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Vittorio Arrigoni

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(15 Aprile 2013) Enzo Apicella

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Gaza: è sempre più necessaria la mobilitazione della società civile mondiale

Intervista a Vittorio Arrigoni

(18 Marzo 2009)

Abbiamo incontrato Vittorio Arrigoni in occasione della delegazione a Gaza del Forum Palestina "S.O.S. Gaza".

Ti abbiamo seguito in particolar modo per le tue corrispondenze e gli articoli su "Il Manifesto" nei giorni del massacro. Qual’ è oggi la situazione a Gaza?

La situazione nella Striscia di Gaza continua ad essere di emergenza umanitaria, di post-"catastrofe innaturale", come la chiamo io. Innaturale perché i terremoti che hanno fatto crollare gli edifici, seppellendo centinaia di civili, non sono stati causati da una forza ineluttabile della natura, ma dalla volontà deliberata di un esercito guidato da un governo che ha voluto fare una strage di massa di civili. I valichi continuano ad essere drammaticamente chiusi, o aperti col contagocce. Una settimana fa abbiamo incontrato una delegazione di euro-parlamentari guidati da Luisa Morgantini e Vittorio Agnoletto, che hanno constatato che le uniche cose che passano dai valichi come derrate alimentari non sono sufficienti per coprire una popolazione di un milione e mezzo di persone, e se teniamo conto che più di 50.000 persone sono rimaste senza tetto, e 21.000 edifici sono stati danneggiati o distrutti… Oltre a questo, pensiamo alle principali attività di sussistenza economica di Gaza, che sono la pesca e l’agricoltura: i pescatori non possono andare a pescare a oltre 3 miglia dalla costa e se lo fanno sono attaccati dalle navi da guerra israeliane, ci sono stati diversi feriti.. dall’altra parte se i pescatori non possono andare a pescare, gli agricoltori non possono coltivare il loro pezzo di terra. Alla fine del massacro Israele ha ricavato 1 km dei confini israelo-palestinesi, entro il territorio palestinese, come "confine militare inaccessibile", e immaginatevi cosa vuol dire 1 km nella Striscia di Gaza che in alcuni tratti è stretta solo 3km - 3km e mezzo. Questa è la situazione: un assedio ancora più efferato di quello precedente al massacro, se pensiamo che l’emergenza umanitaria non è nata adesso e neanche durante i bombardamenti. Per un anno e mezzo i valichi sono stati sigillati e ciò ha comportato una distruzione totale dell’economia interna, portando l’80% delle famiglie a vivere di aiuti umanitari, incentivando uno dei tassi di disoccupazione più alti del mondo, al 60% , col 47% di bambini che soffre di anemia acuta. Questo prima del 27 dicembre, immaginatevi ora, dopo che buona parte della Striscia di Gaza è stata ridotta in macerie. La maggior parte della popolazione non ha gas, energia elettrica, e soprattutto l’emergenza riguarda coloro che vivono in tendopoli o affollano ancora le scuole delle Nazioni Unite, ridotte a campi profughi.

Gli aiuti che arrivano da tutto il mondo quindi non entrano all’interno della Striscia di Gaza? Noi abbiamo visto al confine, al valico di Rafah, alcuni container accumulati; cambierà qualcosa secondo te dopo la Conferenza di Sharm El Sheik?

Si è scelto di non far entrare gli aiuti direttamente a Gaza ma di affidarli a Ramallah, ad Al Fatah, vale a dire Abu Mazeen che, ricordo, ricopre una carica illegittimamente dato che il suo mandato è scaduto il 7 gennaio. Non si capisce perché questi aiuti non sono stati destinati a una ONG o direttamente alle Nazioni Unite, e si è deciso di farli passare per Ramallah, vale a dire in pratica per Israele. Si parla tanto di ricostruzione: alcuni professori universitari mi dicevano che ci vorranno 5 anni per ricostruire la Gaza di fine dicembre, se si iniziasse oggi la ricostruzione; ma in realtà quello che si è fatto finora è stato spostare le macerie da una parte all’altra, non si può ricostruire fin quando il materiale continuerà a non arrivare; attualmente non è passato assolutamente nulla, neanche le cose più basilari tipo i vetri per coprire le finestre.

Le "tregue" annunciate, come subito prima del massacro iniziato il 27 dicembre e subito dopo la fine del massacro, se possiamo dire che è finito, sono state rispettate da Israele?

Da questo punto di vista la popolazione di Gaza non crede più a questa favola delle tregue israeliane. Hanno venduto al mondo un massacro di 1.500 palestinesi, di cui il 90% civili, come una risposta ai lanci di pseudo-razzi Qassam su Israele, a una ipotetica rottura della tregua da parte di Hamas. In realtà, e non lo dice Vittorio Arrigoni ma lo dice Richard Falk, capo del Consiglio dei diritti Umani delle Nazioni Unite, la tregua di fatto, precedentemente al massacro, è stata rotta da Israele nel mese di novembre quando ha bellamente sterminato 17 palestinesi; nel mese di novembre non c’erano state vittime dalla parte israeliana, non c’erano state vittime neanche nel mese di ottobre e neanche nel mese di settembre. Per cui la posizione delle Nazioni Unite è chiara: chi ha rotto la tregua è stata Israele, e chi rompe la tregua attualmente è sempre Israele, giacché dal 18 gennaio, quando sono "finiti" i bombardamenti su Gaza abbiamo già contato 11 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano, la maggior parte civili, e dall’altra parte una vittima israeliana, un soldato durante uno scontro a fuoco con la resistenza palestinese. Per cui si parla di "tregua" ma in realtà la tregua non esiste lungo la Striscia; anche voi siete stati testimoni di navi da guerra che continuano a bombardare, e ugualmente per l’aviazione che anche in questi giorni sta continuando a bombardare i tunnel al confine con l’Egitto.

In tutto il mondo ci sono state grandi manifestazioni, come quella a Roma del 17 gennaio, di sostegno e di appoggio alla resistenza del popolo palestinese. Questo sostegno è arrivato all’interno della Striscia di Gaza?

Si, alcuni esponenti della società civile, professori e dottori, mi dicono che l’unica cosa positiva, se si può trovare una cosa positiva in un massacro come quello che abbiamo vissuto, è che forse per una volta tanto l’opinione pubblica mondiale si è resa effettivamente conto di chi è la vittima e chi è il carnefice in questo conflitto. Ovviamente nessuno più crede nella politica, ma si spera molto nella mobilitazione della società civile mondiale. Per questa ragione noi come International Solidarity Movement ci facciamo messaggeri della società civile palestinese di questa campagna di boicottaggio che è iniziata nel 2005 qui a Gaza, il sito di riferimento è www.bdsmovement.net. Una campagna di boicottaggio che in pochi anni ha raggiunto notevoli successi, come le varie Università inglesi che boicottano gli accademici israeliani, o come capi di stato come Chavez o Morales che hanno rotto qualsiasi rapporto diplomatico con Israele. Alla fine ritengo che il boicottaggio sia l’arma migliore dell’arsenale della non violenza… in passato campagne di boicottaggio hanno ottenuto notevoli successi. Se pensiamo al Sud Africa, si è riusciti a debellare un regime fascista appunto grazie a una grossa mobilitazione della società civile mondiale che ha iniziato a boicottare i prodotti Made in Sud Africa. E poi Nelson Mandela o Desmond Tutu, sono anni che ripetono la stessa cosa, vale a dire che l’occupazione israeliana a danno dei palestinesi è molto peggiore di quella che subivano loro da un regime di razzisti bianchi. Per cui ci facciamo portavoce di questa campagna di boicottaggio che spero che anche in Italia si diffonda sempre di più. Ricordo le prime tre cifre del codice a barre dei prodotti Made in Israel, che sono "729".

Tu sei rimasto a Gaza dopo l’arrivo ad agosto della nave del Free Gaza Movement, tra l’altro dopo essere stato precedentemente imprigionato da Israele, e sei rimasto qui. Qual’ è oggi la tua attività?

Sono tornato con l’ultima nave che è riuscita ad attraccare al porto di Gaza, la Dignity, dopodiché altre due barche internazionali hanno provato ad arrivare a Gaza, ma sono state attaccate in acque internazionali dalla marina israeliana. Durante il massacro siamo stati impegnati prettamente sulle ambulanze della Mezzaluna Rossa lungo tutta la Striscia, da Rafah a Gaza City, impegnati soprattutto come scudi umani giacché abbiamo cominciato a salire sulle ambulanze il giorno dopo che un’ambulanza è stata bombardata dall’aviazione israeliana. Innanzitutto operiamo quindi come scudi umani, per prestare un aiuto abbiamo tutti una minima conoscenza di pronto soccorso, ma soprattutto siamo qui anche come testimoni oculari; alla fin fine eravamo gli unici internazionali presenti lungo la Striscia e gli unici in grado di far sapere ai nostri rispettivi paesi e al mondo occidentale ciò che realmente stava accadendo, non quello che i media di massa riferivano; i media ripetevano a pappagallo i comunicati diramati dall’esercito israeliano, cioè che si stavano colpendo chirurgicamente le basi del "terrorismo di Hamas"; in realtà le uniche operazioni chirurgiche le abbiamo viste negli ospedali, quando si trattava di amputare arti a centinaia di bambini… in realtà siamo stati testimoni di un massacro di bambini, questo abbiamo cercato di raccontarlo sperando di aver avuto un certo effetto nell’opinione pubblica dei nostri paesi. Attualmente siamo impegnati, come ti ho detto, con gli agricoltori di Beith Hanoun a est di Khan Younis; cerchiamo di scortarli a lavorare nei loro appezzamenti di terra; purtroppo, nonostante la nostra presenza, due settimane fa un cecchino israeliano ha ferito un agricoltore che era con noi. L’ultima volta hanno sparato con l’intento di colpirmi, quindi di ferire o uccidere un internazionale. Ultimamente stiamo rivalutando anche le nostre azioni, giacché Israele dichiara al mondo che vi è una tregua in corso ma in realtà si permette di ferire o uccidere civili tranquillamente.

Hai già parzialmente risposto alla domanda che sto per porti: come delegazione italiana abbiamo avuto grandi problemi a entrare nella Striscia di Gaza, abbiamo manifestato di fronte al valico di Rafah, abbiamo fatto un presidio notturno. Quant’è importante la presenza degli internazionali all’interno della Striscia di Gaza al fianco del popolo palestinese?

E’ importante per due ragioni: come testimonianza che l’Occidente non è soltanto quello che arriva qua tramite gli elicotteri, le navi da guerra, gli aerei da guerra. L’Italia non è Berlusconi o Frattini, che ritira la sua delegazione dall’incontro contro il razzismo a Durban, ma l’Italia è composta da una società civile che è sempre stata storicamente vicina alla Palestina, che vuole la pace, che lotta per la pace. L’importante è mostrare ai palestinesi questo. E’ ulteriormente importante comunque che arrivino internazionali qua e si rendano conto di questa tragedia e una volta ritornati nei rispettivi paesi raccontino ciò che hanno visto affinché si diffonda la realtà. Se si diffonde la verità è più facile sensibilizzare più persone alla causa, che in questo caso è la causa del "restare umani" è la causa della pace, e ciò darebbe i giorni contati all’occupazione israeliana che vive molto sulla disinformazione. Si parla di lotta al terrorismo, in realtà qui c’è un paese che non ha confini, occupato da 60 anni, che ogni giorno vede i suoi diritti violati in maniera feroce.

Grazie Vittorio Arrigoni. Vuoi aggiungere qualcosa?

Tra poco uscirà un mio libro per la Manifesto Libri; è il mio racconto del massacro che abbiamo vissuto. I proventi andranno interamente a una serie di organizzazioni che si occupano di riabilitare le principali vittime di questo massacro, vale a dire centinaia di bambini feriti e migliaia di bambini traumatizzati dalle bombe israeliane.

Gaza City - 8 marzo 2009

Mila Pernice

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