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Nel dubbio firma

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(25 Marzo 2009)

E’ indubbiamente una situazione melmosa quella in cui si sta avvitando lo scenario politico e sociale in Italia.

Da un lato i poteri forti cercano di usare la mano pesante – dentro il guanto di velluto del bipolarismo – per assicurarsi tutti gli strumenti di governabilità dentro una crisi che si conferma più pesante di quanto si lasci intendere; dall’altro il corpo sociale stenta a reagire adeguatamente sul piano del conflitto non trovando più riconoscimento dei propri interessi di classe e rappresentanza politica degli stessi. In mezzo la soggettività politica dei comunisti e della sinistra alternativa che appare incapace di collocarsi dentro il nuovo scenario e continua a muoversi e parlare con gesti e linguaggi di una fase storica ormai alle spalle. Le abitudini consolidate su cui si sono rette e sono cresciute almeno due generazioni, non esistono più e i residui di soggettività ancora in campo stentano nel mettere in campo rotture politiche e culturali adeguate alla situazione concreta, una situazione caratterizzata tra l’altro dalla pessima sensazione di essere sottoposti all’assedio incalzante della destra e delle forze reazionarie.

Questo “assedio nel cuore” mette a dura prova tutto l’impianto su cui si è agito politicamente negli ultimi venti anni e agisce segretamente la speranza che in qualche modo – volutamente o fortunosamente – tutto ritorni come prima delle elezioni del 13 aprile. Ma la realtà ci indica che così non sarà e che se così fosse sarebbe – nella migliore delle ipotesi – la micidiale riproposizione del meno peggio.

Il modello “a spinta” su cui si è retta la sinistra nel nostro paese è ormai completamente depotenziato. Fino a poco tempo fa, la funzione della soggettività – inclusa quella comunista – si è sempre risolta in un movimento teso a “spingere la CGIL” a fare scelte che questa aveva scelto strategicamente di non fare, oppure di “spingere” il PCI prima, i DS poi e il PD adesso, a prendere posizioni e decisioni in contrasto con quelle che hanno portato sistematicamente alla liquidazione di una opzione di classe in Italia. Una buona o meno buona affermazione elettorale della sinistra alternativa, era funzionale esclusivamente a dare maggiore o minore rappresentazione a questa subalternità verso gli apparati sindacali o politici più grandi.

In questo modello, la rinuncia all’organizzazione, all’indipendenza politica, alla costruzione di una identità e di un punto di vista di classe e comunista sostanziale e non formale, ha costruito un impianto politico e culturale sul quale sono cresciuti e si sono adeguati migliaia di compagne e compagni oggi in crisi.

E’ in tale contesto che la scadenza elettorale delle europee di giugno torna a ipotecare la situazione come una sorta di “ultima spiaggia” per la sopravvivenza o meno di questo modello politico e culturale fino ad oggi egemone nella formazione e nell’azione dei partiti della sinistra e di pezzi di movimenti sociali ad essi collaterali. In giro se ne percepisce l’odore, il timore e l’umore in ogni iniziativa, dibattito, idea in circolazione.

E’ abbastanza evidente come se l’ultima spiaggia non dovesse funzionare a causa dello sbarramento elettorale, si manifesterà il rischio di una ritirata di intere generazioni che sono cresciute con questo modello come unico orizzonte e modalità della politica. E questa è una contraddizione che va esplorata a fondo proprio per impedire che la fine di un modello depotenzi energie e risorse umane che pure non intendono lasciare il terreno all’egemonia della destra e alla subordinazione del lavoro al capitale.

Molte compagne e molti compagni, infatti, hanno ritenuto che la dimensione elettorale dell’azione politica, fosse quella prevalente. Alla luce dei risultati è difficile disconoscere come questo atteggiamento abbia prodotto uno scollamento crescente tra attività politica e società, tra attivismo della sinistra e relazioni con i settori popolari, fino al punto da esacerbare al massimo quella autonomia del politico che ha rotto in più punti l’internità dei comunisti alla stessa classe di riferimento.

La conseguenza di questa rottura è che proprio quando la condizione materiale della classe dentro la crisi sistemica del capitale chiama ad un maggiore riconoscimento degli interessi materiali e del loro conflitto con interessi materiali contrapposti, molte compagne e compagni si dichiarano predisposti ad “andare a casa” qualora il modello politico su cui si sono fondati (e che è andato in crisi) non funzionasse più. Ma un lavoratore salariato, un insegnante, un futuro lavoratore della conoscenza, può realisticamente pensare di andarsene a casa dentro questa crisi solo perché non si vincono più le elezioni e le condizioni dell’azione politica possono diventare extraparlamentari?

Di questo e su questo dovremo discutere molto nelle prossime settimane, perché l’aria che tira sembra già aver rimosso come un brutto sogno ciò che è avvenuto negli anni precedenti e nelle elezioni di un anno fa. Certo, alle elezioni europee è meglio che ci sia la falce e martello piuttosto che le paccottiglie bertinottiane contro cui ci siamo battuti da sempre, ma sarebbe suicida pensare di ricostruire una soggettività comunista ripartendo nuovamente ed esattamente dal modello politico e culturale che ha prodotto la crisi politica della sinistra e dei comunisti nel nostro paese.

CONTROPIANO
www.contropiano.org

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