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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Lettera aperta alle Sinistre

Per una svolta di unita' e radicalita' nel movimento reale delle lotte

(14 Aprile 2009)

Cari compagni e compagne,

la diversità politica e programmatica tra i nostri partiti, che è alla base di presentazioni elettorali distinte e alternative, non può e non deve contraddire la ricerca dell'unità d'azione sul terreno decisivo dell'iniziativa di massa e della lotta di classe. Tanto più nel cuore di una crisi capitalistica devastante. Questo è il senso della lettera aperta che vi rivolgiamo.

AUTONOMIA COMUNISTA E UNITA' D'AZIONE

Come sapete, la scelta di fondo della costruzione autonoma del PCL si basa sulla natura del nostro programma e della politica che ne consegue : un programma comunista, di rovesciamento rivoluzionario del capitalismo e di governo dei lavoratori, su scala nazionale e internazionale; e dunque una politica quotidiana tesa a sviluppare in ogni lotta particolare il senso di quella prospettiva generale, a partire da una difesa rigorosa dell'autonomia di classe del movimento operaio. E' in virtù di questa impostazione che abbiamo rifiutato,a differenza vostra, ogni corresponsabilità nel sostegno al governo confindustriale di Prodi; che ci collochiamo all'opposizione di quelle giunte di centrosinistra che voi sostenete ( spesso le più impresentabili); che abbiamo avanzato e avanziamo la parola d'ordine della cacciata del governo Berlusconi per via della mobilitazione di massa e nella prospettiva di un governo operaio: contro ogni riproposizione, per l'oggi e per il domani, di una nuova coalizione col PD e coi partiti borghesi. Presentare questo nostro programma ai lavoratori e agli elettori lo consideriamo un diritto- dovere di onestà: contro ogni logica camaleontica di autocensura, di camuffamento, di mercanteggiamenti elettoralistici, a scapito della chiarezza e dell'autonomia di una proposta. Convinti, come siamo, che solo un partito basato su principi saldi, non negoziabili, possa ricostruire una prospettiva di liberazione del mondo del lavoro; e che oltretutto solo la lotta per quella prospettiva possa dare un futuro ai comunisti.

Ma la nostra reciproca autonomia e diversità non può e non deve impedire la ricerca della massima unità d'azione, nell'interesse generale del movimento operaio, e nella sua migliore tradizione. Siamo di fronte alla più grande crisi capitalistica degli ultimi 80 anni, e al governo più reazionario che l'Italia abbia conosciuto dal 1960. Siamo di fronte a un'offensiva sociale e politica devastante, sconosciuta alle ultime generazioni. Possiamo unire le nostre forze in un'azione comune che sia all'altezza del livello attuale dello scontro? Più volte abbiamo posto nei mesi scorsi questa esigenza, su terreni diversi e complementari, politici, sindacali, di movimento. Sia su Il Manifesto, sia su Liberazione, abbiamo ripetutamente avanzato, in forma pubblica, specifiche proposte unitarie. La nostra stessa proposta di un parlamento dei lavoratori e delle sinistre voleva coronare e tradurre un'istanza generale di fronte unico d'azione e al tempo stesso di aperto e pubblico confronto. Ma ogni volta abbiamo registrato o il silenzio o il rifiuto. Al punto che la più altisonante retorica sull'unità elettorale ha spesso coinciso con la più bassa disponibilità all'unità d'azione nella lotta . Proponiamo l'esatto capovolgimento di questo schema.

PER UNA SVOLTA RADICALE NELL'AZIONE DI MASSA

Proponiamo innanzitutto un'azione comune di svolta sul terreno dello scontro sociale. Di fronte all'onda d'urto di licenziamenti di massa, chiusure aziendali, misure antisciopero, la logica delle manifestazioni trimestrali della Cgil e del sindacalismo di base appare francamente una routine impotente. Tanto più in una dinamica di reciproca divisione e separazione. Di più: Epifani vanta pubblicamente agli occhi della borghesia di "aver evitato sinora l'esplosione della rabbia sociale, come in Grecia e in Francia". Ma questa è esattamente la confessione di una logica burocratica, mirata alla riconquista della concertazione. Rifiutare questa logica significa lavorare all'innesco di quell'esplosione di lotta che Epifani vuole scongiurare: l'unico scenario temuto realmente dalla borghesia; l'unico scenario che può erigere una diga e strappare risultati per le masse. Ma puntare all'esplosione sociale non significa inseguire, a distanza, lo scadenzario rituale dell'apparato Cgil, come fanno i gruppi dirigenti del sindacalismo di base, in uno schema di concorrenza tra sigle e di pura autoconservazione. Ecco allora la nostra proposta: lavorare insieme, in ogni luogo di lavoro e in ogni sindacato, alla massima unità della lotta e alla massima radicalità dell'azione. C'è bisogno dell'unità di lotta tra tutte le forze sindacali estranee all'accordo governo-CISL-UIL-UGL, a partire dalla Fiom, fuori dal rito demenziale della competizione di date ed etichette. E occorre che questa unità si realizzi attorno ad una risposta di lotta tanto radicale quanto radicale è l'offensiva dei padroni e del governo. Occorre unire le forze nella prospettiva di una mobilitazione prolungata ( sino allo sciopero generale ad oltranza), combinata con azioni di massa dirompenti ( occupazione di aziende in crisi), sostenuta da una comune cassa di resistenza, attorno ad una piattaforma unificante che raccolga tutte le emergenze imposte dalla crisi: a partire dalla rivendicazione del blocco generale dei licenziamenti, della ripartizione generale del lavoro, dell'assunzione a tempo pieno e indeterminato di tutti gli attuali precari, di una vera indennità di disoccupazione per tutti coloro che cercano lavoro e per i giovani in cerca di prima occupazione. Chiediamo : è mai possibile che di riduzione dell'orario di lavoro i gruppi dirigenti del PRC parlassero 12 anni fa ( come compensazione d'immagine del proprio sostegno al primo governo Prodi) ed oggi, proprio di fronte alla crisi drammatica del lavoro, quel tema centrale sia del tutto rimosso? Se c'è la crisi e c'è poco lavoro, quel lavoro va ripartito fra tutti, in modo che nessuno ne sia privato: la riduzione progressiva dell'orario, a parità di paga, è la traduzione di questa istanza. Proponiamo una campagna unitaria a sinistra attorno a questo obiettivo strategico. Così sul precariato. Tutte le sinistre hanno votato in 10 anni le peggiori misure di precarizzazione del lavoro, dal pacchetto Treu alla riconferma della legge 30, (mentre hanno svolto centinaia di convegni contro il precariato). E' possibile oggi, di fronte ad una crisi che si rovescia in primo luogo sui precari, battersi insieme per la cancellazione di quelle leggi vergognose, a partire dalla richiesta di assunzione piena ed immediata di tutti i lavoratori precari? Un programma di mobilitazione reale, unitaria e radicale, attorno a questi obiettivi, potrebbe unificare grandi masse, contrastare la xenofobia, incidere sui rapporti di forza, ribaltare lo scenario sociale, riaprire dal basso un varco prezioso. C'è la volontà di marciare in questa direzione? O si preferisce continuare a "denunciare" le politiche dominanti e a "solidarizzare" acriticamente con i sindacati e con la loro politica dell'impotenza, senza uno straccio di proposta reale e unitaria di lotta di massa (..e pensando solo alle urne) ?

PER LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE E DELLE AZIENDE IN CRISI, SENZA INDENNIZZO E SOTTO CONTROLLO OPERAIO

Di fronte ad una borghesia che per 20 anni ha privatizzato l'impossibile e oggi parla di "nazionalizzazioni", ci pare impressionante il balbettio della sinistra ( impregnata da 20 anni di cultura antiliberista, ma non anticapitalista). Le nazionalizzazioni di cui parla la borghesia sono solo la nazionalizzazione dei debiti delle grandi banche e delle grandi imprese a carico della collettività, cioè dei lavoratori. E' possibile una grande battaglia unitaria, politica e sindacale, che rivolga contro la borghesia il suo stesso linguaggio? Che contrapponga la nazionalizzazione delle aziende in crisi e delle banche alla nazionalizzazione dei loro debiti? Sarebbe davvero curioso se le stesse sinistre che hanno votato al governo il fiore delle privatizzazioni degli ultimi 20 anni ( il record delle privatizzazioni in Europa lo realizzò il primo governo Prodi, con il voto del PRC), ora finissero con l'avallare il nuovo statalismo della borghesia. Chiedere "quote di proprietà pubblica delle banche", come fa il PRC, non è particolarmente originale: è quello che formalmente propone la Lega, che non esclude di fare Tremonti, che fanno già oggi- in termini a volte più estesi- Merkel e Sarkosy. E' una forma indiretta di sostegno ai banchieri, a carico dei contribuenti, in cambio di qualche posto "pubblico" nel consiglio di amministrazione. Così chiedere, come fa il PRC, che le regalie pubbliche alle aziende private siano "vincolate a impegni occupazionali" significa replicare a sinistra il populismo di Sarkosy: che ha motivato con lo stesso argomento rassicurante i miliardi dati alla Peugeot, usati in realtà dall'azienda per finanziare ristrutturazione e licenziamenti. No, riteniamo necessario farla finita con il rispetto delle compatibilità borghesi e con un malinteso "senso di responsabilità". Proponiamo una campagna comune che dica: "Se ne vadano i bancarottieri. Si licenzino i licenziatori. Si nazionalizzino le banche e le aziende in crisi. Senza alcun indennizzo per i grandi azionisti, che si sono già finanziati con decenni di rapine, e sotto il controllo dei lavoratori : che è la condizione decisiva per abolire il segreto bancario, industriale, commerciale; per ripartire il lavoro fra tutti; per riconvertire eventualmente la produzione con garanzie reali per l'occupazione; per garantire una direzione aziendale elettiva e revocabile, senza uno straccio di privilegio per i dirigenti". Questa vera nazionalizzazione sarebbe una misura capace di garantire un risparmio immenso di danaro pubblico, oggi destinato a banchieri e capitalisti, per dirottarlo verso protezioni sociali, servizi pubblici, risanamento ambientale. Ed è una misura indispensabile per prospettare la riorganizzazione radicale dell'intera società, in base al primato dei bisogni. Il PCL ha avviato, su questa proposta una campagna nazionale, che sta raccogliendo l'adesione di diverse strutture sindacali, aziendali o territoriali, CGIL o di base. E' possibile sviluppare insieme questa campagna? E' possibile gestire insieme questa proposta nelle organizzazioni sindacali e nei luoghi di lavoro, dando una proiezione unificante alle mille lotte di resistenza, a difesa del lavoro, che oggi si snodano in ordine sparso in tutta Italia, senza altro sbocco, nel migliore dei casi, della "riduzione del danno"? E' possibile lavorare insieme nelle lotte di resistenza per la parola d'ordine dell'occupazione delle aziende che licenziano, che è il primo passo reale nella lotta per la loro nazionalizzazione? In altri paesi questi obiettivi e queste pratiche sono fatti propri da importanti settori d'avanguardia del movimento operaio. Perche non assumerli in Italia?

CONTRO LE RONDE REAZIONARIE, PER STRUTTURE DI CONTROLLO OPERAIO E POPOLARE SUL TERRITORIO

La xenofobia è il veleno delle classi dirigenti all'interno delle classi subalterne. Un veleno tanto più pericoloso in tempi di crisi sociale e in assenza di una risposta anticapitalistica della sinistra. Ma anche un terreno su cui prima la Lega e poi il governo hanno innestato una pratica nuova: quella delle ronde. Quella della mobilitazione e organizzazione parallela di strutture ( di fatto) paramilitari, oggi dedite alla caccia all'immigrato, domani chissà. Di fronte a questa enormità, ci pare irresponsabile la totale passività delle sinistre, politiche e sindacali. E ancor peggio che si risponda con l'invocazione dello Stato e del suo monopolio della forza, come se il G8 di Genova non avesse insegnato nulla. No, crediamo necessaria una risposta vera, autonoma, tempestiva, dell'insieme delle organizzazioni popolari, dei sindacati, dei partiti della sinistra. Non basta la denuncia del carattere reazionario delle ronde leghiste, o la denuncia del carattere mistificatorio dell'intera campagna sulla sicurezza, che vuol deviare l'attenzione delle masse dall'emergenza sociale e fomentare la guerra tra i poveri. E' necessario combinare questa denuncia- assolutamente necessaria e prioritaria- con un'iniziativa pratica che contrasti il rondismo reazionario e prospetti un controllo alternativo del territorio e della sua sicurezza. Perché non proporre e promuovere insieme unitariamente strutture di controllo operaio e popolare del territorio? Perché non predisporre strutture operative, totalmente autonome da sindaci e prefetti, capaci di difendere la sicurezza di immigrati, donne, anziani, da ogni minaccia, e al tempo stesso di vigilare sullo sfruttamento del lavoro nero, sull'evasione fiscale, sul saccheggio dell'ambiente, sull'inosservanza della sicurezza del lavoro? Sarebbe l'esatto opposto di un'iniziativa "minoritaria". Significherebbe contrastare l'egemonia reazionaria sulla domanda di sicurezza, capovolgendola di segno: condidando il movimento operaio e le sue organizzazioni a garanzia della sicurezza vera, contro tutte le forme di delinquenza, legale o illegale, della borghesia, dei suoi clan, delle sue ronde. Proponiamo a tutti i soggetti politici e sindacali della sinistra di intraprendere unitariamente la preparazione di questa iniziativa. Evitando oltretutto di lasciare spazi impropri a iniziative improvvisate "fai da te", tanto inefficaci quanto rischiose.

IN CONCLUSIONE

Come si vede l'insieme di queste proposte muove dal totale rispetto dell'autonomia organizzativa, politica, programmatica delle diverse forze della sinistra. Né invade il campo, di conseguenza , delle distinte scelte elettorali. Vuole invece verificare se è possibile, nel rispetto dell'autonomia di ogni soggetto, realizzare un'unità d'azione sul terreno dell'iniziativa di massa: attorno a obiettivi non ritagliati sulla ricerca letteraria del minimo comun denominatore, ma imposti dal salto obiettivo del livello di scontro sociale e politico, sullo sfondo della grande crisi capitalistica. Per quanto ci riguarda partiamo da una precisa consapevolezza: una unità d'azione delle sinistre sulla risposta anticapitalistica alla crisi, attorno alle rivendicazioni proposte, avrebbe una ricaduta preziosa sull'intero scenario sociale e politico italiano. Per questo abbiamo più volte avanzato in passato, senza successo, una proposta di fronte unico d'azione. Per questo, di fronte alla straordinarietà della crisi, rinnoviamo oggi tale proposta, in forma pubblica: dentro quella prospettiva generale di un governo dei lavoratori che è al centro, oggi più che mai, di tutta la nostra politica di massa, e, di conseguenza, della nostra stessa campagna elettorale indipendente.

Comitato Esecutivo PCL

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