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25 Aprile

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(25 Aprile 2010) Enzo Apicella

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Testimonianza di Milka Cok (Ljuba) di Longera

(24 Aprile 2003)

«Il primo bunker venne costruito nell'estate del '44 sotto casa nostra, che si trovava proprio dietro quello che adesso è l'asilo di Longera, una vecchia osteria dove allora si erano insediati i tedeschi. La gente entrava davanti ed usciva dietro, sulla campagna, era in una posizione ideale per quel tipo di movimenti. Poi ci accorgemmo di essere spiati, ed un altro bunker venne costruito più su, dove ora c'è il monumento. Consisteva in una piccolissima stanza, dove potevano stare da 4 a 6 persone, ed un piccolissimo cunicolo che portava sul monte. Il bunker serviva come base per partigiani che stavano lì nascosti di giorno e che uscivano la notte per compiere le loro missioni.

Allora avevo sedici anni, facevo parte dello S.K.O.J. [1]; noi ragazzi avevamo ognuno una zona della città dove andavamo di notte a scrivere con vernice e pennello; la mattina, invece di andare a scuola, nascondevamo tra i libri, nelle borse, i volantini che venivano da Gropada [2] e li portavamo in città. Poi accompagnavamo in Carso i giovani che volevano unirsi ai partigiani: davamo loro degli attrezzi agricoli e li portavamo attraverso Monte Spaccato, dove lavoravano quelli della Todt [il servizio obbligatorio istituito dai nazisti, n.d.a.] a fare fortificazioni, dicendo a questi che i ragazzi andavano a lavorare in campagna. Passavamo oltre, dopo un poco abbandonavamo gli arnesi ed i giovani andavano fino a Gropada, da dove poi si sarebbero uniti ai partigiani.

Il giorno del rastrellamento e del massacro (21.3.1945, n.d.a.) venne su a Longera la "banda Collotti" con Collotti in persona. La gente sospetta e schedata venne prelevata e condotta al centro del dopolavoro che si trovava in fondo al paese. C'ero anch'io con la mia famiglia, avevo due fratelli partigiani, eravamo "sospetti". Verso le 11 sentimmo i primi spari, mitraglie, bombe a mano. Capii subito che si trattava del bunker: qualcuno aveva fatto la spia. Mi disse poi proprio uno della "banda Collotti" che c'era in paese uno spione che andava di notte ad origliare sotto le finestre dei compaesani.

Quelli della "banda Collotti" portarono tre compagni incatenati, tra cui anche il padre di Danilo, che aveva il figlio nel bunker. Volevano che lo aprisse, ma lui si rifiutò e lo uccisero. Danilo mi raccontò poi che loro, nel bunker, avevano deciso, se fossero stati attaccati, di attaccare a loro volta e di non lasciarsi prendere vivi dai fascisti. Durante l'attacco al bunker morirono Pavel, che era il comandante, Stojan e Radivoj [3]. Gli altri tre si salvarono nascondendosi dietro la nostra casa e si rifugiarono a Gropada.

Al dopolavoro chiamarono fuori la mia famiglia e ci portarono tutti fino al bunker, dov'erano stati messi in fila i quattro morti, anche il papà di Danilo. Volevano che dicessi i nomi dei morti, ma mi rifiutai, allora mi fecero andare tra i corpi e mi minacciarono di uccidermi. Credetti davvero che sarei morta, ma spararono solo una raffica che non mi colpì e svenni. Mi riportarono poi a casa e di nuovo al bunker e poi ancora di nuovo al dopolavoro. Lì vidi anche i loro feriti (della P.S., n.d.a.), che vennero portati via subito.

Al pomeriggio mi chiamò Collotti in persona; io non volevo andare perché avevo visto Slavko (uno dei costruttori del bunker) che era stato torturato ed era ancora fuori di sé, diceva che non aveva potuto sopportare le torture, era irriconoscibile.

Collotti mi disse che sapeva tutto di me, di quello che avevo fatto, del cibo che portavo nel bunker, di ciò che facevo a Borst e a Gropada. Io negai di essere la figlia di Rodolfo Cok, lui fece per picchiarmi ma si fece male da solo... allora mi fecero ruzzolare giù per un piano di scale. La sera poi ci portarono in via Cologna.

Fu proprio il giorno delle Palme che mi portarono nella stanza della tortura: mi legarono ad una sedia, mi torturarono con l'elettricità, mi bruciarono con le sigarette, mi picchiarono, mi tirarono su con una corda legata alle spalle torcendomi le braccia... una ragazza ebbe le braccia spezzate, un compagno morì poco dopo. Nonostante tutto non parlai e dopo dieci giorni ci portarono al Coroneo dove ci passarono alle S.S.; là vennero anche mia madre ed altri di Longera. Sentivamo di notte i camion che venivano a prendere la gente per portarla in Risiera, ma anche al Coroneo riuscivano a girare i fogli partigiani e questo ci dava coraggio.

Erano gli ultimi giorni di guerra e ci dissero che ci avrebbero portato in Germania. Ci condussero a piedi fino a Roiano: lì gli uomini vennero caricati su un camion mentre noi aspettammo tutto il giorno che venissero altri camion per portarci via, ma non venne nessuno, perche a nord le strade erano già bloccate. Così ci riportarono al Coroneo e dopo ci rimandarono a casa.

A Longera la nostra casa era distrutta: una notte che pioveva e non potevamo dormire ci eravamo messi di guardia contro i tedeschi: ma ad un certo punto vedemmo arrivare i partigiani, da tutte le parti venivano fuori i partigiani e questa è stata una gioia così grande che non la posso descrivere».

note

[1] Savez Komunisticne Omladine Jugoslavije (Lega della Gioventù Comunista Jugoslava).

[2] Piccolo paese carsico tra Bazovica-Basovizza e Padrice-Padriciano.

[3] I caduti del bunker, i cui nomi sono ricordati nel cippo di Longera, sono: Andrej Pertot, Pavel Petvar, Angel Masten ed Evald Antoncic.


(Tratto da: Claudia Cernigoi, "Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo". Edizioni Kappa Vu, Udine 1997.)

Fonte

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