventura politica...". Nel suo ufficio al secondo piano di Botteghe Oscure Walter Veltroni scorre sul video il bollettino di guerra nel Kosovo. Lo sguardo è cupo, come questo pomeriggio romano. Com'era più facile, per i capi che l' hanno preceduto dietro a quella scrivania, gridare tanti anni fa nelle piazze "No war!"...

Onorevole Veltroni, la Sinistra che fu pacifista governa e per la prima volta sostiene una guerra. Con che spirito?
"Con un'angoscia enorme, e tra milioni di dubbi. Noi ci siamo presi sulle spalle una grandissima responsabilità. La stiamo portando avanti con onestà. Io non sto al gioco di chi divide la Sinistra tra Rifondazione che si muoverebbero sulla base di principi e valori, e noi che invece avremmo agito soltanto per realpolitik. Non è così: noi ci siamo mossi, in questa terribile vicenda, seguendo una convinzione etico-morale forte. E' vero o no che nel Kosovo, cioè nel cuore d'Europa, siamo di fronte al più terribile genocidio degli ultimi 50 anni dopo l'Olocausto? Tutti abbiamo negli occhi le immagini di quelle centinaia di migliaia di profughi, e nelle orecchie le storie di quei padri e figli divisi, torturati, uccisi. Tutti leggiamo che le brigate serbe stanno sparando sui profughi in fuga. Questi sono fatti, non notizie 'manipolate' dal Pentagono. E questi fatti accadono in queste ore, ma stanno accadendo da mesi, come troppo spesso si dimentica".

Si dimentica o si sacrifica al principio della "pace ad ogni costo"?
"Ma la tragedia del Kosovo non comincia oggi! E la ragione che ha spinto all'intervento militare è che questo disastro va avanti da ottobre. C'erano, già allora, 460 mila profughi, molti dei quali rifugiati sui monti, in condizioni disumane. E allora vede, mi sono interrogato spesso in questi giorni: cosa dovevamo fare, per far finire pacificamente il genocidio? Appellarci all'Onu, sapendo che non può decidere nulla, paralizzata dal sistema dei veti? Invocare Milosevic, perchè smettesse la pulizia etnica? Tutte strade già tentate...".

Il conflitto come sola possibilità: è la vera svolta della Sinistra, che afferma il concetto di "guerra etica e giusta"?
"Non è una svolta di oggi. Per me, e per molta gente a Sinistra, la svolta fu la tragedia di Serajevo. Io allora fui per l'intervento militare che, è bene ricordarlo, finì grazie all'intervento della Nato. Oggi in Kosovo c'è perfino di più: una tragedia umanitaria, un dittatore sanguinario che sta compiendo un massacro. Eccolo, il fondamento etico dell' intervento, dal punto di vista della Sinistra che voglio rappresentare: la difesa dei diritti umani - quella sì, a qualunque costo - che sono la grande identità della Sinistra del 2000. E anche questa non è una scoperta di oggi, per me: da mesi parlo della Birmania, del Ruanda, di Cuba e dei dissidenti sbattuti in galera da Castro, o ricordavo a Jang Zemin in visita in Italia le esecuzioni degli oppositori in Cina. Adesso si vede qual è il filo conduttore di questa politica: il tentativo di costruire una Sinistra che faccia dei diritti umani il suo nuovo 'internazionalismo', come ha detto Tony Blair alla convention dei socialisti europei a Milano. Una nuova coscienza dei disastri umanitari, del dolore, della catastrofe che c'è in tante parti del mondo. Il Kosovo, per colpa di Milosevic, è oggi la parte più devastata da questo flagello. Per farlo finire, purtroppo, la comunità internazionale è costretta ad usare lo strumento estremo, i bombardamenti".

Perchè in Kosovo sì, e in Ruanda o nel Curdistan no?
"Capisco questo tormento. Ma vede, la difesa dei diritti umani deve diventare una buona ragione per una nuova e forte pressione dovunque nel mondo, e non per rinunciare ad esercitarla anche in Kosovo, dopo esser rimasti a guardare gli 800 mila morti del Ruanda o quelli del Curdistan. C'è un passaggio bellissimo di un libro di Vittorio Foa, Questo Novecento: 'Non mi ha mai dato tregua la cosiddetta sindrome di Monaco, l' ansia di trovare una risposta alla violazione dei diritti umani appena si presentano, prima che diventino morte di massa...'. E' un insegnamento storico che dovremmo ricordare: la Sinistra delle lacrime e delle dichiarazioni all'Ansa non salva una vita...".

Neanche i bombardamenti stanno salvando vite umane. Dove porta l'escalation? Alle truppe di terra?
"Questo è un problema reale. Provo una grande angoscia, se penso ai rischi dall'escalation. Tutti noi ci chiediamo, come il 'Washington Post', quale può essere l'exit-strategy dell'intervento Nato. Per ora in Italia non abbiamo considerato lo scenario dell' impiego delle truppe di terra. Io penso che sarebbe terribile. Non si può lasciare che il conflitto sia 'governato' dalla pura sequenza delle fasi militari, perchè questo rischia di portarci a un nuovo Vietnam nel cuore d'Europa".

L'alternativa qual è?
"L'azione militare, in queste ore, continua, su questo tutti i governi sono concordi. Ma a questo si deve affiancare il massimo di attitudine negoziale. Giorno per giorno vanno verificati gli spiragli per la trattativa diplomatica. C'è l'esigenza di un 'governo politico' di cui tutti devono farsi carico. L'Onu non riesce a svolgere i suoi compiti, bloccata com'è dal diritto di veto. E all'Europa, la grande sconfitta di queste vicende balcaniche, non basta la moneta unica, non basta Shengen, se non nasce un sistema di difesa comune...".

Questa linea non indebolisce l'Alleanza, lasciando soli i nostri militari?
"No, perchè il documento approvato dalla maggioranza lunedì ha introdotto una novità: si sospendono i bombardamenti nel momento in cui Milosevic interrompe le persecuzioni contro i kosovari. In questo quadro, va bene anche la tregua di Pasqua che propongono le tre Chiese, purchè il dittatore serbo dia un segno chiaro e reale".

Ma fino a che punto si può restare fedeli al Patto atlantico? Da ieri Verdi e Comunisti pongono un aut aut al governo: o tregua, o dissociazione.
"La fedeltà atlantica vive in una strategia e in una politica condivise. Noi vogliamo essere alleati affidabili in un fronte occidentale che si adopera per fermare un genocidio. Il governo, come Dini ha detto, si è speso per una tregua. Speriamo che nelle prossime ore maturino le condizioni. A partire dalla prima: la fine dei massacri nel Kosovo".

Il discrimine per Cossutta e Manconi è come si ferma il genocidio. Anche qui è ambigua la linea italiana: diamo assistenza militare ai bombardamenti Nato, ma ci salviamo la coscienza non bombardando coi nostri Tornado.
"Chi ha davvero a cuore la pace non dovrebbe preoccuparsi che sulle bombe ci sia scritto made in Germany piuttosto che made in Italy: sempre di bombe si tratta. In un intervento militare come questo noi siamo coinvolti comunque, perchè lo riteniamo inevitabile. Ma se saremo chiamati a un contributo militare diverso dovremo ridiscuterne in Parlamento".

Pesano, a Sinistra, i residui del vecchio anti-americanismo del Pci?
"Per quello che ci riguarda no. Enrico Berlinguer, nel 1976, disse che era giusto stare nella Nato perchè con quell'ombrello ci sentivamo più sicuri. Successe l'ira di dio, ma aveva ragione lui. La guerra in Bosnia l' ha fermata la Nato. E poi aggiorniamo l'orologio della storia: oggi non c'è più la guerra fredda e la contrapposizione dei 'blocchi', non regge più la vecchia antitesi ideologica tra la 'Nato cattiva e l'Onu buona'. Quel vecchio ordine è finito. Ma la costruzione di un nuovo ordine mondiale è il compito della nostra generazione".

Ma nel suo partito iniziano le defezioni. Tortorella non si è dimesso?
"La lettera di Tortorella non l'ho ricevuta ancora. Ma io rispetto il disagio e l'incertezza che c'è in una parte della Sinistra. In particolare ho rispetto per quelle forze del volontariato e del pacifismo che 'sono sul campo': non negano affatto la possibilità dell'uso della forza per fini umanitari, e contestano l'efficacia dell'azione di oggi. Ma chiunque, non solo a Sinistra, è scisso dentro di sè. Da una parte le ragioni umanitarie, che impediscono di lasciare mano libera a Milosevic nel genocidio; dall'altra l'angoscia per i bombardamenti che spargono dolore e distruzione. Questo disagio è comunque significativo".

Significativo di che cosa?
"La Sinistra, in questa immane tragedia, sta compiendo una sofferta e drammatica maturazione. Noi l'avvertiamo, e discutiamo a fondo. Questo marca una differenza tra noi e la Destra, che non discute e si occupa dei riflessi del Kosovo sulla maggioranza, della possibilità di una crisi e magari di un governo istituzionale. La nuova Sinistra, di fronte alla guerra, trova invece il suo 'dover essere' nelle convinzioni etico-morali, non certo nel calcolo politico".

di MASSIMO GIANNINI

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