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(24 Febbraio 2011) Enzo Apicella
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300 Euro per tutti. Le rivendicazioni unificanti e la lezione delle Antille

(28 Marzo 2009)

Un’analisi superficiale della situazione potrebbe portare alla conclusione che, con la formazione di un grande partito di centro destra, una nuova peggiore DC, il quadro governativo sia di grande stabilità. L’assenza di un’opposizione credibile, l’allineamento esplicito o implicito di buona parte dei sindacati, la snervante azione rincitrullente dei media, l’incredibile faccia tosta e l’arroganza di colonnelli, sergenti e caporali - vengano da AN o da Forza Italia - tutto farebbe pensare all’onnipotenza del governo, e che la crisi possa essere fatta pagare ai lavoratori senza resistenze di rilievo.

Ma uno studio dell'Economist Intelligence Unit (EIU), centro studi dell’ Economist, ritiene che, nei prossimi due anni, saranno a rischio molto alto di sommosse i governi di 95 paesi, su un totale di 165 esaminati, altri 53 sono giudicati a "rischio moderato" e soli 17 "a rischio basso".(1) Anche se l’Italia è tra quelli a rischio moderato, le cose possono cambiare rapidamente. Fino a non molto tempo fa, il Madagascar era classificato tra i paesi di questa categoria, relativamente tranquilla. In tempo di crisi economica, i governi saltano come birilli, come insegna l’Argentina, e, più recentemente l’Islanda. Chi perde il lavoro o la casa o tutt’e due, non ha molte remore a ribellarsi contro il governo, anche se pochi mesi prima l’ha votato.

Brzezinski propone un intervento dei miliardari, per prevenire mediante aiuti la rivolta: “Dov'è la classe facoltosa oggi? Perché non fa qualcosa, la gente che ha fatto i miliardi?” In assenza di azioni volontarie da parte loro, ha detto Brzezinski, “ci sarà un crescente conflitto fra le classi e se la gente è disoccupata e sta davvero male, diavolo, potrebbero anche esserci sommosse”.(2) La borghesia ha cercato per decenni di convincerci che la lotta di classe era un ricordo del passato, ora uno dei massimi esponenti dell’imperialismo americano vede la rivoluzione come uno spettro che incombe.

La borghesia, nonostante le sue sparate sull’insostituibilità del capitalismo, ha sempre temuto la lotta di classe, e da decenni lavora per dividere i lavoratori; abbiamo già messo in rilievo che la precarizzazione e le esternalizzazioni non hanno solo una funzione economica, perché servono anche a distruggere la solidarietà che sorge da una lunga frequentazione tra gli operai di una stessa fabbrica. Anche recenti movimenti in senso opposto, di imprese che stanno richiamando i capitali dall’estero, creano ulteriori conflitti tra lavoratori di diversi paesi.

Nella situazione italiana, il compito di creare zizzania tra italiani e stranieri è demandato soprattutto alla Lega, e le leggi più discriminatorie della storia della repubblica sono state proposte da leghisti. Ancora non hanno imposto agli immigrati di portare un campanello, come i lebbrosi nel medioevo, ma poco ci manca. Maroni e consoci sono apprendisti stregoni, giocano col fuoco. In una situazione di crisi economica gravissima le furbizie elettoralistiche contro gli immigranti possono sfuggire di mano. Il razzismo è una brutta bestia, e non è controllabile, come insegnano le esperienze della repubblica di Weimar.

Ma questo non è un problema solo per il governo, ma anche per i lavoratori. In un periodo di gravi crisi economica, hanno grosse difficoltà i governi “moderati”, di centro destra o di centro sinistra, perché avanzano correnti estreme. Se non si sviluppa una lotta credibile e praticabile contro il capitale, la soluzione sarà data da forze ancora più di destra, ancora più socialmente pericolose delle attuali. Perciò è particolarmente urgente individuare le rivendicazioni che possano unificare lavoratori, italiani e immigrati, precari e pensionati, prima che la bomba ad orologeria del razzismo esploda con conseguenze difficilmente immaginabili.

Riprendere le lotte si può, e l’esempio questa volta ci viene dalle Antille.

I giornali italiani hanno dato poco spazio a questo magnifico scontro sociale, e ancor meno hanno spiegato i gravi problemi dai quali sono partite le lotte. Nei dipartimenti francesi d’oltremare, l’approvvigionamento di carburante è nella mani di un cartello, la SARA (Société anonyme de la raffinerie des Antilles), in cui Total è socio maggioritario. Il prezzo dei carburanti era perciò nettamente superiore a quello della Francia metropolitana, e la stessa cosa avveniva per i generi alimentari. In novembre, a Riunione (Réunion), una lotta congiunta di camionisti, tassisti, autisti di ambulanze, ecc, ha strappato una riduzione di prezzo di 10 cent. al litro per gli automobilisti, e 20 per i professionisti. Nella Guaiana, la partecipazione diretta della popolazione, ha permesso di arrivare a una riduzione di 50 cent. il litro. In Guadalupa 31 organizzazioni hanno deciso di organizzarsi per una lotta comune, che, oltre al problema dei carburanti, poneva quello del carovita e di bassi salari. Iniziative analoghe in Martinica. L’esplosione delle lotte, che ha attirato l’attenzione dei militanti a livello internazionale, è avvenuta sotto la guida del LKD (Liyannaj Kont Pwofitasyon, che significa Collettivo contro lo sfruttamento), che coalizza una cinquantina tra sindacati, partiti, associazioni culturali. Importanti i risultati, soprattutto l’aumento di 200 euro per i salari di base uguali allo SMIC fino a quelli pari a 1,4 SMIC (Lo SMIC è il minimo salariale).(3)
Le vittorie hanno creato tra i militanti francesi la speranza che l’esempio antillano dia i suoi frutti anche nella metropoli, e, specularmente, una preoccupazione nel governo e nel padronato.

La lezione che possiamo trarre è questa: è possibile una grande lotta vittoriosa se si riesce a creare un collettivo che unisca soggetti diversi su alcune parole d’ordine elementari, su obiettivi unificanti. Non solo: il movimento è una scuola dove si formano nuovi militanti, non attraverso la lunga via dello studio e della critica, ma attraverso i corsi accelerati della lotta di piazza.

I futuri dirigenti del partito di classe, più che nelle dispersive diatribe di gruppi e gruppettini, maturano in queste grandi manifestazioni. La situazione sociale e politica comincia a produrre i militanti di cui ha bisogno per affrontare la borghesia, dovunque ci siano proteste sociali, dall’Islanda all’Argentina, dall’Egitto alla Guadalupa, dall’India alla Francia. Inevitabilmente i protagonisti di queste lotte dovranno passare dalla solidarietà verbale e dall’attenzione reciproca alla collaborazione reale, si giunga o meno a strutture comuni formali (una nuova Internazionale). Le forme di lotta saranno diverse, ma verrà in risalto l’elemento comune, che, come ricordava spesso Marx, è la liberazione dal giogo salariale. La lotta di classe nasce dalle condizioni reali di ogni paese, e qui si vede il carattere anacronistico di quei piccoli gruppi e partiti che vedono l’avanzata della rivoluzione nella propria riproduzione all’estero. Lo sviluppo della lotta di classe a livello internazionale non avviene con una produzione in serie di gruppi, secondo i più classici canoni del fordismo. Situazioni diverse necessitano di organizzazioni diversificate, che collaboreranno non per ordini di scuderia, ma per la consapevolezza della necessità di dare una risposta unitaria all’offensiva del capitale.

Per questo, non ci sentiamo isolati. Chi si chiude nella sua micro - organizzazione sente tutto il mondo contro, e non vede altro che lo sviluppo della controrivoluzione. Ma se guarda la realtà da un’altra prospettiva, si rende conto che le ben organizzate proteste delle Antille o le spontanee rivolte per la fame in Africa e in Asia, le proteste dei lavoratori di Pomigliano, e gli scioperi degli operai egiziani di Mahallah, fanno parte di un’unica lotta, che dovrà inevitabilmente cercare (e trovare) punti di contatto.

Occorrono obiettivi unificanti. Per l’Italia, non c’è che l’imbarazzo della scelta: riguardo al carovita, c’è la benzina e gli altri carburanti, su cui il fisco fa ancora la parte del leone, con tasse che non hanno da molto tempo più motivo di esistere. Noi paghiamo sulla benzina accise la cui causa è ormai sparita da lungo tempo. Alcuni esempi: per la guerra in Abissinia, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963, per l’alluvione di Firenze del 1966, per il terremoto del Belice del 1968, per la missione in Libano del 1983 e per quella di Bosnia del 1996.

Altri motivi di protesta non mancano, basti pensare alle truffe quotidiane a cui siamo sottoposti, a cominciare dalle telecomunicazioni. Le cosiddette autorità di tutela sono state costrette a intervenire per lo scandalo dei cosiddetti numeri speciali, per i quali risultavano onerosissime telefonate, mai effettuate. Spesso, dopo aver ricevuto telefonate volutamente poco chiare, l’utente scopre che, a sua insaputa, gli hanno cambiato il contratto o addirittura la compagnia, e che deve pagare centinaia di euro imprevisti. Ultraottantenni che non hanno mai toccato un computer si vedono presentare costosissime bollette per l’ADSL. E, se non pagano subito, segue il taglio della linea, anche se si tratta di un malato che ha bisogno di tenere contatto permanente con medici o infermieri. Recentemente, senza nessuna giustificazione reale, la Telecom ha aumentato il canone.

Tra le rivendicazioni si potrebbe porre il dimezzamento del canone Telecom, la riduzione del 30% delle tariffe delle autostrade, la fine della situazione per cui gli stessi prodotti farmaceutici o del latte in polvere per neonati costano assai più che nei paesi europei confinanti, anche attraverso la maggiore diffusione dei punti di vendita e delle parafarmacie.

Bisogna chiedere l’abolizione del canone RAI. Servizio pubblico? Lo era al tempo in cui il maestro Manzi insegnava a leggere e a scrivere, col programma “non è mai troppo tardi”, a una popolazione abituata ad esprimersi quasi solo in dialetto. Oggi la RAI ci somministra Gasparri venti volte al giorno, e, oltre a questi esibizionisti, con poche eccezioni, ci propina “verità ufficiali”, cioè menzogne, ad ogni ora. Se la paghino loro.

Altro punto unificante può essere la rivendicazione di 300 euro per salari, cassa integrazione, indennità di disoccupazione, pensioni, comprese quelle d’invalidità. Le somme possono essere trovate riducendo sostanzialmente le spese militari, cominciando col ritiro di truppe inviate in ogni dove, con spese da grande potenza.

Un’altra questione di estrema urgenza è la questione della casa: «Data l'insostenibilità dei canoni, delle spese per l' abitazione e dell'aggravarsi della situazione economica e occupazionale - spiegano Cgil e Sunia - senza misure di sostegno al reddito delle famiglie in affitto, nel triennio 2009/2011 si prevede che altre 150.000 famiglie perderanno la propria abitazione subendo uno sfratto per morosità incapaci di far fronte al pagamento dell'affitto». «Il mercato dell'affitto privato, infatti - si legge ancora - è caratterizzato da quella famiglia tipo che oggi più che mai subisce gli effetti della crisi economica: il 20,5% dei nuclei sono unipersonali, il 67% delle famiglie in affitto percepisce un solo reddito e in queste il 39,6% è rappresentato da operai e il 29,2% da pensionati, più di un quinto dei capofamiglia ha oltre 65 anni e un quarto è costituito da donne».(4)
Il timore della concorrenza nell’assegnazione di case popolari crea tensioni con gli immigranti. Eppure il patrimonio edilizio in Italia è ingente, e ingentissime sono le proprietà della chiesa: "Il 20-22% del patrimonio immobiliare nazionale è della Chiesa", stima Franco Alemani del gruppo Re, che da sempre assiste suore e frati nel business del mattone. Senza contare le proprietà all' estero”.(5)
Molti privati non affittano per le pesanti imposizioni fiscali. Finanzieri, industriali e nomenclatura hanno una grande quantità di ville. Il catasto difficilmente è aggiornato. Basterebbe censire le proprietà immobiliari, con la collaborazione di associazioni di inquilini, e sommando case di società immobiliari, dei comuni, dello stato, dei privati proprietari e della chiesa, ecc. e imponendo affitti a prezzi politici, ci sarebbero case per tutti. Il nostro paese, poi, è cosparso di basi militari, che occupano zone vastissime. Una loro chiusura e una riconversione degli edifici potrebbe fornire palestre e sale di ritrovo per i giovani, locali per scuole, campi sportivi. Se queste rivendicazioni troveranno un collegamento comune, sullo stesso terreno se ne svilupperanno molte altre.

In queste lotte devono essere coinvolti i giovani. Troppo spesso, anche in ambienti di estrema sinistra, c’è l’incapacità di dare respiro alle nuove generazioni. Spesso, prima di dare loro qualche incarico importante, li si fa aspettare anni. Così va perduto lo slancio della loro creatività. I principi che regolano la lotta di classe restano invariati, ma le forme di lotta variano continuamente, e marciano sui binari delle scoperte tecniche. Senza internet, la lotta delle Antille non avrebbe potuto avere un eco internazionale così rilevante. Ma i mezzi di comunicazione evolvono – si può dire - ogni giorno. Perciò, diamo spazio a chi con le nuove tecniche è nato e vissuto, e vi si rapporta nel modo più naturale. Sarebbe ridicolo (e tragico, nello stesso tempo) se noi anziani giocassimo a fare le avanguardie a vita.

Se i giovani riusciranno ad afferrare il messaggio che viene dalle Antille, niente potrà fermarli, e la morta gora della politica italiana sarà sostituita da una nuova e vitale corrente classista.


25 marzo 2009

Note
1. Contropiano, 22/03/09.
2. Immanuel Wallerstein “GUERRA CIVILE NEGLI STATI UNITI ? “ComeDonChisciotte, 24 Marzo 2009
3. Un’ampia documentazione delle lotte nelle Antille si può trovare, per chi legge il francese, sul sito www.convergencesrevolutionnaires.org. Alcuni articoli si possono leggere in http://www.sottolebandieredelmarxismo.it/, rubrica “Dalla Francia”.
4. Affitti, è emergenza sfratti Cgil: «Nessun sostegno dal governo» - l'Unità.it, 22 marzo 2009.
5. Sandro Orlando, “San Mattone” inchiesta sulle proprietà immobiliari del vaticano. Il mondo - venerdì, 18 maggio 2007

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