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L'Islanda riconosce lo Stato Palestinese

L'Islanda riconosce lo Stato Palestinese

(3 Dicembre 2011) Enzo Apicella
Martedì scorso il parlamento islandese ha votato a favore del riconoscimento dei Territori Palestinesi come stato indipendente.

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APPUNTAMENTI
(Imperialismo e guerra)

Trombettieri, violinisti e pifferai

La “lobby” e il ruolo di certe Ong

(8 Maggio 2009)

“Prima disciplinare, drizzare, domare, ma poi PACIFICARE, sono i vocaboli più utilizzati dai colonialisti nei territori occupati… ma le repressioni, più che spezzare lo slancio, scandiscono l’aumento della coscienza nazionale. In effetti, quando percepisco che la mia vita ha lo stesso peso di quella del colono, il suo sguardo non mi folgora più, ne m’immobilizza più, la sua voce non mi pietrifica più. Non mi turbo più in sua presenza. In pratica, me ne frego. Non soltanto la sua presenza non mi disturba più, ma sto già preparandogli delle imboscate tali che presto non avrà altra via di scampo che la fuga: la decolonizzazione è sempre un fenomeno violento”.
(Frantz Fanon, 1925-1961)

Prima di occuparmi di coloro ai quali fanno riferimento queste parole del combattente per la libertà dell’Algeria e autore del fondamentale “I dannati della Terra”, devo attirare un minimo d’attenzione su quanto tanti continuano a sottovalutare, ignorare o attribuire al famigerato “complottismo”: la potenza di fuoco delle centrali di intossicazione israeliane e della lobby ebraica mondiale. C’è chi reagisce con sorrisi di superiorità – penso agli invasati obamaniaci del “manifesto” – quando si esprime il sospetto, corroborato da mille analisi, inchieste, documentazione dei più autorevoli studiosi statunitensi, che non siano tanto gli Usa a dettare la strategia colonialista e militarista di Israele, quanto il contrario. Due recenti episodi nella politica di “svolta” del taumaturgo Obama dovrebbero far congelare quei sorrisi: un’alta funzionaria della Casa Bianca, nominata dal presidente è stata spazzata via, cioè immediatamente revocata, quando la lobby ebraica AIPAC (“American Israeli Public Affairs Committee”, il gruppo di pressione che da decenni tiene sotto schiaffo l’intero sistema politico-economico-mediatico Usa) ne ha stigmatizzato alcune lontane espressioni “filopalestinesi”. In quanto filopalestinesi, inderogabilmente terroristiche. Per uno che ha appiccicato la sua faccia nera dal sorriso alla Pasta del Capitano sul golem della bushiana guerra infinita al terrorismo, sostenendola perfino con la riesumazione del cadavere della costola di Bush Bin Laden, non si dava che ottemperare a tacchi sbattuti. Quando poi, a seguito di indagini del Congresso, le autorità giudiziarie hanno incriminato due lobbisti ebraici dell’AIPAC, Steven Rosen e Keith Weissman, per spionaggio a favore di Israele e per aver ricattato la parlamentare Jane Harman perché votasse decisioni favorevoli allo Stato sionista, saettante è stato l’intervento dell’amministrazione di “svolta” nell’imporre al tribunale di non rompere le scatole e di archiviare l’impertinenza. E pensare che l’uomo del Pentagono, Lawrence Franklin, che aveva passato le informazioni classificate ai due lobbisti, era stato condannato, nel 2006, a 12 anni di prigione! Non era membro della lobby.

Con frequenza proporzionale all’intensificarsi dei venti di critica, denuncia e condanna che soffiano per i paralleli, ormai anche per quelli boreali, mi arrivano sul blog – e sicuramente arriveranno a tutti – commenti a qualche mio post non proprio ispirato alla visione del mondo per la quale Israele contribuisce allo spopolamento dei pianeta. Sono astuti, ti affrontano con cravatta, con il galateo della conversazione da circolo della caccia, fingono, con compunto rammarico, di prendere sul serio le tue argomentazioni sul genocidio sionista, sulla sessantennale pulizia etnica praticata da Israele, o sull’impressionante parallelo che balza dal confronto tra qualche foto di ebrei nel ghetto di Varsavia, o ad Auschwitz, e altre scattate nel mattatoio di Gaza. Poi, ragionando con pacatezza e dandosi aria di scienza, pretendono di fare le bucce ai dati di fatto contestati inondandoti con i coriandoli della sloganistica sionista-imperialista: e l’olocausto e l’antisemitismo e il ritorno alla terra dei padri e quei sanguinari lapidatori islamici e quei terroristi di Gaza che si fanno scudo dei loro bambini e l’apocalissi preparata dai satanici Iran, Siria, Sudan e i cimiteri ebraici dissacrati di Francia e l’11 settembre (con che faccia!) e i kamikaze e i razzi Kassam e l’integralismo islamico (anche qui, con che faccia!), e il presidente sudanese Bashir incriminato dalla Corte Penale Internazionale (anche il muro dell’apartheid, se è per questo) e quel pazzo sanguinario di Ahmadinejad…. Stereotipi come fossero bombe a grappolo su Gaza.

Tutto questo fa parte del più grande apparato di disinformazione e propaganda che sulla Terra si sia visto dopo la bibbia e il vangelo. Se gli arabi, con la giustizia, la cultura, la storia, l’intelligenza e i numeri dalla loro parte, avessero anche solo uno che da quei maestri intossicatori ha fatto uno stage, altro che Israele, altro che muro, altro che pulizia etnica e furto impunito della Palestina. Ci sono qui i bombaroli e cannonieri d’assalto, per vocazione confessionale (non parliamo di etnica, poiché la va fatta finita con la storia dell’antisemitismo, visto che semiti sono tutti gli arabi e solo una piccola minoranza di ebrei), vocazione all’opportunismo, o alla correità. E sono i Mimun, i Riotta, i Mieli, i Parlato, i Frattini, i Fini, i Napolitano, i Ferrara, le Annunziate, i Berlusconi, con al guinzaglio botoli ringhianti alla Sofri, Erri De Luca, Nierenstein o Magdi Allam, insomma capibastone e picciotti del circuito atlantico-sionista, sezione Italia.

La successiva schiera sono i musicisti di seconda fila, indispensabili agli arrangiamenti, gli infiltrati là dove uno tende a fidarsi, stampa, cultura, spettacolo e conventicole politiche di “sinistra”. Integrano la grossolanità delle falsificazioni e degli occultamenti dei bombaroli a viso aperto con acrobatici funambolismi sul filo che pretende di congiungere due postazioni di pari dignità, di pari valore, ma anche di pari sofferenza. In prima fila, naturalmente, il trio “liberal” degli infingardi cari a Fabio Fazio: Oz, Grossman e Jehoshua, tre letterati israeliani esperti di lifting, che imperversano sugli schermi agendo da chirurghi estetici sul volto mostruoso dello Stato sionista. Ovviamente tutti concordi nel dare totale sostegno a Olmert per la carneficina di Gaza. Di paranostrano abbiamo un Caldiron che, da anni, capeggia la lobby nel quotidiano del PRC “Liberazione”, affannosamente impegnato a erigere barriere diversive rispetto all’evidenza del nazisionismo all’opera a Gaza, a Nilin, a Jenin, a Hebron. Ultimamente ha spalmato sul quotidiano (irredento anche con Dino Greco al timone) la fantasia di uno tsunami antisemita che si sarebbe scatenato nientemeno che negli Usa, cuore pulsante dello “scontro di civiltà” islamofobico, portando come fonte quella storica banda di autentici olimpionici del razzismo e della spranga che si raccoglie sotto la sigla fuorviante di ADL, “Antidefamation League”. Lo scopo evidente era tessere un ricamo vittimistico e ricattatorio sopra le crepe aperte dagli eccessi israeliani nelle tradizionali benevole certezze Usa.

Accompagnano in sordina questi lanciatori di ordigni al gas obnubilante, altri specialisti del “fuoco amico”, di rango sofisticato. Sono i violinisti, sinuosi, arpeggianti, melliflui, eleganti, avvolgenti. Non s’impegnano direttamente nei termini della contesa. Fiancheggiano. Esibiscono qualche lacrima sui tanto sfigati iracheni o palestinesi, qualche rimbrotto sugli ospedali Natobombardati a Belgrado, conquistano così credibilità tra coloro cui si arricciano le budella alla vista delle nefandezze della comunità internazionale dei delinquenti. Poi piazzano la botta. Che può essere una celebrazione di Ovadia delle tradizioni ebraiche al culmine degli infanticidi a Gaza, o un ampolloso servizio della manfestaiola Marina Forti sulle donne detenute per omicidio nelle prigioni iraniane, tutte ovviamente “assassine per legittima difesa”, quando si deve demonizzare un governo iraniano che l’aveva appena cantata giustissima ai razzisti sionisti dal podio della Conferenza Onu sui diritti umani. Capita anche che, rinchiusa in trafiletti la mai cessata strategia genocida a Gaza, si riduca la vicenda, le si sovrapponga un elogio dell’altra manifestaiola Giuliana Sgrena, questa davvero deprimente, ai curdi secessionisti, narcotrafficanti e israelocolonizzati del Curdistan iracheno, o la ripetizione dell’ossessivo karma neocon-obamiano sull’onnipresenza di Al Qaida in un Iraq, dove nessuno ha mai visto Al Qaida, ma dove ogni giorno la Resistenza è tornata a far saltar per aria militari statunitensi e fantocci iracheni. Cosa contro la quale l’ingegno dell’occupante allo stremo ha riesumato, a forza di carneficine iraniano-statunitensi-scite nei mercati e nelle moschee scite, la cosiddetta guerra confessionale, sperando che la reazione scita al soldo dei persiani, quella dei vari Moqtada, Al Maliki e Al Hakim, la faccia finalmente finita con una guerriglia nazionale che gli invasori, non sapendola sconfiggere, tentano di diavolizzare chiamandola Al Qaida.

Di questa Sgrena va evidenziata l’auto-apologia pubblicata sul “manifesto”, con la quale chiama a raccolta coloro che dovrebbero votarla alle europee, immagino soprattutto i bipartisan cultori di “Giuliana martire del terrorismo iracheno”. Si candida con “Sinistra e libertà”. E con chi sennò?

Elegge a “sponda politica”, accanto allo Svendola bertinotizzato, anticomunista megaprivatizzatore in Puglia e magnifico dicitore di bla-bla-bla alla fuffa, l’Obama che ha appena intensificato ed espanso le guerre asiatiche, ribadito Cuba, dagli Usa terroristizzata per 60 anni, tra i “paesi terroristi”, massacrato con i droni decine di famiglie pakistane, usato la farsa “febbre suina” per stringere ulteriormente il cappio sulle libertà civili del cittadini Usa, identificato le sue aspirazioni con quelle dei macellai israeliani, consacrato liberi e impuniti i colleghi bushiani emuli della Santa Inquisizione e di Mengele, mandato una flotta a sterminare chi in Somalia impone risarcimenti, in misura peraltro del tutto inadeguata, ai criminali dello sversamento di rifiuti tossici e nucleari, i predatori impuniti del patrimonio ittico nazionale, i creatori nel 1991 del laboratorio Somalia: un formicaio annaffiato di benzina e incendiato. L’Obama che. avendo allestito una nuova serie di carneficine settarie in Iraq, fa ora dire ai suoi generali che nell’Iraq della rinnovata virulenza Al Qaida, l’Iraq delle piagnucolose mistificazione sgreniane, tocca restarci ben oltre i termini definiti in campagna elettorale. Quell’Obama che, comunque, 50mila effettivi e 100mila mercenari tagliagole aveva deciso di lasciarceli, nell’Iraq, a difesa della sua “sovranità e democrazia”.

E dopo aver riempito i suoi funerali della verità con irrefrenabili impulsi islamofobici e anti-arabi, dall’Iraq all’Algeria, dall’Afghanistan alla Somalia, Sgrena chiede il voto a sé e alla lista degli svendoliani, ruotino di scorta del PD, sulla base dell’”esperienza accumulata in vent’anni” . Dio - ma di questo ectoplasma non ce da fidarsi - ce ne scampi e liberi. Instancabile nell’ imbrattare la Resistenza irachena con la mistificazione bushobamiana di “Al Qaida”, accosta (“il manifesto” 5/5/09) l’infanticidio afghano dei valorosi con le stellette, emuli degli israeliani formato Gaza, alla propria peripezia irachena, culminando a cavalcioni del missile USraeliano mirato al “proliferare dei taliban e del terrorismo di Al Qaida” . Trombettiera, più che violinista, della “guerra infinita al terrorismo”, c’è da rabbrividire di cosa questa Menapace-bis sarà capace di combinare al parlamento europeo. Il riferimento è alla Lidia Menapace che ora, dall’alto dei suoi ottant’anni e passa, esprime il “rinnovamento dal basso” delle candidature europee PRC-PdCI, armata di quel pacifismo che in Italia già l’ ha fatta votare a favore di tutte le guerre. Tornando a Sgrena, non dovremmo mai stancarci di chiederle ragione del suo prolungato silenzio (fino a quando non arrivarono le rivelazioni di Rai-News 24) su cosa le dissero, prima del suo sequestro, le donne della Falluja fosforizzata e sulla copertura che continua a dare alla rimozione ufficiale del famoso “quarto uomo” che nei primi tre giorni del sequestro in tutti i bollettini e dichiarazioni figurava in macchina accanto a lei e Calipari e poi svaporò nei misteri d’Italia. Si può immaginare facilmente a chi allora facesse comodo che non si parlasse dello sterminio di Falluja con armi proibite. Ma chi favorisce la Sgrena tacendo sul “quarto uomo”?

La mobilitazione di tutte queste voci, almeno di quelle che sono consapevoli dello stregone cui fanno da apprendisti, fornisce un contributo prezioso e meno DOC alle bordate a base di “antisemitismo”, “terrorismo palestinese”, “Shoah” che i rappresentanti diplomatici e gli emissari governativi israeliani sparano da servizievoli blindati mediatici contro chiunque osi parlare di crimini di guerra degli infanticidi di Tel Aviv, di occupazione, di colonialismo, di tragedia palestinese, di legittima resistenza. Nel marzo di quest’anno il ministero degli esteri israeliano, capeggiato dal pulitore etnico Lieberman, ha riattivato la campagna di reclutamento e mobilitazione di “naviganti” ebrei e non ebrei impegnati a scrivere nei forum e nei blog di internet, in tutte le lingue del mondo, cose in difesa di Israele e a diffamazione dei suoi critici. I volontari ricevono tramite posta elettronica l’informazione da introdurre in rete. Se ricevano altro, ciò non figura in nessuna fattura. Tra i più graditi per questo lavoro da pifferai sono alcuni dei più affermati esperti di comunicazione. Sette ne ha reclutati per gli Usa il consolato di New York perché “combattano i gruppi e individui che distorcono l’immagine del paese”. A questi benemeriti, alcuni dei quali hanno tentato di inserirsi nel mio blog (ma quarant’anni di frequentazioni di quelle parti mi fa rilevare l’odore del pifferaio come fosse il fiato di chi s’è ingollato i calzini di una tappa del Tour), vanno peraltro anche remunerazioni visibili: viaggi-premio-e-formazione per tutta Israele, spese pagate, per raccogliere materiale sul più democratico, morale e gentile paese di questa Terra. Troverete i risultati in Wikipedia, Wikimedia, Facebook e ogni sorta di blog. Sono un coro di cuculi. Ho visto che questi cuculi (per chi non è ornitologo, sono uccelli furbastri che depongono le loro uova in nidi altrui, poi inconsapevolmente covate dai titolari) a volte ricevono credito e dignità di interlocutori seri anche da brave persone, fiduciosi compagni. Quindi occhio.

La situazione, come dice Celentano, non è buona nei vari gruppi italiani di solidarietà con questo e quello. Ong e Onlus, associazioni di promozione sociale, tutte variamente favorite dall’erario e da contributi dei cittadini, sono solitamente minuscoli aggregati attorno a un galletto che si perpetua plebiscitariamente all’infinito nella carica. Non voglio parlar male del Forum Palestina, straboccante di ottimi compagni e che ha saputo organizzare le poche mobilitazioni del nostro paese e, virtualmente da solo, ha nei giorni scorsi accolto il nazisionista israelo-russo Avigdor Lieberman – “Atomiche su Gaza e fuori tutti gli arabi da Israele” - con presidi e calzanti striscioni. Ma non se ne può tacere l’incongruenza di far fuoco e fiamme sulla tragedia palestinese, escludendo poi rigorosamente da ogni rapporto chi i palestinesi hanno eletto a maggioranza e chi ne è da anni l’espressione resistente e il custode della dignità contro il disfacimento nel collaborazionismo dei bonzi di Fatah. Il rifiuto di aver a che fare con Hamas, legittima forza di governo e perno della Resistenza, fa il paio con l’imbarazzato silenzio di tanti solidaristi, umanitaristi, pacifisti e antimperialisti, quando per difendere la Jugoslavia o l’Iraq etica e logica esigevano che se ne difendessero i dirigenti (poi avvelenati o impiccati), in particolare con uno sforzo di disvelamento delle ingiustificate e strumentali demonizzazioni operate dai signori della guerra. Ne si può evitare di lamentare del Forum Palestina la clamorosa sudditanza logistico-politica ai solipsisti della Rete dei Comunisti e della romana Radio Città Aperta. Sudditanza praticata anche sul sottoscritto quando il Forum ha accettato l’ostracismo nei suoi confronti, dopo anni di vicinanza, decretato appunto dai pezzi da novanta di una Rete impegnata a rincorrere Veltroni. Grave e inesplicabile è stata per l’appunto la connessione Forum-Rete, quando l’associazione di solidarietà con la Palestina si è accodata all’indicibile lista “Arcobaleno per Veltroni” che, con opportunismo pari allo scandalo, la Rete e i Disobbedienti misero in piedi per il secondo mandato del filosionista saccheggiatore di Roma e devastatore della sinistra italiana (risultato: 06%, giustamente).

Per carità di patria, visto che ne sono militante, sorvolo anche su Italia-Cuba, dal vertice infarcito di gente del PD in ontologica contraddizione con una solidarietà a Cuba socialista e rivoluzionaria, che però, a volte, mimetizza con la solidarietà ad altre meno nobili attrattive dell’isola. Molto hanno fatto i compagni dell’associazione nei loro territori, spesso scontrandosi con farraginosità – e anche peggio – dell’amministrazione cubana di aiuti e opere e se oggi di Cuba la sinistra non osa parlare come si è acconciata a parlare di Milosevic o Saddam, e se c’è più gente in Italia che tiene con Cuba più che con altri meritevoli, il riconoscimento ne va per intero all’associazione e al suo lavoro di verità. Che sarebbe anche più credibile se non facesse lo gnorri quando da Cuba si sprigionano accadimenti non perfettamente in linea con le premesse dettate dalla sua storia e dal suo comandante. Arretramenti, burocratismi, inefficienze, trascuratezze e certi episodi che richiamano bruttissime esperienze del socialismo detto reale, come la cacciata su due piedi, infamante ma senza spiegazioni, di chi al vertice aveva rappresentato, finalmente e con grande valore, la nuova generazione e chi, forse, favoriva una linea più rigorosa su socialismo e antimperialismo, Perez Roque, ministro degli esteri e Carlos Lage, vicepresidente. Sbaglio? Mi si diano elementi di valutazione! Fideismo equivale a cecità politica.

Un altro circoletto dal quale fui cacciato è il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. Nome altisonante per una cerchia di nostalgici della Jugoslavia (lo sono anch’io). Eminentemente un gineceo in lenta estinzione, raggruppato intorno al solito piccolo ras maschio, sovrano a vita e addirittura attore in filmetti fumettari sulla tragedia serba, dal tanto intenso quanto involontario, effetto comico. Soprattutto rimandi a link altrui, inoltro di documenti presi da altre liste, sparute e ondivaghe sono le informazioni e valutazioni che contano: cosa è successo davvero nei Balcani a partire dal 1991, cosa vi sta succedendo ora. Milosevic un po’ da prendere con le pinze e un po’ da compiangere. Come ci districhiamo tra i vari attori di Belgrado, chi individuiamo come interlocutore con cui lavorare oggi? In quale quadro geopolitico e geostrategico europeo, slavo, internazionale, è inserita oggi la Serbia, quali sono le condizioni dei suoi lavoratori macinati dalla liberalizzazione, quali i focolai di resistenza? Invece una estenuante rivisitazione della vicenda mussoliniana e dei suoi errori, una riesumazione archivistica di fatti e personaggi della prima metà del secolo scorso. Non ci sono nella sinistra disastrata le forze per la mobilitazione contro chi, dopo averla polverizzata, ora sta sbranando la Jugoslavia, imboccato dai quisling ivi installati, o per correre in soccorso agli unici serbi combattivi sopravvissuti, quelli dell’enclave di Mitrovica? Ma che almeno se ne parli, per la miseria! Che ci si rapporti! Magari abbandonando subalternità politiche che lo trascurano o vietano. Metodi e contenuti di questo coordinamento sono autoreferenziali e inadeguati alla bisogna. Ogni critica al bossino è lesa maestà. Sembra che Berlusconi abbia tanti microepigoni.

Ingenuità, personalismi, miserie umane, piccoli calcoli, in fondo venialità. C’è chi invece se la tira alla grande e riscuotendo maggiore risonanza per capacità di autopromozione e referenti politici, non pecca tanto per carenza, quanto per interventi consapevolmente o inconsapevolmente fiancheggiatori. Più che violinisti che ti sussurrano melliflue note all’orecchio, sono enfatici e tonitruanti contrabassisti. Sostenuti da generale stima e devozione, un po’ da martirio (il rapimento di dipendenti), un po’ da rumoroso ruolo politico, danno legittimità, se non sacralità, a posizioni sbagliate che, al netto della retorica umanitarista, non fanno che la rovina di chi si dice di sostenere. Cito due esempi: “Un Ponte per”, dell’immarcescibile Fabio Alberti (era già presidente quando ero alle elementari), la storica Assopace dell’onorevole, cara a Bertinotti e un po’ a tutti, Luisa Morgantini. Il primo, dopo aver campato per anni di turismo italiano in Iraq, garantito dalla benevolenza del poi anatemizzato Saddam, dopo essersi rilanciato grazie alla patetica messa in scena delle due Simone rapite in Iraq (chissà da chi!) e poi materializzatesi ancora incappucciate nel deserto davanti a telecamere miracolosamente pronte, ha recentemente allestito una kermesse per Ong irachene, nel nome della minestrone “società civile” e nel segno paspartout della “non violenza”. Il momento era, al solito, scelto bene, in coincidenza con il “surge” della Resistenza irachena negli ultimi mesi che ha di colpo vanificato i presunti successi di “sicurezza e pacificazione” che il duo Usa-Iran vantavano dopo rispettivamente il “surge” del generale Petraeus e il mattatoio delle milizie scite. A questi “terroristi” andava messo di fronte il candore vincente della “società civile”. Una società civile che non avrebbe potuto mandare neanche uno dei suoi rappresentanti se le rispettive organizzazioni e sindacati non portassero il codice a barre della ditta israelo-iraniano-statunitense. Anzi, una società civile che, se non si fosse impegnata ad agire tra i muri dell’apartheid politica e fisica eretti dal governo-fantoccio su disposizione dell’occupante, si sarebbe vista trapanare ii crani da Moqtada al Sadr, o dagli sgherri di Al Maliki e di altre milizie collaborazioniste. La totale cancellazione dalla scena irachena di una resistenza armata di popolo che ha vanificato finora tutti i progetti di normalizzazione coloniale, oltre a essere disonesto e antistorico, rappresenta un’offesa sanguinosa a chi, con ogni diritto, si sacrifica nientemeno che per la libertà, alla maniera dei nostri partigiani. Costituisce così un formidabile sostegno a occupanti e fantocci che da sei anni non sognano altro che avere a che fare con quel cucuzzaro di amebe che è la “società civile” irachena e con gli utilissimi “non violenti” di tutto il mondo.

Quanto a Luisa Morgantini, vicepresidente del parlamento europeo, ora in uscita senza rientro, nessuno ne nega i meriti per aver sollevato la questione della sofferenza palestinese in tutte le sedi possibili. Il suo formidabile ego vi ha dato vasta, ma ahimè ambigua, risonanza. Ciò che non torna è contrapporre ai combattenti per la liberazione nazionale della Palestina l’estenuante proposta del dialogo tra i due campi, per il quale la deputata si ostina a raccogliere su è già per i territori occupati sparuti pacifisti di entrambi i popoli che deprechino la violenza di tutte le parti. A sentirsi meglio, dopo, sono solo coloro che hanno manifestato. Morgantini trascura una questione non da poco, quella dei rapporti di forza. La sua imponente presenza non basta a riequilibrarli. Finchè i rapporti di forza non mutano, hai voglia a “dialogare”. Chi ti si impippa? Invece i rapporti di forza cambiano quando un’opinione sempre più ampia si impegna per lo Stato unico e democratico e sostiene questa che è l’unica liberazione con la solidarietà alle forze che lottano in Palestina, con l’informazione corretta, e soprattutto con il boicottaggio alla sudafricana (BDS: boicottaggio, disinvestimenti, sanzioni). In tanti anni di rumorosa presenza morgantiniana nei territori occupati, la sua strategia non ha scalfito minimamente la determinazione israeliana di irridere a qualsiasi dialogo, di trasformare ogni trattativa in una farsa con Abu Mazen arlecchino servitore di due padroni (Usa e Israele), di strafottersene di qualsiasi impegno dialogico assunto. Israele è passata sui gentili propositi di Morgantini come uno di quei caterpillar che disintegrano case, seppelliscono coltivazioni e uccidono Rachel Corrie. A partire dalla superfetazione delle colonie, dall’espulsione ventilata dei palestinesi con cittadinanza israeliana, dalla stragi ricorrenti, dal sequestro e dalla tortura di undicimila persone, bambini compresi, dagli espropri, dalle vessazioni, da un razzismo che ha visto, dopo anni di perorazioni sui “due stati per due popoli”, il 96% della società israeliana appoggiare la carneficina di Gaza, sostenere il muro dell’apartheid, non obiettare alla frantumazione dello “stato” palestinese in un piccolo sistema lego buttato per aria per vedere cosa succede quando ricade a terra.

Al Ponte per, a Morgantini, ai partiti della sinistra “radicale”, a Obama, al resto del mondo, la balla dei “due stati per due popoli” sembra star bene. Esonera dal prendere posizione dalla parte giusta, quella che Obama chiama “terrorista”, l’unica in campo, fornisce apparenze di equilibrio che sistemano la coscienza. Peccato che non stia bene, neppure nelle apparenze, a Israele. Non più. Ora che ci sono Netaniahu, Barak e Lieberman. Ma, anche prima, non è che ci avessero mai creduto. Eretz Israele ueber alles. Tutto, da Madrid a Oslo a Camp David aTaba ad Annapolis, evidenziava la totale ipocrisia dei governanti sionisti, smascherata dalla evidente strategia di ridurre i palestinesi a entità in effettuale, ma ascara contro dissidenti e resistenti, a spezzettarne un territorio ridotto al 12-17% della dimensione storica, a frantumare in tutta la regione le unità statuali arabe per linee etnico-confessionali. Le tesserine palestinesi sparse tra le superstrade probite e le colonie sono circondate da tutti i lati da Israele, valle del Giordano compresa. Ora c’è anche la richiesta di riconoscere Israele come stato dei soli ebrei, ripugnante dal punto di vista etico, criminale da quello politico e che pone il 22% della popolazione, i palestinesi israeliani, in condizioni da CIE maroniano, Centro di Identificazione e Espulsione.

Non c’è studioso e commentatore serio, sia tra gli ebrei e gli stessi israeliani, che tra i non-ebrei, che non riconosca come i due stati siano un’aberrazione irrealizzabile, se non si pensa che Israele cacci via mezzo milione di coloni, riconosca il diritto al ritorno di 5 milioni di palestinesi, restituisca tutti i territori al di là di quanto sancito dall’ONU nel 1947, ammetta frontiere certe, esercito, indipendenza economica, e rinunci a rubare quell’acqua di cui lascia un decimo ai suoi titolari. Lo sbocco inevitabile, giusto, realistico resta di conseguenza lo stato unico per tutti coloro che vivono, con pari diritti, su quella terra. Insistere sulla truffa dei due Stati, significa restare – e tenere la gente – a metà guado. A rischio di finire per sempre a mollo, o di essere spazzati via da un’onda anomala. Chi insiste non fa che l’interesse di un Israele bulimico di espansione e pulizia etnica. Basta pensare che lo stesso Ratzinger, reduce da Israele, ma non da Gaza, ha sussurrato a ogni sasso in Terra Santa le sue infallibili certezze sui due Stati, uno per i “fratelli maggiori” e uno per gli infedeli.

Chiudo con la solita solfa sul “manifesto da €1.20 (2.50) e, ora, da quattro pagine in meno. Quanti lettori in meno? Hanno tolto perfino i programmi televisivi. Andrà bene per quei puristi che leggono Siddharta ma rifiutano di guardare la tv. Per tutti gli altri significa che quel costoso giornaletto gli diventa il secondo giornale, con addizionale esborso per il primo. Ma questo è niente. Sempre per il gusto di starsene in mezzo al guado, anzi un po’ più in là, il “manifesto” del 6 aprile, apre l’interno con titolo a due pagine sull’ammazzamento di una bambina in Afghanistan da parte dei nostri prodi soldati. All’”incidente” l’articolo del noto giornalista di “Lettera 22” dedica su tutta una pagina ben 5 (cinque righe). Il giorno dopo il delitto. Da sempre compatibilissimo con l’occupazione, purchè un po’ più blanda, e contro il “terrorismo dei turbanti”, l’articolista dedica una buona parte al fastidio provato sulla via per l’aeroporto di Kabul per i blocchi messi dal premier Karzai. La parte più ampia è rigonfia del gran lavoro di ricostruzione dei nostri militari nel PRT (Provincial Reconstruction Team). Con qualche alzata di sopracciglia per la “troppa confusione tra intervento civile e intervento bombarolo e mitragliatore”. Eppure tutti sanno che la favoleggiata ricostruzione sta all’impegno militare, a partire dai termini finanziari, come un parapendio sta a un F-16. Intanto la toppa al buco nero è messa.

Un ricordo di Stefano Chiarini, il migliore di tutta la nostra categoria, me lo strappa colui che, insieme alla Sgrena, è ora chiamato a occuparsi dei mondi al cuore dei quali Stefano ci ha portato per anni. L’attuale mediorientalista del “manifesto”, divagando fino ai confini della Cina (sempre roba musulmana è), riempie una pagina con le indiscutibili (per lui) dichiarazioni di tale Rebiya Kadeer, equivalente cinese del tibetano Dalai Lama e a lui devotissima. Si tratta della capa di una di quelle organizzazioni di popoli o minoranze “oppresse” su cui fa affidamento Washington per demonizzare e poi buttare all’aria governi non allineati. Sono quelli del Darfur, delle sette millenariste cinesi, già del brigantaggio iracheno opposto a Saddam, della Moldavia comunista, della Birmania di Aung Su Ky, dei gangster anticastristi di Miami. E tutti a Washington stanno e mica male vegetano. In questo caso di tratta di una militante pannelliana, cinese di etnia uiguri, membro eminente del Partito Radicale Transnazionale (e già qui l’articolista avrebbe dovuto rabbridividire), che mette a disposizione della Cia, del Pentagono e del Dipartimento di Stato i suoi servizi e le rimostranze di coloro che rappresenta (al tempo delle Olimpiadi avevano fatto saltare per aria un po’ di edifici governativi) nella provincia cinese a maggioranza islamica dello Xinjiang. Tutto questo lo dice la signora stessa, insieme a un elenco di nefandezze cinesi del tutto indistinguibili da quelle che venivano attribuite ad altri “dittatori sanguinari” indocili. Come il Dalai Lama, chiede, per ora, solo l’autonomia, ma fa capire che certo non basta. Roba che suonerebbe a qualunque giornalista cento campanelli d’allarme e altrettate contestazioni. Non al nostro. Ma non si erano bevuti anche il “genocidio nel Darfur”, “il dittatore Milosevic”, il “gassatore dei curdi” Saddam, il “demente tiranno” Mugabe, lo “zar” Putin, l’11 settembre, il subcomandante Marcos e il sub-sub Bertinotti?

Sarà per questo che “il manifesto” soffre di emorragie?

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