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La pagliuzza

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(16 Giugno 2010) Enzo Apicella
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In Abruzzo è il momento della solidarietà, ma anche di una prima riflessione

(7 Aprile 2009)

Di fronte all’ennesima “sciagura naturale” (ma esistono davvero calamità naturali esenti da qualsiasi responsabilità di ordine politico-economico e antropico-culturale?) che ha investito il nostro popolo e il nostro territorio, già straziato da lunghi decenni di scempio e devastazione ambientale, di pessima e dissennata gestione politica del territorio e delle sue ingenti risorse, anzitutto sul versante delle amministrazioni locali e quindi sul piano nazionale, un’antica storia contrassegnata da pericolose connivenze e complicità con il cinismo, la spregiudicatezza e il malaffare della criminalità economica privata a beneficio esclusivo di pochi speculatori avidi e arroganti e totalmente privi di scrupoli, questo è comunque il momento dei soccorsi e della solidarietà verso le popolazioni colpite dal sisma. In seguito verrà anche il tempo delle polemiche e delle critiche costruttive, ossia delle proposte.
Pertanto, voglio esprimere subito tutta la mia vicinanza e la mia solidarietà morale ed umana a chi sta soffrendo in queste ore a causa del terremoto in Abruzzo, anche perché ho direttamente conosciuto il dramma provocato da una scossa sismica estremamente distruttiva, avendo vissuto personalmente la terribile esperienza del 23 novembre 1980 in Irpinia.
Tuttavia, una prima analisi critica, benché ancora a caldo, si può e si deve tentare, almeno per provare a comprendere quanto sta accadendo e cosa si potrebbe fare in futuro.
Il bilancio delle vittime, dei feriti, dei senzatetto, dei danni alle persone e alle abitazioni, è ancora provvisorio e si va aggiornando in modo lugubre e agghiacciante ora dopo ora.
Un dato sembra certo e inoppugnabile: si tratta di uno degli episodi sismici più violenti e catastrofici degli ultimi anni, inferiore (per magnitudo Richter) solo ai terremoti che prostrarono il Friuli nel 1976, l’Irpinia e la Basilicata nel 1980. Un evento sconvolgente che ho vissuto direttamente sulla mia pelle. Per questo, e a maggior ragione, so di cosa parlo.
Alla devastante potenza si aggiunga anche l’orario notturno in cui si è manifestato il sisma: a quell’ora assai inoltrata solo i più incalliti nottambuli erano ancora svegli e in circolazione.
Non c’è dubbio che il terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo è stato geograficamente più circoscritto, nonché più limitato nella sua durata temporale rispetto a quello che la sera del 23 novembre 1980 rase al suolo interi paesi dell’Irpinia e della Lucania, estendendosi in un’area estremamente vasta e profonda, al punto che la scossa maggiore (durata all’incirca un minuto) fu avvertita a centinaia di chilometri di distanza. Ma l’ultimo evento sismico, per gli effetti di distruzione provocati, risulta molto più grave e drammatico di quello che colpì l’Umbria e le Marche nel 1997 e il Molise nel 2002. Tali riferimenti alle esperienze pregresse non sono un puro ed inutile esercizio di contabilità statistica, ma un modo per cercare di comprendere chiaramente l’effettiva portata dell’evento tellurico che ha sconquassato e stremato le popolazioni dell’Abruzzo. Non a caso, partendo dal terremoto dell’Irpinia e dalla Basilicata nel 1980, giungendo a quello dell’Umbria e delle Marche nel 1997, a quello del Molise nel 2002, ed infine oggi in Abruzzo, l’area geografica direttamente interessata e minacciata dai fenomeni sismici più frequenti e dannosi, è esattamente quella lunga striscia di territorio che attraversa la catena dell’Appennino centro-meridionale. Si tratta di una delle zone a più alto rischio sismico dell’intera penisola, probabilmente del mondo. E questo è un elemento di verità assolutamente innegabile e incontrovertibile.
Dunque, per quanto concerne il rischio sismico, l’Italia centro-meridionale è comparabile al Giappone e alla California. Invece, per quanto attiene agli interventi di prevenzione sul territorio, che richiedono soprattutto un’opera di educazione, ossia di sensibilizzazione e preparazione culturale (da affidare non solo alle istituzioni scolastiche che dovrebbero essere deputate a tale compito, ma pure ad altre agenzie formative presenti sui territori), siamo purtroppo paragonabili ad altri Stati, che noi riteniamo siano più arretrati e sottosviluppati del nostro paese, invece ci sarebbe da chiedersi chi è il vero “Terzo Mondo”…
Si pensi che la terra d’Abruzzo è stata dichiarata una zona ad alto livello di pericolosità rispetto al rischio sismico sin dagli anni ’60, per cui si presume che la normativa antisismica in materia di edilizia abitativa fosse stata adottata (evidentemente solo sulla carta) sin da quegli anni lontani. Invece, dalle notizie appena trasmesse veniamo a scoprire che, ancora oggi, a causare il maggior numero di morti sono stati i palazzi di quattro piani ed oltre (e c’è chi legifera, tramite decreti d’urgenza, per incentivare la cementificazione del territorio e l’ampliamento dell’edilizia abitativa) costruiti col cemento (dis)armato, così come è accaduto in precedenti esperienze. Un dato davvero inquietante e raccapricciante. Insomma, la memoria storica che dovrebbe essersi formata nella coscienza delle persone del nostro paese, sembra non valere proprio a nulla.
In questi giorni si viene ad apprendere (per chi non lo sapesse) che in Italia la normativa antisismica più stringente e rigorosa è stata varata (e non parliamo della giusta e doverosa applicazione della legge) solo dopo il terremoto del Molise nel 2002, esattamente con l’Ordinanza n. 3274 del 20 Marzo 2003.
Sembra incredibile ed assurdo, ma è così. Checché ne dicano i sepolcri imbiancati presenti in maniera trasversale nella politica nostrana, nonché i loro servi e padroni.
Comunque, si sa che in Italia una cosa sono le leggi, ben altra cosa sono l’osservanza e l’applicazione delle leggi soprattutto da parte di chi dovrebbe eseguirle e farle rispettare.
Nonostante la storia sismica del territorio italiano avrebbe dovuto insegnarci a costruire le case, gli ospedali e le scuole, non dico come in Giappone, ma molto meglio di quanto non avvenga in realtà, e avrebbe dovuto abituarci ad una politica educativa e culturale di prevenzione, per scongiurare simili eventi catastrofici, invece la realtà raccapricciante dell’ultima tragedia ci dimostra che le esperienze precedenti non sono valse proprio a nulla. Si continua a far finta di nulla, come se l’Italia fosse immune da ogni rischio sismico e ambientale.
Dunque, un altro elemento di critica, non polemica o gratuita, bensì costruttiva, da proporre sin da subito, è il seguente.
Viene giustamente da chiedersi come mai in un paese ad elevato rischio di catastrofi sismiche e ambientali, quale l’Italia, in cui periodicamente si verificano “disastri naturali” (terremoti, alluvioni, frane ecc., possono davvero essere considerati come semplici “disgrazie” o “iatture” dovute alla furia della natura, oppure esistono precise responsabilità storiche da ascrivere all’uomo, ovvero alla gestione politica, all’incuria e allo scempio del territorio?), il governo nazionale ragiona insieme ai governatori delle regioni su come incentivare l’edilizia abitativa oppure sull’ipotesi di costruzione del ponte sullo stretto di Messina, invece di dedicarsi seriamente alla progettazione e alla realizzazione di un piano di risanamento ambientale e antisismico, da varare ed attuare finalmente su scala nazionale.
La risposta sarebbe scontata e banale: gli affari d’oro che scaturiscono dalle speculazioni edilizie, o di altro tipo, sono indubbiamente maggiori rispetto ad un’opera di risanamento antisismico e ambientale su tutto il territorio nazionale, che ridurrebbe gli spazi di agibilità e le possibilità di profitto economico per gli speculatori e agli affaristi, ed ovviamente per i loro complici e protettori, vale a dire i referenti politici e istituzionali. Questa è una verità storica ormai assodata da tempo, eppure sembra che venga scoperta per la prima volta.
La mia riflessione non vuole fornire un facile e comodo pretesto per una strumentalizzazione di parte a livello politico, né intende prestarsi ad interventi di “sciacallaggio politico”, come potrebbero banalmente obiettare i detrattori più faziosi e in malafede, ma si propone di offrire un ragionamento il più possibile onesto e obiettivo, utile e costruttivo per l’avvenire, affinché le future generazioni non debbano subire sulla loro pelle le dolorose esperienze vissute in passato dalle genti irpine e lucane, ed oggi dalle popolazioni dell’Abruzzo.

Lucio Garofalo, di Lioni (in Irpinia)

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