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Déjà vu

Déjà vu

(13 Ottobre 2011) Enzo Apicella
La Casa Bianca accusa l’Iran di progettare un attentato contro l’ambasciatore dell’Arabia Saudita a Washington

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Iran, rivoluzione verde

Dopo l'arancione, la rosa, la velluto... ecco la nuova rivoluzione colorata:verde-cia-mussavi (con in platea tutto i cocuzzaro degli utili idioti)

(18 Giugno 2009)

Già, la verità. Buffo come tutti continuano a cercarla, ma quando la ottengono non le credono perchè non è la verità che volevano sentire.
( Helena Cassadine)

La verità che fanno l'uomo libero è perlopiù la verità che gli uomini preferiscono non sentire.
(John Ruskin)

Uno dei più grandi problemi del mondo è l'impossibilità di trovare la verità su un qualsiasi argomento quando si pensa di possederla già.
(Dave Wilbur)

Non conta ciò che è vero. Conta ciò che si percepisce come vero.
(Henry Kissinger)

Ci risiamo con le rivoluzioni colorate, con la Cia, con il Mossad, con USAid, con la NED (National Endowment for Democracy), con George Soros, con Otpor, insomma con tutto l’armamentario del “regime change” che l’imperialismo USA-UE-SION mette in campo contro governi e popoli renitenti, prima di ricorrere a misure stragiste dal rapporto costi-benefici più incerti. Stavolta la “rivoluzione” è verde e assomiglia come una sfilata di cacchette di capra a quelle precedenti, o riuscite come in Serbia, Georgia e Ucraina, o fallite come in Venezuela, Bolivia, Libano, Uzbekistan. Ovunque un voto non sia andato come auspicato dal Nuovo Ordine Mondiale del saccheggio e della morte. E ci risiamo inesorabilmente con l’unanimità destra-centro-sinistra su "giovani e donne contro tirannia, oscurantismi, fondamentalismi, terrorismi, brogli". Quella dei brogli, poi, venendo da un mondo che il voto l’ha sfigurato fino al suo contrario, è degna del Bagaglino: vai avanti tu, chè a me viene da ridere. Quanto ai “giovani” e alle “donne”, a guardar bene le immagini che simpatizzanti ed accorati inviati dirittoumanisti filo-Mussavi ci trasmettono da Tehran, si capisce subito tutto. A voler capire, s’intende. Come a Belgrado, a Kiev, a Tblisi, a Beirut, lo jato antropologico è drastico che più drastico non si può: nella folla dei filo-Mussavi, volti pariolini, lisci, curati, truccati, fighetti in mise che sembrano usciti da una selezione di “Amici”, o da un cartellone di Benetton; nei cortei dei sostenitori di Ahmadinejad, le solite facce proletarie e contadine del Sud del mondo, rughe, veli, abiti stazzonati, i volti del nostro neorealismo. Plebaglie.

Come andrebbe ripetuto ad nauseam , quando sono concordi sinistre e destre, è la destra che vince e la sinistra che la prende nel culo. E’ un teorema così incontrovertibile che quello di Pitagora al confronto pare un’affermazione del guitto mannaro su Noemi. Non dovrei aver bisogno di rivendicare la mia militanza giornalistica contro l’Iran degli ayatollah. Ci sono decine di mie pubblicazioni a ribadirla. Critiche, certo, per motivi diversi, a volte opposti, rispetto ai sensocomunisti (non male, come calambour, no?), agli unanimisti umanitaristi, cercando di non farmi imbrigliare dal senso comune, appunto, di ideologhi a scatola chiusa, ignoranti e opportunisti, con dentro i batteri dell’infiltrazione. Siamo stati in pochi a ricordare che il “rivoluzionario” Khomeini, ospitato e foraggiato dall’Occidente, giunto da Parigi a Tehran su aereo Usa, per prima cosa ha fatto piazza pulita di coloro, comunisti e marxisti islamici, che a milioni avevano cacciato lo Shah: necessità di ricambio e aggiornamento imperialista-sionista per un regime feudal-gossiparo privo di base di massa, logoro e sputtanato. Ricambio di elites, per sventare il rischio che l’insurrezione popolare facesse entrare l’Iran nell’orbita sovietica o non-allineata.

Voces clamantes in deserto, abbiamo documentato il complotto khomeinista per falciare il moderato Carter e promuovere il cane rabbioso Reagan con il rilascio degli ostaggi Usa in coincidenza con la vittoria dell’attoruccolo da mezzogiorno di fuoco. Ne abbiamo illustrato il pagamento di pegno a USraele quando, rifornito di armi e istruttori israeliani, ha assaltato l’Iraq di Saddam Hussein, ultimo baluardo di una nazione araba da unificare nel segno della laicità, del progressismo sociale, dell’antimperialismo e dell’identificazione con la causa palestinese. Con i quattrini pagati dal regime degli ayatollah ai fornitori USraeliani e indi trasferiti ai mercenari Contras, Khomeini ha restituito il favore contribuendo alla distruzione del Nicaragua e alla cacciata dei sandinisti. In un’affascinante altalena tra collusione e collisione, i due compari anti-arabi hanno poi sbranato l’Iraq, aggredito l’Afghanistan dei Taliban (odiato da Tehran fin dal primo giorno) e chiuso il cerchio con un’alleanza di burattinai e fantocci che s’è vista consacrare dall’Occidente nella recente processione a Tehran della fraternita di Ahamedinejad, Al Maliki, Karzai e Zardari. Tutto questo sta molto bene all’imperialismo-sionismo, in quanto contributo all’eliminazione di popoli di troppo. Ma ancora meglio andrebbe un sodale meno pretenzioso e autonomo, magari un fiduciario assai più ossequioso, senza pretese di egemonia regionale, magari un agente Cia, magari un corrotto ladrone ricattabile che, magari, rinunciasse a certi equilibri tra cosche assassine e, magari, abbandonasse Hezbollah e Hamas al destino programmato dagli sterminatori israeliani. E, visto che il padrino della cosca, Rafsanjani, lo “squalo”, ha perso un po’ di smalto a furia di ladrocini e complotti antipopolari, vada per il vecchio, fidato arnese della guerra all’Iraq con armi USraeliane, Musavi, primo ministro al tempo di quell’impresa congiunta, e delfino del satrapo filo-Usa, Akbar Rashemi Rafsanjani.

Abbiamo cercato di spiegare come i persiani, nella loro millenaria strategia di potenza regionale, siano astuti biscazzieri che giocano su vari tavoli, anche opposti: con gli Usa e Israele a sventrare l’Iraq e vanificare l’unità araba, con Hezbollah e Hamas (la cui autonomia palestinese e araba non si ha il minimo motivo di mettere in discussione: i sostegni si accettano leninisticamente anche dal diavolo), a contrastare l’avanzata dell’altra potenza regionale: Israele. Quelli che tagliano la geopolitica con l’accetta, secondo schemi prefissati e incartapecoriti, succubi di sparate demagogiche dell’uno o dell’altro protagonista dello scenario, farebbero bene a studiarsi qualche manuale della realpolitik degli Stati. E farebbero benissimo a estrarre il “moderato” e “democratico” Mir-Hossein Musavi, virtuoso antagonista dell’oscurantista radicale Ahmadinejad, dalle nebbie soffiategli addosso dagli specialisti delle rivoluzioni colorate e collocarlo sul vetrino del loro microscopio.

Chi è Mir-Hussein Mussavi?
Cosa hanno in comune l’ultrà neocon Michael Ledeen, amico dei fascisti italiani, il saudita Adnan Kashoggi, massimo mercante d’armi mondiale con logo Cia e Mir-Hussein Musavi?

Sono tutti amici e associati di Manucher Ghorbanifar, anche lui grande mercante d’armi, doppio agente iraniano del Mossad, figura centrale nella porcata Iran/Contra, l’affare triangolare armi in cambio di ostaggi e dell’assalto all’Iraq messo in piedi con i persiani di Khomeini e Musavi dall’amministrazione Reagan.

Del compare di Mussavi, Ghorbanifar, si legge nel rapporto Walsh su Iran/Contra: “Ghorbanifar, informatore Cia, fiduciario del primo ministro Musavi, si fece prestare da Kashoggi milioni di dollari, con pieno consenso di Washington, per l’acquisto delle armi israeliane da usare per distruggere l’Iraq (colpevole di aver creato il Fronte del rifiuto contro la svendita egiziana di arabi e palestinesi a Tel Aviv e Washington) Ottenuti fondi dal governo di Tehran, Ghorbanifar compensò Kashoggi con una tangente del 20% . Sfiduciato in un primo momento da Khomeini, Ghorbanifar rientrò nel gioco diventando il fiduciario e braccio operativo di Mir-Hossein Musavi, primo ministro iraniano. A questo proposito, ecco il commento di Michael Ledeen, allora consulente del Pentagono per l’antiterrorismo, sulla coppia di compari: “Si tratta delle persone più oneste, istruite e affidabili che abbia conosciuto”. Per altri si tratta di bugiardi che non saprebbero dire la verità sugli abiti che indossano”.


Il rapporto Walsh si dilunga poi su certe lamentele di Musavi al presidente Reagan per una spedizione di elicotteri Hawk non corrispondenti al modello ordinato (dovevano servire contro l’opposizione laica e di sinistra non ancora del tutto domata e contro l’Iraq). E aggiunge: “All’inizio di maggio, 1985, il colonello Oliver North (il gangster che raggirò il Congresso per occultare l’operazione Contra), il capostazione Cia, George Cave, Ghorbanifar e Musavi si incontrarono a Londra per discutere questa ed altre collaborazioni Iran-Usa-Israele. Ledeen fu incaricato di informarsi presso il primo ministro israeliano, Shimon Peres, sul suo accesso a buone fonti e a buoni contatti in Iran. Israele diede garanzie in tal senso e Reagan approvò che all’Iran di Mussavi si spedissero missili Usa Tow in cambio del rilascio degli ostaggi statunitensi in mano alla resistenza libanese. Il capo della Cia, Casey, raccomandò che il Congresso fosse tenuto all’oscuro di tutto l’affare”.

ll rapporto di amicizia e collaborazione tra Ledeen, Ghorbanifar e il candidato “riformista” Musavi resistette nel tempo, fino ad alimentare il sostegno dei “moderati” Usa alla candidatura del provato fiduciario. Fino all’attuale tentativo di regime change alla serba, o all’ucraina. Davvero un bell’eroe riformista che s’è scelto la sinistra italiota
.

Fattosi le ossa con le cinque pagine di lirica esaltazione per un discorso di Obama al Cairo, zeppo di banalità e retorica e di sostanziale identificazione con i nazisionisti di Tel Aviv (fatta salva la “preoccupazione” per la “continuità” dell’espansione delle colonie in Cisgiordania), il “manifesto”, in assoluta sintonia con il coro delle destre, si è fatto reclutare, con la nota Marina Forti, nelle schiere colorate della spia Musavi, quasi fosse un novello Mossadeq o Dubcek. Astutamente l’inviata ha messo le mani avanti fin dai giorni della vigilia, sia anticipando brogli (è la regola dalla Serbia di Milosevic in qua), sia dando voce esclusivamente a intervistati dell’eversione filoccidentale. Viaggiava sottobraccio a quella Lucia Goraci del TG3 che, rinnovando i fasti collaborazionisti e mistificatori dell’ancor più nota collega Giovanna Botteri, nuotava felice nell’elegante piscina verde delle masse scese dai quartieri alti. Accodatisi tutti quanti alle geremiadi su brogli, conclamati senza un’ombra di evidenza dalle centrali della disinformazione ontologica (CNN, Reuters, Fox di Murdoch, NBC, New York Times, Time), hanno dovuto subire l’onta di una smentita addirittura di fonte statunitense. Un sondaggio condotto da un’organizzazione non profit, “The Center for Public Opinion”, che da tre anni monitora le posizioni dei cittadini iraniani cogliendo sempre nel segno e venendo per questo premiata con un “Emmy Award”, aveva constatato una prevalenza di Ahmadinejad sul diretto rivale addirittura superiore all’esito finale del 66% contro il 32%. 12 milioni di voti di differenza, all’anima dei brogli! La ricerca era stata condotta dall’11 al 20 maggio in tutte le 30 province del paese. Sul campo aveva operato con una società di ricerca che da anni lavora per le televisioni ABC e BBC e aveva previsto una vittoria del presidente in carica per 2 a 1. Nei media infervorati per i “riformisti” si rivendicava a Musavi la gran maggioranza dei giovani dotati di internet. Peccato che solo un terzo degli iraniani ha accesso a tale tecnologia e che il gruppo di età fra i 18 e i 24 è risultato il blocco dal sostegno più forte per Ahmadinejad. Dove il suo rivale primeggiava era tra studenti, laureati e ceti dal reddito elevato. Il che dovrebbe far riflettere anche quegli integerrimi puristi della lotta di classe che individuavano in Musavi il vindice delle richieste sociali delle masse. Quanto ai wrestlers per la “democrazia” contro la “tirannia” dei mullah, che confrontino l’ultralibero e vivacissimo dibattito pre-elettorale di quel paese, la quota dei suoi votanti (80%), con l’assetto mediatico del nostro paese e il numero di elettori e votanti nel paese-modello Usa, questo sì organizzatore di brogli vincenti a casa sua (due presidenze fasulle) e nei paesi satelliti.

Dice, ma alla protesta degli sconfitti (anzi, “derubati del voto”) si sta reagendo con la repressione, le bastonate, gli spari, la censura ai media stranieri. Vogliamo vedere cosa farebbe qualsiasi governo occidentale se bande istigate a foraggiate dal Cremlino facessero tutto questo ambaradan, bloccassero il paese, in seguito a un’elezione non vinta? Vogliamo ricordare cosa capitò ai militanti scesi in strada perchè non tollerarono il ritorno del fascismo in salsa tambroniana? Se i media stranieri sparano balle al servizio degli destabilizzatori di un governo, compiono reati che vanno puniti perlomeno con l’espulsione. Da noi i giornalisti che pubblicheranno le nefandezze del guitto mannaro e dei suoi commensali finiranno in carcere e, quanto alla censura, si guardi al modello israeliano, che non ha ammesso neanche un giornalista alla carneficina di Gaza, che ha espulso il sottoscritto perché non assecondava la ferocia e le menzogne della Guerra dei sei giorni. Gli assassini mirati e le stragi di bambini per mano israeliana, gli stermini di oppositori in Iraq, sono stati oggetto di analoga indignazione? Perché non se la prendono con le milizie di tagliagole controllate da Tehran che hanno fornito il contributo decisivo all'assassinio di quasi due milioni di inermi iracheni? Perché in quel caso sta bene all’Occidente e punisce un popolo che ha sostenuto Saddam?

Tutti allineati e coperti nelle formazioni d’assalto dell’eurocentrismo, nel disprezzo e nella persecuzione di popoli e culture, costumi e fedi generati da altre storie, altri ambienti, necessitati da altre priorità e sensibilità. Tutti ostinatamente incorreggibili. Nel 2001, quando un colpo di Stato promosso dalle stesse matrici Usa ed eseguito dalle bande CIA-NED di Otpor incendiando il parlamento e distruggendo le schede, rovesciò il democratico governo serbo e sventrò la trincea jugoslava contro l’espansione UE-Nato, riducendo i Balcani a sette malavitosi micro-protettorati del vampirismo occidentale, “Liberazione” titolò, all’unisono con i bollettini mafio-imperiali: “Belgrado ride” . Ancora meglio il “manifesto” con “La primavera di Belgrado”. Una primavera finita nella ghiacciaia. Oggi lo stesso giornale, sotto le foto del manutengolo USraeliano e dei suoi fan in maglietta verde, spara in prima pagina: “I giorni dell’Iran” e, il giorno dopo, “Iran contro” . Perseverare diabolicum. Ma nei covi dei cospiratori e serial killer USraeliani si brinda a tale stampa come Nelson ai rincalzi di Bluecher a Waterloo. Se avesse vinto Mussavi si rallegrerebbero, costoro, che i patrioti libanesi e palestinesi verrebbero a perdere l’unico punto d’appoggio in tutto il mondo, almeno politico, forse strumentale ma tant’è, e che il fronte USraeliano, con il corredo dei suoi vassalli e fantocci alla Abu Mazen, si avvantaggerebbe di un ancora più disciplinato e incondizionato apporto persiano per meglio sistemare Afghanistan, Pakistan, pieni di odiati sunniti, la Russia, la Cina, tutti noi? Ma ci sono o ci fanno? E’ così che si sostiene l’autodeterminazione dei popoli? Mettendovi a capo spioni dell’impero, chiamandone i manichini estratti dal sangue dei loro popoli “governo”, “presidente”, “primo ministro”, come una qualsiasi Ong di merda?

Sempre su questa linea quattro donne stronze, quattro studenti imbecilli, indegni dell’Onda, quattro fascisti revanscisti, un capopartito che di politica internazionale ne capisce quanto io di astrofisica (Di Pietro), hanno fatto casino contro Muhammar Gheddafi, il dittatore, il pagliaccio. E quando sono venuti il nazista nucleare Lieberman, l’assassino seriale Olmert, il licantropo in gonnella Condoleezza, il fantoccio Karzai, il macellaio Uribe? Zitti e mosca. Prima di aprire bocca su un presidente di un paese che dal buco nero del colonialismo ha tirato fuori un popolo e gli ha dato dignità e benessere, dove le leggi vengono formulate e votate da assemblee di popolo, costoro dovrebbero sfondarsi il petto di mea culpa per i connazionali che, tra il 1911 e il 1941, hanno massacrato un libico su sette, ne hanno gassato, torturato e impiccato decine di migliaia, sono corresponsabili della catastrofe inflitta all’Africa intera dal colonialismo europeo. Quella catastrofe per la quale la Libia diventa l’imbuto in cui finiscono i profughi delle tragedie sociali, politiche, ambientali da noi provocate in tutto il continente. E’ Gheddafi che dovrebbe sistemare a proprio agio e a tempo indeterminato questi profughi delle terre da noi devastate, o dovremmo essere noi, solo noi, smettendola intanto di esaltare o riconoscere i vari tirannelli indiamantati che le nostre multinazionali mettono su troni con le gambe radicate nel sangue, eurocentristi del cazzo?

mercoledì 17 giugno 2009

Fulvio Grimaldi

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