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(4 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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Gli antimperialsti nella trappola iraniana

(26 Giugno 2009)

L’eroe dei due mondi Ahmadinejad, acclamato al suo ritorno dalla Conferenza di Durban da una folla ben coreografata e uscito “vincitore” dalle elezioni di giugno, ha, prima, ottenuto il plauso di molta parte della sinistra occidentale grazie al ruolo sostenuto dall’Iran a favore di Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano – ciò che farebbe della teocrazia iraniana il più luminoso esempio di “oggettivo antimperialismo” – e, ora, incassa il sostegno del populismo terzomondista che ha sostituito la lucidità politica e la ragione della critica storica.

Dimenticando completamente le mobilitazioni e gli scioperi che in Iran, negli ultimi due anni, sono stati la voce di una massa di lavoratori e di giovani che hanno opposto una lotta concreta al regime teocratico e che hanno ridato impulso alle organizzazioni della resistenza, i leader dell’opinione disinistra, quella sedicente antimperialista, chiamano alla solidarietà al “presidente eletto dal popolo” contro l’ennesima rivoluzione colorata fomentata dalla CIA.

Non che manchino motivazioni realistiche per dubitare della spontaneità delle dimostrazioni a favore di Mousavi e dell’indipendenza politica dei suoi organizzatori: l’Amministrazione americana ha certamente interesse a ridimensionare il ruolo e le pretese iraniane in Medioriente e, a questo scopo, una minaccia di destabilizzazione interna è certamente utile a far abbassare la cresta ad un governo vecchio o nuovo che sia. È anche possibile che una sostituzione di turbante ai vertici avrebbe reso meno impresentabile l’atteggiamento di incoraggiante e aperta tolleranza degli Stati Uniti verso un regime demonizzato a parole, ma complice degli USA nelle aggressioni all’Iraq, all’Afghanistan e al Pakistan e prossimo socio nel ridisegno degli equilibri nell’area mediorientale. Ed è pur vero che un governo “modernizzatore” (riformatore è altra cosa) agevolerebbe la penetrazione dei capitali transnazionali nel Paese – peraltro già ben avviata e ulteriormente incrementata nell’era Ahmadinejad – e favorirebbe quella “diplomazia del gas”, controllata dal padrino di Mousavi, Rafsanjani, più incline a compromessi con l’ottica esportazionista caldeggiata dagli americani. Gli americani pagano bene, e di solito centrano l’obiettivo. Ma, in genere, il loro obiettivo è quello di cambiare un equilibrio geopolitico (come è avvenuto con le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina) o impedire l’avanzata di un processo rivoluzionario (come in Venezuela): se anche gli Stati Uniti hanno finanziato e sostenuto la fazione di Mousavi, non hanno certo intenzione di rovesciare il regime, considerato che nulla cambierebbe in Iran con l’avvento alla presidenza di una fazione islamista sostanzialmente sovrapponibile a quella attualmente al potere. Né gli ayatollah intendono rovesciarsi da soli muovendo la piazza a rischio di dover fronteggiare una sollevazione popolare che metta in discussione proprio le basi del loro potere politico. Perché non è possibile non vedere che la protesta si è estesa oltre i confini di una semplice contestazione di brogli elettorali e che l’”onda verde” è piuttosto cangiante, o almeno ben circoscritta, mentre la partecipazione alle mobilitazioni ha assunto dimensioni impressionanti per un Paese sottoposto ad una repressione cui è difficile trovare un paragone nella storia.

Se, appunto, non vogliamo dimenticare i numerosi segnali di dissenso e di resistenza contro il regime, osservando quanto sta avvenendo dovremmo almeno chiederci se non esistano all’interno dell’Iran le condizioni per l’avvio di un movimento popolare orientato in senso rivoluzionario. L’”onda verde”, in questo caso, non sarebbe deputata tanto a travolgere un governo in ossequio ai disegni imperialisti americani, quanto ad annegare sul nascere una possibile insurrezione contro la teocrazia, deviandola verso rivendicazioni parziali e compatibili con il mantenimento del sistema politico. E questo davvero in conformità con i desideri dell’imperialismo.

Altrettanto irrazionale sembra dunque l’entusiasmo dimostrato da altra “sinistra”, quella sedicente “radicale”, per l’islamista “moderato” Mousavi.

Ma vogliamo solo per questa ragione considerare attendibile il sondaggio preelettorale che assegnava al presidente uscente il doppio dei voti rispetto a Mousavi, un sondaggio pubblicato da The Washington Post che i sostenitori del mitico “antimperialista” Ahmadinejad portano a testimonianza del sostegno popolare alla sua politica? Condotta per telefono da un Paese confinante su un campione di 1.001 interviste in tutto l’Iran (oltre 46 milioni di aventi diritto al voto!) da una società di sondaggi che collabora con ABC News e con la BBC, l’indagine, secondo quanto dichiarano i suoi stessi autori, è stata finanziata dalla Rockefeller Brothers Fund (!), che dal 1940 affianca la fondazione madre e dichiara tra i suoi scopi la “espansione della democrazia”. Considerato quale è il concetto di democrazia di casa Rockfeller, c’è piuttosto da domandarsi quanto mantenere saldamente al potere la teocrazia islamica e il suo leader, così efficiente nell’esportare la rivoluzione islamica in Medioriente affossando i movimenti progressisti e ispirati al nazionalismo arabo, convenga, tra gli altri, ad una delle maggiori dinastie del petrolio approdate all’impero della finanza.

Per quanto possa essere presto per avere la prova dei fatti, è però innegabile che la fazione militare di Ahmadinejad abbia messo a segno un colpo di Stato “morbido”: che la maggioranza dei voti (ma alcune fonti, e non le meno attendibili, parlano di un’enorme astensione) sia andata a favore dell’uno o dell’altro candidato è incontestabile che i “radicali”, o “militari”, del presidente gestiscono la crisi in modo da rafforzare la dittatura, non solo con la sanguinaria repressione della piazza, ma anche con le manovre intimidatorie (e in Iran non si tratta di semplici minacce!) contro ogni forma di dissenso nelle istituzioni e nell’informazione. Coerentemente, del resto, con la legge della teocrazia islamica.

Dal momento che è evidente che nessun ruolo di rappresentanza, nemmeno formale, può essere riconosciuto ad un “candidato” rispetto ad un altro in un sistema in cui non è possibile cambiare un solo articolo non solo della Costituzione, ma nemmeno del codice civile o penale, pare semplicemente assurdo che la nostrana cosiddetta sinistra si divida in fazioni a sostegno dell’uno o dell’altro concorrente alla presidenza piuttosto che riconsiderare l’errore di analisi compiuto già trent’anni fa con l’incondizionato plauso tributato alla controrivoluzionaria “rivoluzione” sciita.

Una sollevazione proto-insurrezionale (ma chissà che la popolazione iraniana non finisca con lo stupirci avviando un vero processo rivoluzionario!) sta rendendo palese anche agli occhi dei più ottusi sostenitori della tesi del “ruolo oggettivamente antimperialista” della Repubblica Islamica quello che realmente è la dittatura dei turbanti. Se la scintilla si è accesa in seguito alla farsa elettorale, le radici di un movimento di resistenza popolare avevano già cominciato ad attecchire nella società iraniana. Dobbiamo pensare che gli studenti e i lavoratori che in Iran si sono esposti e si espongono ad una repressione selvaggia per liberarsi del regime degli ahyatollah senza accettare il patrocinio americano non hanno capito niente?

Queste due note vorrebbero essere un invito a riflettere sulle loro ragioni.

Dopo mesi di repressione nelle piazze e assassinii di protagonisti della rivoluzione, l’atto costitutivo della Repubblica Islamica dell’Iran fu ratificato, nell’estate del 1981, con l’esecuzione di 2665 militanti dei Mojaheddin [1] e di altre formazioni della sinistra iraniana [2].

Il Tudeh, partito sedicente comunista, filosovietico, riformista sotto lo shah e collaborazionista con Khomeyni, veniva liquidato con una serie di pogrom successivi tra il 1982 e il 1988 [3].

La santificazione del regime procede da quelle decine di migliaia di giovani bassiji mandati a morire sul fronte della guerra contro l’Iraq laico e progressista, in un delirio nazionalista che cancellava le aspirazioni popolari espresse dall’insurrezione [4].

Mentre si consolidavano le basi materiali della teocrazia capitalista, la tutela intransigente della proprietà privata [5] e la presa di possesso dello Stato da parte dell’apparato clericale [6], i Comitati di lotta contro le cose vietate e le Pattuglie della collera di Dio imponevano l’ordine morale islamico nella società. E non c’è bisogno di ricordare cosa questo significhi. Mentre si rifiutava la riforma agraria alle masse diseredate delle campagne venivano soppressi i sindacati indipendenti e, nel giugno 1981, il regime scatenava una feroce repressione contro i lavoratori: dai 300 ai 500 arresti al giorno, decine di migliaia di oppositori assassinati nelle carceri [7]. Più di 10.000 tra studenti e docenti universitari venivano massacrati in seguito alle proteste del giugno 1981 [8]. Tudeh e Fronte Nazionale schieravano i propri militanti a difesa dello Stato islamico, negando il loro sostegno alle manifestazioni del 1° maggio, in nome della “comune” lotta contro l’imperialismo americano alleato dello shah. È forse da questo slogan dell’epoca, lanciato di fatto contro le aspirazioni delle masse – ai tempi probabilmente pervase da un autentico sentire antimperialista – , che buona parte della sinistra si è lasciata affascinare dalla rivoluzione islamica tanto da preferire la teocrazia degli ahyatollah allo Stato laico iracheno? Tanto da diffondere la fandonia dell’accordo tra il partito Baath iracheno e la CIA nonchè quella del sostegno americano a Saddam Hussein trascurando la provata complicità USA-Iran nell’affare Iran-Contras o l’altrettanto provato supporto israeliano all’Iran durante e dopo la guerra Iraq-Iran[9]?

Trent’anni dopo la proclamazione della Repubblica Islamica – cioè, mi permetto di dire, dopo la sconfitta della rivoluzione – l’Iran soggiace ad un regime di terrore, la grande maggioranza della popolazione versa in condizioni economiche disastrose ed è soggetta alla deprivazione dei più elementari diritti dei lavoratori, la discriminazione e oppressione delle minoranze non ha attualmente paragoni nel mondo, le donne sono vittime della più retrograda e vessatoria legislazione sul pianeta [10].

Trent’anni dopo la sconfitta della rivoluzione i Guardiani della Rivoluzione aggrediscono manifestanti e lavoratori in sciopero, uccidono, torturano [11]. Per assicurare la stabilità del regime e per salvaguardare gli interessi di una classe dominante che intende rispettare le compatibilità con il sistema capitalistico occidentale e prosperare a rimorchio dei flussi di investimento dei capitali esteri. L’accelerato processo di privatizzazioni (che interessa in particolar modo le risorse e l’industria strategica) insieme alla possibilità offerta agli investitori esteri di acquisire il 100% di aziende prima gestite dallo Stato non pare proprio indirizzare l’Iran sulla strada dell’antimperialismo (nonostante le altisonanti dichiarazioni di Ahmadinejad), quanto piuttosto rafforzare i già forti legami del regime con il mondo dominato dalle multinazionali [12].

Né pare testimoniare alcuna inclinazione antimperialista la storia e l’attualità dei rapporti internazionali della Repubblica Islamica.

Nonostante la violenza verbale della campagna propagandistica contro il “grande satana” (Stati Uniti) e contro Israele, l’Iran di Khomeyni aveva interessi convergenti con gli alleati diabolici. Per l’uno e per gli altri il nemico assoluto in Medioriente era il nazionalismo arabo, laico e progressista, in grado, soprattutto dopo la vittoria della rivoluzione in Iraq, di ingenerare in prospettiva ravvicinata un processo di sviluppo economico e sociale autonomo che avrebbe investito l’intera area – penalizzando e forse mettendo in crisi l’egemonia statunitense – e che avrebbe portato l’Iraq a dotarsi di un apparato militare capace di costituire un pericolo concreto per il “piccolo satana”. La Repubblica Islamica ha ottenuto prezioso sostegno finanziario e militare tanto dagli Stati Uniti quanto da Israele durante la guerra con l’Iraq [13]: fino da allora la teocrazia iraniana, eliminata ogni possibile opposizione interna, mirava ad espandere la sua influenza politica e religiosa sul mondo arabo, e rappresentava il miglior antidoto alla febbre antimperialista (non semplicemente antiamericana) che, con punte più e meno accentuate, tendeva a pervadere gli arabi ex-colonizzati.

Nella prima Guerra del Golfo la neutralità iraniana veniva ottenuta dal governo iracheno in cambio della firma del trattato di pace notevolmente vantaggioso per l’Iran [14], ma l’”errore” sarà corretto dagli ahyatollah con la piena collaborazione assicurata agli americani in occasione dell’aggressione contro l’Iraq nel 2003.

Dopo avere attivamente collaborato con gli Stati Uniti nel sostenere le milizie musulmane bosniache durante la guerra in Jugoslavia [15], ed avere affiancato il “grande satana” nell’aggressione americana all’Afghanistan [16], l’Iran è stato attore chiave nell’agevolare la guerra americana contro l’Iraq (a partire dal falso dossier sulle inesistenti “armi di distruzione di massa”), nell’affiancare le truppe di invasione con la penetrazione di milizie addestrate per condurre una guerra coperta contro la Resistenza irachena, per compiere azioni di terrorismo sotto falsa bandiera, per annichilire la volontà di resistenza della popolazione civile con barbari massacri dei fiancheggiatori della Resistenza armata, ma anche con azioni pianificate di “pulizia etnica” contro sunniti, cristiani, sciiti laici, palestinesi, e con violenze ed eccidi per imporre la sharja. Le Badr Brigates (milizia dello SCIRI, il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica) e il Mahdi Army di Moqtata al-Sadr hanno fatto di gran lunga più morti che non i bombardamenti americani [17].

Insediato nel governo fantoccio iracheno servo di due padroni con il beneplacito degli Stati Uniti, l’Iran sostiene apertamente il regime afghano [18], e non manca di appoggiare le fazioni settarie integraliste sciite in Pakistan [19], Paese in via di destabilizzazione in funzione degli interessi geopolitici statunitensi e degli appetiti delle grandi compagnie coinvolte negli affari dei gasdotti [20] oltre che oggetto dei bombardamenti americani.

A dispetto degli infuocati scambi di accuse reciproche, dunque, esiste una più che discreta sintonia tra il “grande satana” e la teocrazia che governa il “Paese degli Ari”, un vero bastione antimperialista secondo i “nostri” commentatori [21]!

Quanto allo zelo nel difendere i Palestinesi intrappolati a Gaza, piacerebbe sapere per quale motivo i Palestinesi intrappolati nell’Iraq occupato sono stati invece perseguitati e massacrati dalle milizie filo- iraniane [22]. Forse perché rimasti partigiani dello Stato laico e impermeabili alla islamizzazione forzata? Ma nemmeno per i palestinesi dei Territori occupati gli ahyatollah dimostrano grande considerazione: nonostante le ripetute proteste del Comitato per il Boicottaggio e il Disinvestimento in Israele, l’Iran intrattiene ottime relazioni di affari con Veolia e Alstom, le multinazionali impegnate nella costruzione delle colonie israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme est [23].

Vero vincitore della seconda Guerra del Golfo, l’Iran non intende mancare l’occasione di accedere alla spartizione del mondo arabo approfittando della relativa debolezza degli Stati Uniti (più che mai invischiati in guerre che non riescono a vincere) e del progressivo raffreddamento delle relazioni USA-Israele.

Con la fine dell’URSS e dopo la distruzione dell’Iraq, infatti, il ruolo dello Stato ebraico, argine all’espansione sovietica in Medioriente e avamposto militare contro ogni speranza di unificazione araba, tendeva a perdere la sua ragione strategica. Non si può negare che, all’interno degli Stati Uniti, abbia continuato ad operare a favore dei piani israeliani in questi anni una cosiddetta “lobby ebraica”, ma è impensabile attribuirle una influenza decisiva sulle scelte dell’Amministrazione in fatto di politica estera: le ragioni del capitalismo e dell’imperialismo non si fondano sulla difesa di interessi particolari di un nucleo, per quanto agguerrito e potente, ma sulla dinamica della mondializzazione capitalista, e non si affidano a think-tank, per quanto influenti, espressione di una pedina che è parte non determinante del sistema di dominio.

Eliminato il comune nemico, l’Iraq, dalla scena mediorientale, sono venute anche a cadere le motivazioni dell’alleanza sotterranea tra lo Stato sionista e quello teocratico riportando le due potenze regionali ad una situazione di fronteggiamento e confronto di interessi contrapposti. Se Israele mira a gestire intere aree di produzione e gli scambi commerciali nel “Grande Medioriente”, l’Iran si propone di dilatare la propria influenza politica nella regione lasciando alle multinazionali occidentali il privilegio di sfruttare risorse e forza lavoro (come si evince dal nuovo corso delle privatizzazioni): i due progetti sono palesemente incompatibili.

Con la guerra del 2006 contro il Libano il governo israeliano intendeva innanzitutto colpire i tentacoli della piovra iraniana per frenarne le mire espansionistiche e, come obiettivo massimo, creare pregiudizio alla ipotizzabile futura alleanza tra Stati Uniti e Iran. Inserendosi nello scontro l’Iran si proponeva di impedire un eventuale avanzamento del cosiddetto “processo di pace”: la “pacificazione” tra Israele e i maggiori Stati arabi avrebbe evidentemente allontanato la prospettiva di penetrazione politico-militare iraniana nel mondo arabo.

A prescindere dal maggiore o minore consenso che Hezbollah e Hamas possano raccogliere all’interno dei loro Paesi e delle ragioni che li oppongono allo Stato sionista, entrambe le organizzazioni hanno assolto perfettamente il compito loro assegnato, quello cioè di predisporre un casus belli per l’aggressione israeliana.

Fermata nella sua campagna militare dal veto statunitense, Tel Aviv incassa una sconfitta politica e vede ulteriormente ridimensionata la sua importanza quale alleato strategico degli Stati Uniti, ma ottiene di dividere ulteriormente, indebolendolo, il fronte della resistenza antisionista. È del resto evidente che, al di là dell’effettivo valore sul campo delle milizie di Hezbollah e degli errori di strategia militare di Israele, quest’ultimo non avrebbe avuto eccessive difficoltà (oltre che nessuna remora) a polverizzare il Paese dei cedri e la sua resistenza: tanto in Libano quanto a Gaza la campagna sionista è stata fermata dal veto statunitense (e da quello della cosiddetta “comunità internazionale”) a dimostrazione che non è Israele a dettare le condizioni.

Hezbollah entra stabilmente nella compagine governativa libanese e garantisce al suo sponsor iraniano una tribuna da cui lanciare una intensa campagna propagandistica di promozione dei precetti religiosi e politici dell’Islam.

Teheran, con l’operazione libanese ma ancor di più con la “vittoria” di Hamas a Gaza, ottiene una base territoriale nel cuore del mondo arabo, una base da cui muovere per portare l’attacco dell’Islam politico dentro le maggiori nazioni arabe, dentro l’Egitto e l’Arabia Saudita, e vede notevolmente accresciuto il suo ascendente sulle masse arabe.

La mobilitazione delle comunità sciite, sobillate dagli agenti iraniani, che inneggiano alla secessione in Arabia Saudita [24], e i progettati attentati a firma della Fratellanza Musulmana (alleata di Hezbollah) in Egitto [25] non sono certo semplici operazioni di propaganda, e meno che mai azioni rivoluzionarie: non appoggiano movimenti popolari contro gli odiosi regimi fino ad ora complici degli americani favorendo l’unità delle organizzazioni di opposizione, ma cercano di scatenare violenze settarie dentro nazioni arabe, violenze che hanno lo scopo di fomentare una guerra civile tra il popolo, colpendo sì i governi, ma per portare questi Paesi in uno stato di destabilizzazione che agevoli interventi di forze esterne. Possiamo facilmente predire che, in un simile scenario, non saranno solo le forze iraniane ad intervenire! Non è nemmeno difficile preconizzare che si possa arrivare anche per questa via a quello smembramento delle nazioni arabe auspicato dagli agenti mondiali dell’imperialismo e dal capitale transnazionale interessato alla realizzazione del cosiddetto “Grande Medioriente” – cioè l'area compresa tra Egitto e Turchia a occidente, Afghanistan e Pakistan a oriente – verso il quale sono rivolti gli appetiti dei grandi investitori oltre che delle maggiori compagnie petrolifere nel mondo. È così che l’Iran assolverebbe al suo ruolo “oggettivamente antimperialista”?

Difficile dire, sulla scorta delle considerazioni fatte sopra, che siano le sorti della Palestina e dei palestinesi a stare cuore ai dirigenti politici iraniani o che sia il fanatismo antiebraico (l’antisionismo ha ben altra dignità) di Ahmadinejad a motivare gli aiuti in armi e denaro forniti ad Hamas: l’esportazione della “rivoluzione islamica” ha altri e più vasti orizzonti e, a quanto pare, non crea pregiudizio ad una alleanza di fatto, ancora per poco celata, con il “grande satana” capitalista e imperialista.

Così come non è per feroce odio razziale di origine religiosa che Israele aggredisce Libano e Palestina con bombe al fosforo, ma per cinico calcolo strategico, come è naturale che avvenga per un Paese colonialista, capitalista e razzista. “Secondo il viceministro della Difesa israeliano Ephraim Sneh, la guerra con Teheran non è una questione di se, ma di quando […] il Libano è semplicemente il preludio a una guerra ben più ampia con l’Iran’” [26]. Allo stesso modo possiamo leggere l’aggressione a Gaza. E pare ridicolo sostenere che l’efferatezza dei crimini israeliani nella regione siano frutto di una cultura religiosa. La spietatezza non è prerogativa dell’ebraismo, né inclinazione esclusiva dei sionisti: si tratta di terrorismo contro la popolazione civile identico a quello praticato, con la complicità tra gli altri dello Stato italiano, dagli anglo-americani in Iraq e in Afghanistan, perché il terrore è l’arma per vincere la resistenza di un popolo. La colonizzazione e l’occupazione della Palestina è in sé un’aberrazione della storia e un atto criminale contro i diritti umani.

In realtà, benché sia già nei calcoli lo scontro diretto con l’Iran [27], Israele teme ben di più la prospettiva non lontana di una destabilizzazione globale del Medioriente. Il conflitto generalizzato neutralizzerebbe l’egemonia militare dello Stato degli ebrei, e un teatro con più attori ostacolerebbe l’accesso ai centri produttivi e ai mercati arabi all’asfittica economia del Paese (che non sarebbe, allo stato attuale delle cose, in grado di sopravvivere in assenza dei consistenti aiuti americani). Lieberman, nel discorso delle 1100 parole in occasione del suo insediamento nella carica di ministro israeliano degli Esteri, ha infatti affermato che i veri problemi per il “mondo libero” arrivano “dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iran e dall’Iraq - e non dal conflitto israelo-palestinese” [28]. E in una intervista al quotidiano russo Moskovski Komsomolets ha dichiarato che è molto più concreto il pericolo che l’arsenale atomico pakistano possa cadere nelle mani dei fondamentalisti islamici rispetto a quello rappresentato dall’atomica iraniana [29]. Mentre è evidente che Israele ha ora un nemico in comune con i Paesi arabi “moderati” (Egitto, Arabia Saudita, Marocco, Giordania) minacciati dall’espansionismo sciita iraniano, e, dunque, ha interesse a non compromettere le proprie relazioni con essi [30].

Da parte sua l’ Amministrazione Obama non solo ha avviato trattative con il governo degli ahyatollah e con quello siriano [31] e ha reso pubblico l’intendimento di arrivare ad un disgelo nelle relazioni USA-Iran con il plauso della Unione Europea [32], ma ha anche associato l’Iran al programma di “ricostruzione” dell’Afghanistan [33].

È palese la divaricazione crescente tra la politica estera di Washington e quella di Tel Aviv: sullo sfondo si profila una sorta di sconvolgimento delle alleanze, una situazione in cui grandi e medie potenze faranno scontrare sul campo i propri satelliti, ogni genere di fazioni armate locali e organizzazioni terroriste. E la Russia? Potrebbe essere l’ago della bilancia o sbilanciarsi a favore di Israele. Cosa che potrebbe fare la differenza tra un conflitto mediorientale combattuto per procura da attori regionali e un conflitto mediorientale di più vaste proporzioni.

È ancora lecito aderire all’”Ahmadinejad fans club” in nome della sua pretesa difesa della causa palestinese?

Indubbiamente la Repubblica Islamica costituisce un elemento di disturbo verso l’attuale egemonia statunitense in Medioriente e i suoi interessi a medio termine si contrappongono a quelli dell’”entità sionista”, ma attribuirle per questo un ruolo “oggettivamente antimperialista” – come sostiene attualmente la più parte dei commentatori del movimento contro la guerra – contraddice la più elementare e fondamentale ragione della lotta contro l’imperialismo: l’antimperialismo è un progetto di emancipazione di una società dal dominio economico e politico esercitato da una potenza capitalista su un popolo, è un movimento nato con le guerre di liberazione nazionale anticoloniali e fondato tanto sul principio di autodeterminazione quanto su quello della dissoluzione del vincolo di dipendenza dal modello di sviluppo della potenza dominante. In altre parole, è intrinsecamente legato alla lotta contro il dominio del capitalismo. E contro la guerra imperialista, da chiunque condotta.

Un ruolo contingentemente antiegemonico, come al massimo può definirsi quello dell’Iran degli ahyatollah, giocato non certo con la finalità di emancipare le popolazioni mediorientali dallo sfruttamento capitalistico ma per assoggettarle ad un dominio teocratico che incarna l’assolutismo reazionario come mai si è verificato nella storia, è il ruolo del peggior nemico degli antimperialisti come delle masse proletarie e popolari.

Lo testimonia il grande e variegato (oltre che estremamente coraggioso) movimento di opposizione interna alla Repubblica Islamica [34] e il movimento nelle università [35]; lo rende evidente il moltiplicarsi degli scioperi in tutti i settori della produzione. Lo dichiarano inequivocabilmente le organizzazioni della resistenza iraniana, Mujahedeen-e-Khalq [36] e Hands off the People of Iran [37] in primo luogo, ma anche le associazioni studentesche [38] e il Partito del Lavoro dell’Iran [39].

Perché gli antimperialisti nostrani non fanno riferimento a queste formazioni e non si impegnano a fianco delle masse popolari oppresse dell’Iran piuttosto che confidare nelle virtù “rivoluzionarie” dell’idolatria? Perché non reagiscono alla censura e all’esclusione decretata da Stop the War contro l’organizzazione dell’opposizione iraniana Hands off the People of Iran colpevole di aver criticato il governo di Teheran [40]?

Perché il movimento contro la guerra, invece di dare voce ai blogger iraniani che quotidianamente rischiano la vita per denunciare le atrocità commesse dal regime, le giustifica in nome del diritto ad una “diversa civiltà giuridica”, oltre ad accogliere al suo interno personaggi come George Galloway che nega l’asilo politico ad un gay iraniano condannato a morte [41]?

Si tratta dello stesso movimento contro la guerra che, dopo averne avallato la diffamazione, ha approvato il linciaggio e l’assassinio di Saddam Hussein e degli esponenti del governo antimperialista iracheno.

Personalmente non ho altro da aggiungere se non che l’uso sistematico della tortura, l’avvilimento delle donne, l’assassinio degli studenti e dei lavoratori, l’impiccagione di adolescenti gay e di giovani donne mi riempie di pre-politica indignazione.

Note

1 – “I Mojaheddin del popolo fanno appello all'insurrezione e alla lotta armata clandestina, che si traduce in sanguinosi atti di terrorismo: il più grave il 21 giugno , una bomba distrugge la sede del Partito della Repubblica islamica, decimando l'élite del regime. La repressione contro i Mojaheddin del popolo è sanguinosa. Il gruppo fugge in Iraq sotto la protezione di Saddam Hussein”. (Iran: cronologia. Dalla rivoluzione alla guerra - Il manifesto – 8 febbraio 2009)
2 – Mamadou Ly, Iran 1978-1982 – Prospettiva Edizioni, Roma, giugno 2003
3 – Cfr.: Carlo Remeney, Una vita a metà – agosto 1998 - http://www.club3.it/fc98/3298fc/3298fc64.htm
4 – “Il regime, dal canto suo, celebrò il martirio dei giovani su diversi registri. Ne fece la risorsa principale della sua legittimità. […] È in nome dei diseredati morti per la patria e degli emuli dell’imam Hussein che la Repubblica islamica governa. Ma questi giovani diseredati non sono più presenti come forza politica organizzata, e ciò permette di parlare in nome loro e al posto loro”. (Gilles Kepel, Jihad. Ascesa e declino – Carocci, 2001)
5 – “Nel Corano e nella tradizione di Mohammed – secondo gli Hadith che costituiscono la seconda principale fonte di ispirazione per tutti i musulmani – la proprietà privata, l’esistenza di diseguaglianze sociali, dei ricchi e dei poveri sono frutto ed espressione della volontà divina, e in quanto tali sacri […]”. (Mamadou Ly, op. cit.)
6 – “Proprio nella storia dell’Iran maturarono i processi che segnarono anche da questo punto di vista la specificità dello sciismo rispetto al sunnismo con cui condivide il corpus fondamentale musulmano: ossia un intreccio profondo e una relazione non lineare ma indubbia tra costituzione di una nuova identità statale e processo di costituzione di un clero che, proprio attraverso la rivoluzione iraniana si assunse direttamente il controllo e la gestione del potere, introducendo le importanti novità rappresentate dalla teoria del wilayet al faqih” (Mamadou Ly, op. cit.)
7 – Cfr.: http://bataillesocialiste.wordpress.com/pagine-italiane/2006-01-con-il-proletariato-iraniano-in-lotta-contro-la-feroce-repressione-della-borghesia-islamica/.

8 – Cfr.: Paola Rivetti, Daftar-e Takim-e Vahdat: pratiche di pressione politica nella Repubblica Islamica d’Iranhttp://www.sisp.it/paper-2007/Rivetti_sisp2007.doc.

9 – Cfr.: Valeria Poletti, Saddam Hussein “uomo degli americani” – 6 aprile 2007 - www.uruknet.info?p=s6266
10 – Non è certo possibile rendere conto dell’enormità dei crimini perpetrati dal regime contro la popolazione; ci limitiamo, a titolo di esempio, a rimandare ad alcune fonti facilmente consultabili:

-Per “una visione d’insieme”: Amnesty International Sezione Italiana – Rapporto annuale 2008http://209.85.229.132/search?q=cache:lBChll92j78J:www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBL

People’s Organization Mojahedin of Iran: http://www.mojahedin.org/pagesen/index.aspx
Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana: http://www.ncr-iran.org/it/content/view/1624/69

-“Un milione di donne fermate dai Guardiani della Rivoluzione e oltre 10.000 processate, con l'accusa di “immoralità”. (Naoki Tomasini, Iran, ossessione per la repressionePeace Reporter, 22 maggio 2007 – http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=20b04a193afd662b )
-Lapidazione di adultere/i: Sean Alfano, Iran Stones Man To Death For Adultery – luglio 2007 - http://www.cbsnews.com/stories/2007/07/10/world/main3037907.shtml
-Impiccagione di bloggers: Marshall Kirkpatrick, Iran Parliament to Debate Death Penalty for Bloggers – 4 luglio 2008 – http://www.readwriteweb.com/archives/iranian_deth_penalty_for_bloggers.php )
-Gay: http://en.wikipedia.org/wiki/LGBT_rights_in_Iran
-Bevitori di alcool: Reuters, 5 febbraio 2008, Iranian man sentenced to death for drinking alcohol

11 – solo alcuni esempi:

-Cfr.: http://www.iwsn.org/
-“Secondo la testimonianza di Alì Ghaderi, responsabile della politica estera dell'Organizzazione dei Guerriglieri fedaian del Popolo Iraniano, ‘La rivolta del popolo iraniano contro le politiche repressive del regime ha radici lontane, che si fondano nella resistenza democratica che dura da più di due decenni e da una lotta popolare che ha costellato il cielo della democrazia iraniana con più di 150.000 martiri fucilati o morti sotto le torture dal 1982 ad oggi. Non è un caso che una delle richieste degli studenti e degli operai è la libertà immediata per tutti i prigionieri politici’". (Roberto di Nunzio, La rivolta degli studenti in Iran: "No agli Usa” – 18 giugno 2003 - http://www.arcipelago.org/internazionale/la_rivolta_degli_studenti_in_ira.htm
-Iran, settanta studenti arrestati in seguito a una protesta antigovernativa – 24 febbraio 2009 - http://www.ncr-iran.org/it/content/view/1595/71/
-Iran: IRGC e forze Bassij a controllo delle città Nel timore di insurrezioni popolari 1 – aprile 2009 - http://www.ncr-iran.org/it/content/view/1624/69/

-“A nome dei diciassettemila operai e impiegati della VAHED, compagnia di autobus di Tehran e dintorni, vogliamo informare voi, organizzazioni dei lavoratori nel mondo, e tutti coloro che soffrono per la violazione dei più ovvi diritti civili, che oggi, 28 gennaio, il nostro massiccio sciopero ha incontrato l’assalto senza precedenti delle forze di sicurezza della repubblica islamica. Hanno razziato le nostre case dalla notte precedente; hanno persino portato in prigione i nostri bambini. Hanno arrestato un gran numero di persone – la cifra esatta non l’abbiamo ancora ma certamente si tratta di diverse centinaia. Hanno forzato alcuni colleghi a guidare gli autobus, picchiandoli e minacciandoli. Hanno preso gli aiuto-autisti dalle forze armate, e scatenato su di noi migliaia tra forze di polizia e di sicurezza – in uniforme o in borghese – al fine di rompere lo sciopero. Ecco in quale situazione ci troviamo”. (Lettera dei lavoratori dei trasporti urbani di Teheran alle organizzazioni sindacali progressiste – 28 gennaio 2006 -

http://www.spazioforum.net/forum/index.php?showtopic=29845.

-Cfr.: Joe Kay, Iranian government intensifies crackdown on left-wing opposition – 28 gennaio 2008 - http://www.wsws.org/articles/2008/jan2008/iran-j28.shtml
-Apcom, Iran / Prigioniero Muhajeddin del Popolo ucciso sotto tortura – 29 aprile 2009 – http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?art_id=715736

12 – “Il 3 luglio scorso, infatti l’ayatollah Khamenei, la guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, ha dato semaforo verde a un grande piano di privatizzazione del settore pubblico iraniano, che comprende quasi l’80 per cento dell’intera economia iraniana. La guida suprema ha annunciato che i pacchetti azionari anche di controllo di interi settori passeranno dalle mani dello Stato a quelle di investitori privati. Si parla di imprese e società bancarie, di trasporti, di comunicazioni, di media, di compagnie minerarie e di servizi. Da questa rivoluzione “liberista” sono esclusi il settore del petrolio (la compagnia petrolifera nazionale rimarrà strettamente pubblica) e le aziende legate alla produzione militare. Per il resto, le porte del capitalismo iraniano sono aperte ai privati: il piano era stato predisposto nelle scorse settimane da uno dei tanti organismi della Repubblica islamica, il “Consiglio di discernimento” presieduto dall’ex presidente Akbar Hascemi Rafsanjani.

Per capire l’importanza della faccenda, è necessario fare un piccolo salto al primo giugno, quando il sestetto già citato presentò ufficialmente a Teheran un pacchetto di offerte tecnologiche, economiche e politiche per la regolamentazione del programma nucleare iraniano. Quell’offerta riguardava, tra l’altro, anche l’entrata dell’Iran nel WTO, il centro nevralgico, il cuore pulsante della globalizzazione, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ovviamente, l’entrata nel WTO comporta notevoli vantaggi: il piano di privatizzazione ha un doppio significato, da un lato predispone l’economia iraniana alla globalizzazione governata dal WTO, dall’altro dà un segnale politico positivo per il negoziato di Larijani e Solana”. (Claudio Landi, Iran, la forza persuasiva del mercato globale – 11 luglio 2006 – http://www.lettera22.it/showart.php?id=5287&rubrica=67)
due operazioni esemplificative:

-L’Iran lancia proprie banche di investimentoReuters, 11 febbraio 2008 -http://www.infowars.com/it/iran-launches-own-investment-banks/.

-L’Iran consente la proprietà straniera al 100%Press TV, 30 giugno 2008

13 – “Al pari degli Stati Uniti, anche Israele aveva rafforzato le sue relazioni con l’Iran dello shah dopo che nel 1973 l’OPEC aveva decretato l’embargo petrolifero nei confronti degli Stati coalizzati nella guerra contro i Paesi arabi, e si era accordato per un fruttuoso scambio di armi contro greggio. Con la caduta dello shah l’interesse per questa relazione privilegiata non veniva a mancare, anzi! L’addetto militare israeliano Ya’acov Nimrodi teneva infatti aperto il canale di comunicazione con Khomeini per la vendita di armi sul mercato privato, canale che si dimostrerà di grande utilità per l’amministrazione Reagan durante la cosiddetta crisi degli ostaggi. Come il ministro della Difesa Ariel Sharon dichiarava al Washington Post nel maggio 1982 per giustificare la vendita di armi a Teheran, ‘l’Iraq è nemico di Israele e noi speriamo che le nostre relazioni con l’Iran rimarranno quali sono state in passato’. Quattro mesi più tardi, durante una conferenza stampa a Parigi, egli ribadiva che ‘Israele ha un interesse vitale nella prosecuzione della guerra nel Golfo Persico e nella vittoria dell’Iran’. Questo non era solo il punto di vista di Sharon, ma anche del primo ministro Itzhak Shamir, esponente del Likud, e del laburista Shimon Perez”. (Valeria Poletti, L’impero si è fermato a Baghdad – Edizioni Achab – Verona, 2006)
14 – “15 agosto - dopo otto anni di guerra, l'Iraq inaspettatamente decide di firmare la pace con l'Iran, restituendo 2600 chilometri quadrati di territorio conquistati, riconoscendo i confini stabiliti nel 1975 con il trattato di Algeri, e consegnando a Teheran il controllo totale sullo Shatt al-'Arab. Il tutto in cambio della neutralità iraniana”. (http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo.)
15 – “Il portavoce della Casa Bianca, Mike McCurry, ha ammesso ieri che un consistente flusso di armi ha raggiunto la Bosnia dall' Iran, ma ha parzialmente smentito le rivelazioni del quotidiano "Washington Post", secondo le quali cio' avverrebbe con la tacita approvazione degli Stati Uniti. Secondo il quotidiano, negli ultimi sei mesi, con il tacito via libera dell' amministrazione Clinton, l' Iran ha recapitato "centinaia di tonnellate di armi" ai musulmani di Bosnia, rafforzandone sensibilmente le possibilita' di opporsi con successo alle milizie separatiste serbe”. (Corriere della Sera 15, aprile 1995 – http://archiviostorico.corriere.it/1995/aprile/15/Bosnia_dossier_del_giornalista_sparito_co_0_9504153854.shtml)
16 – Cfr.: Farah Stockman, Amid tensions, US, Iran both give lift to Afghanistan city – 23 aprile 2007 – The Boston Globe –
http://www.boston.com/news/world/asia/articles/2007/04/23/amid_tensions_us_iran_both_give
17 – Scott Ritter, ispettore dell’Onu tra il 1991 e il 1998, in un articolo pubblicato il 25 gennaio 2005 da “ZNet7”, denuncia il piano statunitense denominato Opzione Salvador in ricordo dell’analoga operazione condotta nel paese centro-americano nel corso degli anni ’80: “Secondo alcune rivelazioni di stampa, il Pentagono sta considerando l’ipotesi di organizzare, addestrare e rifornire le cosiddette ‘squadre della morte’, gruppi di assassini iracheni che dovrebbero essere utilizzati come infiltrati per eliminare la dirigenza della resistenza irachena. […] Nel giugno 2003, le strade di Baghdad erano piene di squadre della morte. […] Tra le più brutali ed efficienti unità vi erano quelle dei membri della Brigata Badr, […] che si è distinta come la più volonterosa ed abile nel combattere contro i baathisti rimasti. […] L’Opzione Salvador servirà ad innescare una guerra civile”.

“Dal 2003 i pasdaran, presenti in misura massiccia in Iraq, hanno condotto una politica parallela: se non opposta, certo diversa da quella adottata ufficialmente dal governo iraniano; mentre i conservatori religiosi hanno cercato di influire sui partiti religiosi, in particolare Shiri e Da’wa, confidando in un Iraq dominato dalla maggioranza sciita, i radicali hanno puntato su Moqtada al-Sadr. Nel sostenere il giovane leader iracheno in momenti cruciali come la battaglia di Najaf, intendono far capire agli Stati Uniti che esistono limiti precisi alla loro campagna di contrasto delle forze filo-iraniane”. Nel sud del paese, e a Bassora in particolare, tanto il governo centrale che i militari inglesi hanno perso quasi del tutto il controllo del territorio, ora nelle mani delle milizie sciite, che dominano i posti di frontiera, i porti, i giacimenti e i terminali petroliferi, oltre a far valere la loro legge sulla popolazione”. (Renzo Guolo, Politica estera e fazioni in Iran – in Aspenia, n°37, 2007)
18 – “Parlando a Kabul, Karzai ha sottolineato come ‘l'intenzione di includere l'Iran con un ruolo regionale, annunciata dagli Stati Uniti, è una cosa positiva e speriamo di sfruttare al meglio questa opportunità per il bene dell'Afghanistan’. La prima verifica di queste nuove possibili convergenze nel teatro di guerra afgano si avrà alla conferenza internazionale Onu-Nato dell'Aja, in programma martedì prossimo. ( Afghanistan, Karzai: “Il piano Obama è quello che volevamo”http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=52540&sez=HOME_NELMONDO.)
19 – “La ‘guerra settaria’ tra sunniti e sciiti, minoranza in Pakistan (15-20%), è costata, negli ultimi sei anni, oltre 2mila morti e 4mila feriti in quasi 2mila incidenti: una media di 100 morti l’anno che, nel solo 2004, aveva registrato 619 vittime. […] Secondo l’International Crisis Group, gli sciiti inizialmente risposero organizzandosi militarmente quando il generale Zia, il dittatore che impresse al Pakistan la svolta propriamente islamica, iniziò a foraggiare e far crescere i gruppi islamisti sunniti. Allora l’Iran ebbe probabilmente una parte nel sostenere il movimento. […] Ma la politica non controlla più le miriadi di gruppi armati che hanno fatto delle guerre settarie in Pakistan l’elemento più destabilizzante della recente storia del Paese. E che continuano a colpire ignorando gli appelli di partiti e leader religiosi”.

(http://www.lettera22.it/showart.php?id=4195&rubrica=74.)
20 – Due le opzioni “al vaglio”: il gasdotto Iran-Pakistan-India e quello Tirkmenistan-Afghanistan-India
21 – Uno per tutti, ecco cosa scriveva Fulvio Grimaldi il 17 marzo 2003: “Glielo fecero pagare usando la mannaia Khomeini, appena insediato in Iran, dove era giunto su un aereo Usa, e già impegnato in una bisogna analoga con lo sterminio delle sinistre laiche e islamiche che avevano fatto la rivoluzione, poi rubata dai preti”. (Il mondo, la sinistra, l’assassinio dell’Iraq, i partigianiMondocane fuorilinea).

Il 5 ottobre 2005: “[…] il pur sempre provocatore Ahmadinejad) razzista, fondamentalista, guerrafondaio e genocida”. (L’idra a tre teste dell’imperialismo - http://www.siporcuba.it/mcarc-4.htm). E il 27/2/06: “L’osceno sostegno, lungo la storica linea strategica persiana, dato da Tehran agli occupanti genocidi, con la radicalità nazionalista di Ahmadi-Nejad aveva incominciato a pretendere un prezzo eccessivamente alto, perlomeno per i settori più voraci del sionismo israelo-statunitense. Un intero governo e metà del paese sotto il ferreo controllo dei viceré iraniani Sistani e Al Hakim facevano presagire, più che un Iraq spappolato in feudi al servizio del capitale USA, un Iran esteso fino ai confini delle servitù coloniali americane della Penisola arabica, soggetto imprevedibile e di portata strategica e geopolitica incalcolabile. Dunque nessuno nega, come certe schematizzazioni di queste analisi pretendono, la contraddizione di fondo tra un’Iran potenza regionale in espansione e un blocco israelo-occidentale che non tollera né correi né sbavature nel proprio controllo del Grande Medio Oriente. Ma da lì a fare dell’Iran un bastione antimperialista significa, alla luce del criminale ruolo svolto dagli ahyatollah sul corpo straziato dell’Iraq, dargli una del tutto immeritata patente di compagno di strada nella lotta all’imperialismo. Sarebbe più opportuno prendere atto che l’Iran, autentico Fregoli dell’attuale stagione geopolitica, ha un giocatore su ognuno dei tavoli mediorientali dove ci si contendono ruoli ed egemonie: appoggio a Hamas in Palestina e a Hezbollah in Libano, politica di buon vicinato con gli autonomissimi signori della guerra sciti nell’Est dell’Afghanistan, azione biforcuta in Iraq con i secessionisti di Najaf, da un lato, e con lo pseudo-unitario Moqtada, occhieggiante verso l’Europa, dall’altro. Con i preti di Najaf si ricattano gli Usa, con Moqtada si vorrebbero condizionare gli europei. Un’autentica, ovviamente cinica, politica di potenza. Nulla più”. (Burattini, burattinai e bari al tavolo verde dell’Iraq. Samarra, l’Iran, Moqtatda al-Sadr e i soliti noti – Mondocane fuori linea).

Ed ecco cosa scrive oggi: “Visto che siamo in tema di atrocità e menzogne, superata la nausea con la quale abbiamo contemplato l'uscita dalla sala della conferenza ONU sul razzismo, sotto uno sfolgorio di ipocrisia, di alcuni bonzi europei, ci siamo ampiamente rinfrancati alla vista che la vera comunità internazionale, quella dei quattro quinti dell'umanità, è rimasta, ha applaudito le incontestabili parole del presidente iraniano (del quale comunque mi fido poco) sui crimini e sul plateale razzismo dei sionisti israeliani”. (21 aprile 2009 – http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2009/04/intervento-al-forum-di-belgrado.html). Ci piacerebbe che ci spiegasse cosa gli ha fatto cambiare idea sul “razzista, fondamentalista, guerrafondaio e genocida”.

22 – www.uruknet.info/?p=44655; www.telegraph.co.uk/news/worldnews/1540127/Shias-order-Palestinians-to-leave-Iraq-or-%27prepare-to-die%27.html ; Aqeel Hussein e Gethin Chamberlain (da Baghdad), Shias order Palestinians to leave Iraq or 'prepare to die' – 20 gennaio 2007 – http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/1540127/Shias-order-Palestinians-to-leave-Iraq-or-prepare-to-die.html)
23 – Adri Nieuwhof and Omar Barghouti, Putting words of support into boycott action –
The Electronic Intifada, 5 maggio 2009 – http://electronicintifada.net/v2/article10505.shtml)

24 – “Il 24 febbraio, si sono avuti violenti scontri tra i pellegrini sciiti e le forze di polizia e di sicurezza saudite all’entrata della moschea del Profeta Mohammed a Medina. Il momento e il luogo degli scontri potrebbero causare gravi ripercussioni per la sicurezza interna, se non per il governo stesso. […] Le autorità saudite percepiscono le manifestazioni sciite come un’affermazione della politica iraniana, perché coincidono esattamente con la celebrazione del 30° anniversario della Rivoluzione Islamica dell’Iran. La repressione degli sciiti fa quindi parte della strategia del regno di rispondere al tentativo dell’Iran di ottenere l’egemonia regionale”. (La comunità sciita dell’Arabia Saudita intende affermare i propri diritti – 26 marzo 2009 – http://www.medarabnews.com/2009/03/26/la-comunita-sciita-dell’arabia-saudita-intende ). Non è inoltre un caso che le regioni del nord dove è presente popolazione sciita siano le più ricche di petrolio.

25 – “Qui l’obiettivo era l’Egitto stesso. Secondo le dichiarazioni dei funzionari egiziani, un agente Hezbollah chiamato Mohamed Yousuf Sami Shehab aveva già reclutato una cinquantina di giovani: libanesi, siriani, sudanesi e palestinesi, più una dozzina di sciiti egiziani. […] Secondo fonti ufficiali egiziane, Hezbollah intendeva lanciare una massiccia serie di attentati terroristici. Bersagli americani e israeliani erano naturalmente i primi da colpire, ma lo scopo era quello di destabilizzare l’Egitto e provocare enormi manifestazioni che avrebbero potuto abbattere il regime e portare a un pronunciamento militare. Il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah si è tradito quando ha ammesso, nel suo discorso di venerdì, che Sami Shehab è affiliato alla sua organizzazione e che era stato mandato in Egitto per portare “assistenza logistica” a Hamas nella striscia di Gaza. Nello stesso tempo, Nasrallah lanciava un virulento attacco all’Egitto condannandolo per il blocco di Gaza e lo smantellamento dei tunnel del traffico d’armi: parole che equivalevano a una dichiarazione di guerra all’Egitto.

A quel punto il primo ministro egiziano Ahmed Nazif dichiarava che non è possibile scendere ad alcun compromesso sulla sicurezza del paese”. (Zvi Mazel, Hezbollah mostra il suo vero volto al mondo arabo – Jerusalem Post, 13 aprile 2009 - http://www.israele.net/articolo,2467.htm).

26 – Trita Parsi, presidente del National Iranian American Council, Gerusalemme e Teheran: il nuovo bipolarismo – in Aspenia n°37-2007, Lo stato degli ebrei )
27 – “Comunque stiano le cose, altri eventi segnalano invece che Israele si sta sempre più massicciamente preparando ad una guerra, anche con proiezioni aeree a lunga distanza, come dimostrano le esercitazioni nel Mediterraneo della scorsa estate, gli attacchi alle istallazioni siriane e le incursione in Sudan. E per il prossimo 2 giugno Israele ha previsto la mobilitazione generale delle forze armate e della popolazione per quella che si annuncia essere la più grande esercitazione nella storia del paese. Il responsabile del comando del fronte interno, il colonnello Hilik Sofer, ha dichiarato che una settimana di manovre che riguarderà anche la cittadinanza "trasformerà la popolazione d'Israele da passiva ad attiva... vogliamo che i cittadini capiscano che la guerra può scoppiare domani mattina". Secondo quanto riportato dal sito informativo Debka, ritenuto collegato ai servizi segreti del Mossad, il premier Netanyahu avrebbe sul tavolo un dossier che prospetta la concreta possibilità di un grosso confronto militare nei prossimi mesi con l'Iran, o Hamas, o Hezbollah, o addirittura tutti tre insieme. (Simone Santini, Iran! Iran! O forse Pakistan... – 30 aprile 2009 –http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=25985.)
28 – Daniel Pipes, Finalmente idee chiare in Israele – 22 aprile 2009 - http://www.ebraismoedintorni.it/finalmente-idee-chiare-in-israele.

29 – cfr.: Simone Santini, Iran! Iran! O forse Pakistan... – 30 aprile 2009 –http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=25985.

30 – “Bisogna tenere a mente che l’Egitto è alla testa del fronte dei paesi arabi pragmatici in lotta contro le attività sovversive iraniane in tutta la regione. […] In questa lotta l’Egitto si trova alleato con Arabia Saudita, Giordania e Marocco contro l’Iran e i suoi alleati: Siria, Sudan, Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica e altri organizzazioni minori. […] Alcuni suggeriscono che la faida tra Egitto e Iran possa tornare a vantaggio di Israele, me non è affatto vero. Israele ha bisogno di un Egitto stabile e forte”. (ibidem)
31 – cfr.: USA: Obama ha già avviato trattative con Iran e Siria Internazionale – 3 febbraio 2009 – http://www.partitodemocratico.it/dettaglio/70610/.

32 – “Il disgelo nei rapporti con l'Iran avviamo dal nuovo presidente Usa Barack Obama "apre una finestra d'opportunità per negoziare su tutti gli aspetti del programma nucleare iraniano e per impegnarsi in senso più ampio con l'Iran". E' quanto affermano i ministri degli Esteri Ue nelle conclusioni approvate a Lussemburgo, che "plaudono caldamente" alla svolta di Obama, confermando l'impegno a seguire l'approccio a "doppio binario": dialogo sul nucleare da una parte, sanzioni all'Onu dall'altra”. (Apcom – Lussemburgo, 27 aprile 2009 – http://www.newstin.it/tag/it/118249830.)
33 – “Una nuova strategia ‘regionale’ per la crisi in Afghanistan, attraverso il coinvolgimento dell'Iran, che affianchi l'invio di nuove truppe americane nel Paese. […] Oltre a continuare le operazioni anti-talebani in territorio pachistano, già lanciate dall'Amministrazione Bush, la strategia di Obama contempla però anche una forte componente diplomatica, fondata sul coinvolgimento dell'Iran. ‘Sarebbe utile avere un interlocutore — ha detto al Post un alto ufficiale americano —, gli iraniani non vogliono almeno quanto non lo vogliamo noi, che l'Afghanistan sia retto da sunniti estremisti’”. (Paolo Valentino, Obama, a Kabul si cambia: “Più truppe, coinvolgere l’Iran”Corriere della Sera, 12 novembre 2008 - http://www.ulivo.it/dettaglio/64149/Obama,_a_Kabul_si_cambia:_%C2%ABPi%C3%B9_truppe,_coinvolgere_l'Iran%C2%BB.)
34 – Basta dare un’occhiata al sito di Iranian Workers Solidarity Network (http://www.iwsn.org/)
35 – “Condanniamo ogni strumentalizzazione da parte dei governi stranieri in particolare da parte dell'amministrazione americana di queste proteste; la protesta della popolazione e degli studenti in Iran ha radici profonde nella lotta di liberazione dal fascismo religioso e uno dei suoi punti cardine è la lotta per l'indipendenza politica ed economica dal sistema neoliberista e creazione di un sistema politico secolare”. (Appello di sostegno agli studenti iraniani nelle prigioni della Repubblica Islamica e alla loro lotta per la libertà e democrazia in Iran promosso da Organizzazione dei Guerriglieri Fedayeen del Popolo Iraniano - http://www.italy.indymedia.org/news/2003/07/322416.php 1 luglio 2003)
“L'apparato di sicurezza del regime è stato sguinzagliato contro gli oppositori politici, lavoratori, donne e giovani. La marea delle lotte giornaliere anticapitaliste dei lavoratori è stata affrontata con arresti, con la ratificazione di nuove leggi contro la classe lavoratrice e privatizzazioni forzate. Sotto il nuovo governo iraniano, organizzazioni militari fasciste stanno guadagnando forza politica e militare, creando una situazione minacciosa e inquietante per i lavoratori e l'opposizione democratica. […] Chiamiamo a raccolta tutte le forze anticapitaliste, gruppi politici progressisti e organizzazioni sociali affinchè si uniscano agli attivisti della sinistra iraniana sia per opporsi ai progetti dell'imperialismo, sia per organizzare forme pratiche di solidarietà con la cre

Valeria Poletti

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