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La pietà delle banche

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(15 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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Tornare alla classe

(19 Luglio 2009)

Per il proletariato - la moderna classe lavoratrice composta da chi trae sostentamento esclusivamente dal proprio lavoro, la cui esistenza di vita dipende dalla domanda e dall’offerta, dalle crisi e dalla ripresa e che deve vendere la sua forza-lavoro ogni ora, ogni giorno, ogni mese per mantenere la famiglia - la vita è una continua battaglia.
Ancor più se questa classe è priva di un’organizzazione politica e sindacale.

Nell’imperialismo gli attuali partiti e i sindacati rappresentanti dell’aristocrazia operaia sono diventati sindacati di regime, appendici dello stato borghese, e con le parole e ancor più con i fatti dimostrano ogni giorno allo “stato democratico” quanto sono utili e indispensabili alla logica del profitto.
Oggi più che mai servono organizzazioni politiche e sindacali anticapitaliste e antimperialiste composte in maggioranza da operai, proletari, lavoratori, fondate sui loro interessi di classe. Più di ieri abbiamo bisogno di un’organizzazione proletaria e di un sindacato di classe, indipendenti dallo stato dei padroni, che non si limitino a lottare per i bisogni quotidiani della classe operaia, per quanto questi siano indispensabili, ma combattano per la completa liberazione dallo sfruttamento.
Gli attuali sindacati, nel disciplinare la classe operaia cercando di renderla collaborativa agli interessi dello stato e dei padroni, cercano di annullare il concetto di lotta di classe, liquidando uno degli strumenti della lotta come fu il sindacato fondato sul conflitto.

Il conflitto crea difficoltà ai padroni, per questo il sistema combatte i sindacati conflittuali.

Ridurre la lotta politica della classe operaia alla rappresentanza parlamentare o sindacale come molti sostengono, è fuorviante e sbagliato.
Le ragioni della sconfitta politica e sindacale di questi anni derivano in gran parte dal confondere, fino a sostituire, la lotta politica con quella parlamentare e dal concepire la lotta sindacale come uno scambio mettendo in soffitta la lotta di classe. Gli attuali sindacati (compresi quelli di base e quelli falsamente autonomi) rappresentano una minoranza della classe operaia e dei lavoratori. Ancora oggi gli iscritti ai sindacati sono meno della metà della forza- lavoro. La trasformazione dei sindacati e dei partiti che ancora si definiscono “Comunisti” nel nome (anche se ormai da anni non lo sono più nella pratica) da strumenti della lotta di classe a organismi di rappresentanza che godono di diritti e riconoscimenti concessi dal nemico di classe, allontanano sempre più i lavoratori, che si riavvicinano a loro solo quando hanno bisogno dei servizi di patronato.
In tal modo l’organizzazione dei lavoratori, da mezzo per raggiungere l’abolizione della schiavitù salariata, diventa il fine ultimo, e al riconoscimento della rappresentanza sono subordinati gli interessi della lotta. Ecco perché ogni lotta operaia che fuoriesce dalle “organizzazioni storiche” e che mette in discussione la pacifica accumulazione del profitto è tacciata di “spontaneismo", “operaismo” e “terrorismo”.

L’esperienza storica e pratica di anni di lotta in fabbrica e nella società ci ha insegnato che questa produce avanguardie operaie e proletarie, ma che è solo attraverso un’organizzazione e una direzione collettiva nei comitati e negli organismi di massa economici e politici che queste avanguardie diventano realmente dirigenti e parte attiva dello scontro di classe. Ormai da qualche tempo i funzionari sindacali e quelli dei partiti cosiddetti “comunisti”, che una volta erano composti di operai in prima fila nelle lotte, da licenziati politici e dalle avanguardie riconosciute dalla massa operaia, sono sostituiti con laureati usciti dalle università e dai centri studi del sindacato. “Specialisti” di professione che non hanno mai né lavorato né visto una fabbrica, che non sono in grado di leggere una busta paga, che non sanno criticare l’organizzazione capitalista del lavoro e che, invece di essere strumenti esecutivi della classe, si considerano rappresentanti e dirigenti della stessa. Sono questi “dirigenti” che controllano le lotte impedendo il protagonismo delle masse, alimentandone la passività e la delega.
La stesura di clausole sempre più complicate nei contratti che i padroni e questi “rappresentanti dei lavoratori” inseriscono, inganna gli operai, facendoli apparire come incapaci di comprendere. Così, valorizzando il loro lavoro dietro un linguaggio complicato, questi “esperti dirigenti” ingigantiscono il loro ruolo, fregando i lavoratori.

La lotta di classe è unica (economica e politica) e anche se può essere combattuta con strumenti diversi, il suo fine è sempre l’emancipazione dei lavoratori.

La crisi mondiale sta facendo cadere tutte le illusioni di sviluppo pacifico della società e dimostra il fallimento del sistema capitalista incapace di garantire benessere e sviluppo all’umanità. Noi proletari coscienti che agiamo nelle contraddizioni reali abbiamo il compito di dimostrare che la nostra classe è in grado di organizzarsi e agire da sé, ricordando a tutti quelli che lottano per la liberazione dallo sfruttamento che anche i dirigenti proletari non sono altro che i portavoce, gli interpreti di una volontà collettiva.

Pubblicato su Nuova Unità n. 4/2009

Michele Michelino

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