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S.O.S. Gaza: missione compiuta, ma e’ solo l’inizio.

(14 Marzo 2009)

Siamo tutti giustamente orgogliosi di aver portato a termine quella che molti ritenevano una mission impossible, per non dire un’iniziativa velleitaria e destinata ad un’inevitabile fallimento. Invece, la delegazione del Forum Palestina e i medici e gli infermieri del progetto “Mente e guerra” sono riusciti a rompere l’embargo che attanaglia la Striscia di Gaza. Siamo entrati nel territorio proibito, abbiamo consegnato il denaro raccolto in tutta Italia per l’ospedale Al Awda e gli operatori sanitari hanno preso servizio presso lo stesso ospedale, a fianco dei colleghi palestinesi.

Con i mezzi che avevamo a disposizione, abbiamo documentato i crimini commessi dallo Stato di Israele: abbiamo visitato i feriti ricoverati nell’ospedale Palestine al Cairo e ci siamo recati sui luoghi dei bombardamenti. I feriti che abbiamo visto sono tutti civili, colpiti nelle loro case o in strada da armi terribili, lanciate con feroce cinismo su zone densamente popolate, con lo scopo deliberato di uccidere e rendere invalidi. Nonostante il lavoro eroico dei medici dell’ospedale Palestine, è quasi impossibile sanare le ferite prodotte dal fosforo bianco, dalle DIME e da tutte le altre diavolerie che gli Israeliani hanno scagliato contro una popolazione già provata dall’embargo e che non dispone di rifugi come quelli dei tanto compatiti abitanti dell’insediamento israeliano di Sderot. Non c’era nessun rifugio per la piccola Dima, tre anni di vita, ferita alla testa dai valorosi soldati di Tsahal, che ha lottato contro la morte per cinquanta giorni, prima di arrendersi. Vogliamo ricordarla ancora, perché non ne possiamo più dei servizi lacrimevoli del Claudio Pagliara di turno su quanto sono stressati i poveri Israeliani costretti a correre nei loro rifugi blindati per trovare scampo da quei razzi Qassam che, in dieci anni, hanno fatto meno morti di un fine settimana qualsiasi sulle nostre autostrade. Siamo stanchi di assistere ai queruli piagnistei sulle (poche) vittime israeliane, ognuna delle quali viene ricordata con nome e cognome, con il pianto dei parenti e degli amici teletrasmesso in prima serata, mentre le centinaia di bambini come Dima falciati dalla barbarie sanguinaria della bestia sionista non hanno mai un volto, un nome, una storia, una famiglia che li piange. Non sono nemmeno numeri, ormai, perché la “guerra” di Gaza è finita, c’è una tregua, e allora non si deve dire che Israele non rispetta nemmeno la sua stessa tregua e continua a distruggere, ferire ed uccidere.

Abbiamo visto i caseggiati di Gaza ridotti a cumuli di macerie, e le famiglie arrangiate in tendopoli improvvisate sulla sabbia, mentre Israele impedisce il passaggio dei materiali per costruzioni, del cemento, dei mattoni, dei tondini di ferro. E’ la stessa fredda crudeltà che tiene fermo da mesi ad Askhelon l’ascensore donato dalla Banca Mondiale all’ospedale Al Awda, dove i portantini e gli infermieri devono portare i pazienti in sala operatoria a braccia, salendo i gradini delle scale uno ad uno. Abbiamo visto le barche dei pescatori uscire dal porticciolo semidistrutto di Gaza e allontanarsi dalla terraferma solo per qualche centinaio di metri, per non essere speronate o mitragliate dalle navi da guerra israeliane, che non permettono loro di prendere il largo, dove le acque sono più pescose. Abbiamo visto le strade buie, perché non c’è energia sufficiente per l’illuminazione notturna. Abbiamo visto colonne di fumo levarsi verso il cielo dopo le esplosioni dei missili a poche centinaia di metri da dove ci trovavamo, mentre non abbiamo mai visto i bombardieri israeliani, che recapitano i loro messaggi di morte da chilometri e chilometri di distanza, tanto lontani che non si sente nemmeno il rombo dei loro motori.

*****
Abbiamo visto e conosciuto un popolo fiero e gentile. Non c’è stata una sola persona, fra tutte quelle che abbiamo incontrato, che non ci abbia sorriso e salutato con un welcome sincero e affettuoso. Abbiamo visto moltitudini di bambini invadere le strade dissestate all’uscita delle scuole, con i grembiulini colorati e gli zainetti sulle spalle, come tutti i bambini del mondo. Abbiamo visto i poliziotti - quelli che da noi chiamano i miliziani di Hamas - che prima di scortarci verso le nostre destinazioni si identificavano mostrandoci i loro tesserini, mentre a noi non hanno mai chiesto un documento … e il pensiero non poteva non correre a certi energumeni in borghese che, nella democratica e occidentale Italia, ti fermano e, senza mostrarti altro che le loro sputafuoco, ti chiedono i documenti, e dove vai, e cosa fai, pretendendo che tu sappia che loro sono pubblici ufficiali, anche se sembrano proprio delinquenti di strada.

Abbiamo visto un sacco di cose che in televisione non ci fanno mai vedere, e che porteremo in giro per l’Italia, nelle assemblee, su internet, con le fotografie che abbiamo scattato ed i filmati che abbiamo girato. Lo faremo perché quello che abbiamo compiuto è soltanto l’inizio. Abbiamo voluto dire ai compagni ed ai medici dell’ospedale Al Awda che i soldi che abbiamo portato a Gaza sono soldi puliti, perché provengono da gente per bene, da lavoratori, da studenti, da famiglie che li hanno sottratti ad un bilancio già magro, in questi tempi di crisi. Abbiamo voluto dire a tutti che fra quei 21.300 euro non c’è nemmeno un centesimo che provenga da Regioni o Comuni, o da partiti politici, evidentemente in tutt’altre faccende affaccendati. Soprattutto, abbiamo voluto dire che la stessa determinazione che ci ha portato a rompere l’assedio di Gaza la metteremo in campo affinché la breccia che abbiamo aperto si allarghi sempre di più.

Per allargare la breccia, è necessario operare da subito su più terreni, che qui provo a sintetizzare:
Bisogna premere con ogni mezzo necessario sulle autorità egiziane affinché rimuovano ogni ostacolo alla libera circolazione delle merci, delle persone e degli aiuti umanitari attraverso il valico di Rafah. Naturalmente, questo significa anche che le missioni internazionali come la nostra S.O.S. GAZA non devono essere azioni simboliche una tantum, ma diventare una pratica costante. Con tanta gente che ciancia di diplomazia dal basso dall’alto della propria poltrona, noi abbiamo dimostrato che persone comuni sono in grado di coniugare il dire e il fare. Non ci fermeremo.

Bisogna sviluppare la campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro lo Stato di Israele. Le giornate del 28, 29 e 30 marzo devono segnare l’inizio di una mobilitazione massiccia davanti ai supermercati, ai centri commerciali, ai negozi delle catene che smerciano i prodotti individuati dal codice a barre 729 e quelli delle aziende come Lavazza, Teva-Dorom, L’Oreal, Carmel, Jaffa, ecc. La drammaticità della situazione a Gaza non deve farci dimenticare che tutta la Palestina geme sotto il tallone di ferro dell’occupazione sionista e che lottare contro quell’occupazione, con ogni mezzo necessario, è, prima ancora che un’iniziativa politica, un dovere morale per ogni essere umano.

Bisogna smascherare la complicità degli Enti Locali che collaborano con lo Stato di Israele. In particolare, visto che siamo in vista di un’importante tornata elettorale, dobbiamo dichiarare pubblicamente che nessun partito e nessun candidato che non si impegni a cancellare, ovunque esistano e di qualunque natura siano, accordi e collaborazioni con lo Stato sionista, vedrà mai il nostro voto.

Si tratta di indicazioni di massima, che dovranno trovare riscontro nell’articolazione pratica dell’iniziativa, come ci siamo sforzati di fare da quando è nato il Forum Palestina. E’ necessario, quindi, che si costituiscano subito i comitati locali BDS e che la mobilitazione a sostegno dell’ospedale Al Awda e delle altre strutture palestinesi continui. Perché una cosa è certa: a Gaza noi ci torniamo.

Germano Monti (Forum Palestina)

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