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La bufala della lapidazione

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(20 Settembre 2010) Enzo Apicella
Il presidente iraniano Ahmadinejad: Sakineh non è mai stata condannata alla lapidazione, il "caso" è una montatura giornalistica del governo USA

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(Imperialismo e guerra)

I due volti della Repubblica Islamica

(23 Luglio 2009)

“Di struggendo il potere dei mullah, lo scià dimostra
di avere dimenticato il detto napoleonico secondo
cui l’obiettivo primario della religione è evitare che
i poveri uccidano i ricchi. Ora non c’è nulla in grado
di sostituire la religione, se non un nazionalismo
artificiale che può scomparire con lo stesso scià,
lasciando dietro di sé l’anarchia” (1)


Per comprendere gli avvenimenti recenti in Iran è necessario analizzare, almeno nelle linee generali, l’economia del paese, gli sviluppi della Rivoluzione del 1979 e il carattere della repubblica islamica, e con essa, la funzione antiproletaria che vi assume l’ideologia religiosa sciita, che il machiavellico diplomatico capisce così bene.

Non v’è un rapporto meccanico tra lo sviluppo di un paese e quello delle lotte proletarie. Fin dalla fine dell’Ottocento, migranti dell’arretratissimo Iran andavano a lavorare a Baku, dove si sviluppava l’industria petrolifera. Qui entrarono in contatto con la socialdemocrazia russa, e, in seguito, da Tabriz introducevano l’Iskra di Lenin in Russia. I militanti iraniani appresero il marxismo dalle migliori fonti.

Le lotte dei proletari non riuscirono, però, a cambiare la situazione di fondo del paese, dove il dispotismo orientale s’intrecciò con lo stato, con l’economia precapitalistica e la pressione dell’imperialismo, e, anche quando si formarono strutture politiche di tipo occidentale come il parlamento, ebbero una funzione marginale, di copertura.

L’Iran non aveva mai conosciuto una rivoluzione borghese radicale, perché quella costituzionale del 1906 non concesse neppure il suffragio universale. Potevano votare solo gli uomini tra i 30 e i 70 anni, che sapessero leggere e scrivere (allora, una piccola minoranza) e che possedessero proprietà terriere. Gli ulema (il clero), avevano di diritto il 20% dei seggi, e il parlamento era egemonizzato dai mullah, dai mercanti e dai proprietari terrieri. Le proprietà e i privilegi delle vecchie classi dominanti restarono pressoché intatti

I lavoratori sentirono potentemente l’influenza della rivoluzione russa del 1905, ci furono rivolte e lotte, soprattutto per ottenere libertà di organizzazione, aumenti salariali e riduzione dell’orario di lavoro. Come mise in rilievo Lenin in un articolo del 1908, quando la controrivoluzione avanzò, i rivoluzionari iraniani si batterono come leoni contro le forze dello scià, e lo costrinsero a chiedere l’aiuto delle truppe russe del colonnello Liakhov.(2)

Nel 1920, a Enzeli, nacque il Partito Comunista Persiano, su corrette posizioni marxiste. Al secondo Congresso dell’Internazionale Comunista, il rappresentante persiano Sultan Sade mise in luce l’indifferenza, o, peggio, la connivenza, della II Internazionale in materia di colonialismo; disse che, al tempo della repressione seguita alla rivoluzione del 1906, la socialdemocrazia persiana chiese aiuto alla Seconda Internazionale, ma questa non le riconobbe neppure il diritto di presentare una risoluzione su tale argomento. Solo la Terza Internazionale aveva dato ai popoli delle colonie e delle semicolonie il peso che meritavano.

Al Congresso dei popoli dell’Oriente di Baku (1920) la delegazione persiana con 192 partecipanti, era la più numerosa dopo quella turca.

Il Partito Comunista Persiano fu vittima di una duplice selvaggia repressione: Reza Khan cominciò lo sterminio, e coloro che riuscirono a fuggire nell’Unione Sovietica furono vittime delle purghe staliniane. E’ importante saperlo per capire che il partito fondato nel 1941, il Tudeh (Le masse), non ha alcuna continuità col partito nato a Enzeli, ma è una pura creazione staliniana, che ha sempre cercato la collaborazione di classe.

Nel 1941, quando russi e inglesi occuparono l’Iran e deposero Reza Khan, troppo filotedesco, consegnando il trono al figlio Muhammad Reza Pahlavi, sorsero molte organizzazioni operaie. Nel corso delle lotte del 1946 per conquistare le 8 ore, il diritto all’organizzazione sindacale, ecc, il Tudeh rivelò pienamente la sua politica di collaborazione di classe, entrando nel governo diretto dagli agrari, colpevole della sanguinosa repressione dello sciopero di Abadan.

Le organizzazioni del movimento operaio furono smantellate dopo il colpo di stato del 1953, diretto dalla CIA. Nel 1956 nasceva la Savak, la famigerata polizia, che univa i metodi più barbari alle tecnologie più moderne, importate dagli Stati Uniti. Un dirigente della Resistenza francese, Claude Bordet, ha scritto: “ Sarebbe errato paragonare la Savak alla Gestapo perché si sono fatti molti progressi dopo Hitler e i metodi della polizia iraniana sono infinitamente più scientifici di quelli della Gestapo”.(3) Quando, nei primi giorni del 1980, il segretario dell’ONU Kurt Waldheim, si recò a Teheran, nella vana speranza di essere ricevuto da Khomeini e di poter risolvere il problema del personale dell’ambasciata americana tenuto in ostaggio dagli studenti islamici, fu prelevato dall’albergo e trasportato al cimitero di Teheran, dove gli furono mostrate centinaia di fosse di vittime del regime dello scià. Il giorno dopo fu portato a conoscere le vittime ancora vive del regime. “Occhi sbarrati, viso terreo, un’espressione di paura, il segretario delle Nazioni Unite fu costretto a prendere tra le braccia un bambino di cinque anni al quale due anni prima la Savak aveva fatto il “gilet”, gli avevano cioè tagliato entrambe le braccia all’altezza delle ascelle. Perché una tale iniquità a un bambino di soli tre anni? Per qualcosa che aveva fatto il padre, o la madre, o qualche parente più lontano. Poi Waldheim fu obbligato a toccare il moncherino di una gamba di un ragazzo di vent’anni. “Me l’hanno segata a freddo durante un interrogatorio”, disse il ragazzo iraniano... Poi gli fecero vedere giovani impazziti per le botte e gli elettrochoc, ragazzi ciechi, storpi, deformi...”(4)

Eppure, buona parte della nostra stampa, venduta allora come adesso, narrava romantiche storie d’amore che avevano come protagonisti Reza Pahlavi e le successive mogli, Soraya, Farah Diba, ecc., oppure decantava l’amicizia con Vittorio Emanuele di Savoia, che in realtà trattava con lui la vendita di armi a nome di grandi imprese.

Tutto questo può dare un’idea del livello di democrazia esistente nel paese.

Nel 1959 furono soppresse, per le imprese con meno di 10 operai, cioè per la grande maggioranza delle fabbriche, le norme del 1946, che prevedevano, più che altro sulla carta, il diritto all’organizzazione sindacale, l’orario di 8 ore, il divieto di far lavorare bambini al di sotto dei 13 anni. Il solo pseudosindacato consentito era l’Organizzazione Operaia Iraniana, copia peggiorata del sindacato poliziesco zarista di Zubatov. I suoi dirigenti erano scelti dalla Savak. Nonostante la mancanza del partito di classe e la tremenda repressione, il proletariato iraniano non si è mai arreso, con scioperi che trovarono l’appoggio delle masse impoverite delle città e delle campagne. Nel 1963, l’amico dell’occidente, Reza Pahlavi, fece massacrare nel giugno 1963 oltre 15.000 lavoratori. I giornali occidentali, però, parlavano del sovrano illuminato che guidava la rivoluzione bianca.

Bloccati per un certo periodo dalla repressione, i lavoratori seppero riprendersi, e nel 1979 diedero la spallata decisiva al regime monarchico.

Agricoltura e petrolio

Se vogliamo capire le radici sociali di questo regime poliziesco, e della sua crisi, dobbiamo fare un quadro sintetico delle vita economica del paese.

A partire dagli anni ’60, molti paesi giunti all’indipendenza si sono indebitati fino al collo per avere prima possibile una grande industria. In realtà, la miglior base per lo sviluppo capitalistico è la rivoluzione agraria.

Il capitalismo in agricoltura può introdursi attraverso diverse vie, che si possono ridurre a due fondamentali: la rivoluzione democratica e la cosiddetta rivoluzione dall’alto, una via lenta e dolorosa per gli agricoltori. Se è radicale, la prima espropria i vecchi proprietari terrieri, annulla i debiti e le obbligazioni che i contadini hanno nei loro confronti, nazionalizza la terra. La violenza, indispensabile per introdurre il capitalismo, è qui rivolta contro i proprietari terrieri. E’ un errore pensare che la statalizzazione della terra sia in sé una misura comunista. La proponeva un grande economista borghese, David Ricardo, perché eliminava la classe dei proprietari terrieri, mentre gli imprenditori agricoli avrebbero pagato l’affitto allo stato.

Si tratta delle nazionalizzazione della rendita. Marx approfondisce e spiega che esistono due forme di rendita: la rendita differenziale, che è indipendente dalla proprietà delle terra, e dipende invece dalla diversa fertilità dal terreno, dalla maggiore o minore distanza dal mercato, dai differenti rendimenti di ulteriori investimenti di capitali. Questa rendita si formerebbe anche in caso di nazionalizzazione. Una terra fertile, con abbondante acqua, non lontana dalla città, dà inevitabilmente una rendita che un terreno sassoso, in una zona con scarsi collegamenti non può avere. E’ intuitivo. Marx parla di un secondo tipo di rendita, quella assoluta, che nasce dalla proprietà privata della terra. Questa proprietà crea un prezzo di monopolio, impedisce cioè la libera concorrenza, impedisce la formazione di un profitto medio tra imprese agricole e industriali, e rende più lento lo sviluppo agricolo rispetto a quello dell’industria. La nazionalizzazione della terra permette di sopprimere tale situazione di monopolio.

Se invece c’è la rivoluzione dall’alto, la violenza è rivolta contro i contadini, che spesso sono cacciati e costretti ad emigrare, in città o all’estero. Molti vecchi proprietari restano al loro posto, e si trasformano lentamente in proprietari borghesi che vivono di rendita. Quelli che vendono la terra – per il marxismo il prezzo della terra deriva dalla capitalizzazione della rendita - si trasformano in finanzieri, oppure in capitalisti o in usurai. Ci può essere anche chi si dà alla bella vita, ma questo in Iran è un po’ difficile.

Per capire il livello di sviluppo del capitalismo, non bisogna basarsi esclusivamente sulla superficie delle aziende, occorre tener conto di altri fattori, come l’investimento di capitali, sotto forma di sementi, macchinari, tecnologia, e soprattutto la forte presenza di manodopera salariata.

In Iran, ancora negli anni cinquanta 60.000 signori possedevano quasi tutti i 50.000 villaggi, e avevano il controllo dell’acqua, perciò avevano in mano una potentissima arma di ricatto; i contadini dovevano pagare pesantissimi canoni.

L’Iran, come altre zone dell’Asia e dell’Africa, ha molte zone aride, perciò ha bisogno di una canalizzazione dell’acqua, che deve essere fatta da autorità centrali o locali. Engels scriveva a Marx, il 6 giugno 1853: “In Oriente il governo ha sempre avuto soltanto tre ministeri: finanze (saccheggio dell’interno), guerra (saccheggio dell’interno e dell’esterno) e travaux publics, cura della riproduzione... Questa fertilizzazione artificiale del terreno, che cessò immediatamente quando le condotte dell’acqua caddero in rovina, spiega il fatto, altrimenti inspiegabile, che ora sono del tutto squallide e deserte zone che prima erano splendidamente coltivate (Palmira, Petra, le rovine dello Yemen, gran numero di località in Egitto, in Persia e nell’Indostan); spiega il fatto che una sola guerra di devastazione poteva spopolare un paese per millenni e spogliarlo di tutta la sua civiltà”.

Poiché i proprietari terrieri vivevano in città, per il loro crescente bisogno di denaro, sostituirono il canone in natura con quello in denaro, con un peggioramento fortissimo delle condizioni dei contadini, raggirati dai mercanti. Poiché le parcelle a disposizione dei contadini non bastavano a nutrire una famiglia, molti dovevano lavorare anche nei fondi signorili. In certe zone i proprietari si occupavano direttamente delle terre, introducendo il salariato.

Come era avvenuto in altri paesi, anche lo scià tentò la rivoluzione dall’alto. In Germania era riuscita, in Iran fallì, come nella Russia zarista. Sotto la pressione dell’amministrazione Kennedy, che voleva combattere il comunismo con le riforme, nel 1962-63 lo scià limitò la proprietà fondiaria a un solo villaggio, le altre terre furono vendute ai contadini, che dovevano pagare il prezzo allo stato entro 15 anni. La proprietà di una minuscola parcella non era un vantaggio per il contadino, ma un fardello. Doveva svenarsi per pagare entro i termini previsti somme che difficilmente poteva ricavare. Vennero istituite cooperative, dove l’ex proprietario dettava legge. Fu scelta, in realtà, la più penosa via verso la proletarizzazione, e sempre più contadini lasciavano la campagna e cercavano lavoro in città o all’estero. La rivoluzione bianca fallì perché, gravata di tanti oneri, l’agricoltura diventò incapace di provvedere al rifornimento del paese, e si dovette ricorrere in grado crescente alle importazioni.

Con lo sviluppo della rendita petrolifera l’importanza economica dei proprietari terrieri diminuì, non così rapidamente l’importanza politica, perché la burocrazia e gli alti gradi dell’esercito sceglievano i loro esponenti quasi esclusivamente in questa classe. Nasceva la grande industria, legata soprattutto al settore del petrolio, o strettamente controllata dalle multinazionali, ma anche un’industria media o piccola, soprattutto nel campo tessile e alimentare. Ma il peso della rendita rimaneva (e rimane) essenziale : “Lo stato burocratico lancia il nuovo modo di produzione, ma utilizzando le vecchie forme sociali: non investe nell’industria per fare capitale; spende le sue entrate in “gadgets” industriali. Si paga delle acciaierie e delle agroindustrie, come Dario i palazzi di Persepoli”.(5)

Oltre l’industria, la rendita gonfiava a dismisura l’arcaica rete commerciale legata ai bazar. Una spesa enorme riguardava l’esercito. Questa dipendenza dalla rendita petrolifera fece sì che gli sbalzi del prezzo del petrolio si ripercuotessero sull’intera struttura sociale con straordinaria violenza.

Il Gendarme del Golfo

Reza Pahlavi trasformò l’Iran nel Gendarme del Golfo. L’Inghilterra, che per un secolo e mezzo aveva controllato le rotte verso l’India, non era più in grado di svolgere questo compito, e nel 1971 ritirò le proprie truppe nel Golfo. Il governo americano preferiva controllare la zona per interposta persona. Nixon e Kissinger si recarono a Teheran e autorizzarono l’acquisto di qualsiasi arma eccetto l’atomica. Nel 1976 Teheran aveva 3000 carri armati, portaerei, elicotteri, più di 200 aerei a tecnologia avanzata e 9000 missili anticarro. Queste spese furono finanziate con l’aumento della rendita petrolifera, però ebbero effetti politico-sociali ed economici devastanti. Accentuarono la subordinazione nei confronti degli Stati Uniti, da cui dipendeva la fornitura del know-how e dei pezzi di ricambio. L’Iran doveva compiere il lavoro sporco, una sorta di subappalto dell’imperialismo. Più diventava servo, più lo scià cercava di trovare compenso in grandiose manifestazioni di potere e di arroganza. Nel 1971 celebrò a Persepoli i duemilacinquecento anni dalla monarchia persiana. Cosa avesse a fare con gli Achemenidi e con i Sasanidi una monarchia nata dal comandante di una brigata cosacca, devono ancora spiegarlo. Lo scià arrivò all’assurdità di sostituire il calendario islamico con quello imperiale, che partiva dalla creazione dell’impero persiano. Con ciò si alienava il clero.

Reza Pahlavi aveva, all’inizio, tenuto ben presente il consiglio di Napoleone sopra citato. Aveva restituito una parte delle terre sequestrate dal padre al clero, e aveva abrogato il decreto che proibiva il velo. A poco a poco, abbandonò la cautela, e, nel 1963 introdusse il servizio militare obbligatorio per chi studiava da mullah. Cominciarono gli attacchi di Khomeini, che fu arrestato. L’anno dopo, Khomeini protestò per l’immunità diplomatica dei militari e dei tecnici americani e delle loro famiglie. Se un cuoco americano uccideva un ayatollah e addirittura lo scià – dichiarava - non lo si poteva né arrestare né processare in Iran, perché solo i giudici statunitensi erano competenti. Per queste critiche Khomeini fu esiliato.

Il modo in cui in occidente ci hanno raccontato la rivoluzione iraniana è un capolavoro di disinformazione. La rivolta non partì dal mullah, ma dai lavoratori, a cominciare da quelli del settore petrolifero. Chiesero la soppressione dei “servizi di sicurezza” della Savak sul posto di lavoro, e l’allontanamento del colonnello Kaliaai, noto torturatore, dalla raffineria di Abadan.

Insieme con i lavoratori della AirIran, chiesero la fine della legge marziale, che era stata estesa alle principali città. Tra le rivendicazioni, la liberazione di prigionieri politici, la cacciata dei consiglieri americani, il diritto di costituire un sindacato, l’epurazione della burocrazia.

A dicembre, gli operai della raffineria di Abadan rivendicarono il diritto alla partecipazione a un futuro governo rivoluzionario, tramite un proprio delegato. Nascevano ovunque consigli operai, gli scontri delle masse con gli sgherri del regime si moltiplicavano. Uno dei più potenti eserciti dell’Asia, appoggiato da 35.000 consiglieri americani, non poteva essere più usato, perché diventato insicuro. L’azione delle masse disgregò l’esercito.

La posizione della maggioranza del clero, espressa dalla ayatollah Madari, era fondamentalmente quella della borghesia tradizionale: “Lo scià regni, ma non governi”. Solo una minoranza chiedeva la cacciata della monarchia, tra i quali Teleghani e Khomeini. Ma anche quest’ultimo era in ritardo sul movimento. Quando l’insurrezione era in corso, la popolazione e parte dei soldati stavano combattendo contro gli “Immortali” Khomeini dichiarava alla radio: “Non ho ancora dato l’ordine della guerra santa e mi auguro sempre che il popolo decida del suo avvenire legalmente, per via elettorale”. “Il suo portavoce dava ordine alla popolazione di riconsegnare le armi ottenute tramite i soldati, e annunciava che sarebbero state distribuite quando fosse giunta l’ora”.(6)

Ma i lavoratori non accolsero questi appelli. Lo sciopero generale sfociò nell’insurrezione dell’11 febbraio. Gli operai crearono gli Shoraz, ispirati ai soviet, liberarono i prigionieri politici, misero in fuga i padroni. Ci fu un breve periodo di piena libertà di espressione, i libri marxisti erano venduti in grande quantità, gli studenti costituivano comitati rivoluzionari, si espropriavano zone residenziali per i senza tetto, si requisiva cibo per i nullatenenti, i contadini occupavano molte terre dei proprietari terrieri. Le nazionalità non persiane per questo intervallo tra due dittature non subirono l’oppressione nazionale, mentre il Primo Maggio era festeggiato al canto dell’Internazionale.

Il crollo del “Gendarme del Golfo” destabilizzò l’ordine dell’imperialismo. Un anticomunista intelligente, l’ex ministro della difesa James Schlesinger, affermò che l’insurrezione iraniana era “la prima seria rivoluzione dopo il 1917 per le sue ripercussioni mondiali”. Era la dimostrazione che neppure lo stato più militarizzato può bloccare l’onda d’urto di una vera rivoluzione. Questo vale per qualsiasi stato, persino per la fortezza superblindata del capitale, gli Stati Uniti. Come dire: “fratello, ricordati che devi morire!”

In occidente, quasi tutti, dall’estrema destra alla sinistra, parlavano di “rivoluzione dei mullah”. Non sono sicuro di riportare le parole esatte, ma circolava un detto di questo tipo: “Se l’Ayatollah alza la sottana, Lotta Continua diventa musulmana”. Si coniò il termine “Sottanismo”, per indicare la posizione dei fan di Khomeini. La gigantesca funzione del proletariato nella lotta fu pressoché oscurata.

Il peso enorme della chiesa era dovuto anche al fatto che le moschee erano l’unico luogo che il regime non poteva sottoporre alla repressione poliziesche, e, poiché vi si radunavano gli oppositori del regime. Ciò finì col comportare la subordinazione di una parte del movimento di lotta ai mullah.

La borghesia non poteva risuscitare l’apparato repressivo dello scià, occorreva crearne uno nuovo, e perciò si rifugiò sotto le ali della chiesa.

Gli ayatollah dichiararono un peccato contro l’islam conservare le armi, ma moltissimi, soprattutto tra i mujaheddin, i feddayin e le minoranze curde non eseguirono l’ordine. Nell’esercito, i generali furono sostituiti da colonnelli: “Secondo gli esperti militari, la purga dei generali, molti dei quali in età avanzata o scelti più per il loro servilismo verso lo scià che per la loro competenza, sarà benefica: dopo un periodo di oscillazioni, questa “schiumatura” permetterà allo stato di disporre di un corpo più omogeneo e meglio strutturato” (Le Monde, 24/2/79). La Guardia nazionale islamica venne reclutata negli ambienti più poveri. La borghesia sa usare le fasce più diseredate contro il proletariato. Non a caso, al tempo della rivoluzione del 1948, la Guardia Mobile, che partecipò alla repressione del proletariato, era composta da sottoproletari.

Dal 20 al 23 marzo l’esercito represse la rivolta curda. I curdi erano stati in prima fila nella lotta contro lo scià, e s’aspettavano la fine dell’oppressione nazionale. Qualche giorno dopo toccò ai turcomanni, che avevano occupato le terre. Ci fu la repressione “perché la proprietà fosse rispettata (Le Monde, 5/5/79) La guardia islamica sparò contro i disoccupati che protestavano (Il Corriere della sera, 10/3/79). Khomeini dichiarò che gli scioperi erano serviti alla rivoluzione, ma chi li continuava era un traditore. Il 17 febbraio il Tudeh, sempre opportunista, chiese agli operai di riprendere il lavoro. Secondo l’ayatollah Behechti “i sindacati dividono la nazione... Per liberare i lavoratori dall’oppressione dei proprietari, bisogna creare dei consigli operai islamici”, e il 1° Maggio, guidò una manifestazione con i seguenti slogan: “Morte agli oppositori”, “I marxisti sono agenti dello scià”, “Gli operai devono essere al servizio del popolo e di Dio” (Le Monde, 5/5/79)

Contro gli operai rivoluzionari, agivano i comitati Khomeini : “In seno a questi comitati di lavoratori, sono ricomparsi, con l’appoggio del governo, e dei “comitati di iman”, anche persone legate ai vecchi “sindacati gialli”. Costoro appoggiano con metodi violenti le battaglie del governo contro la costituzione dei sindacati. In effetti, secondo il governo, sotto una “repubblica islamica” i lavoratori non avrebbero bisogno di sindacati.” (Inprecor, n. 5, 26/4/79)

Gli shoraz rivoluzionari furono sostituiti dai consigli islamici interclassisti. Furono vietati scioperi, cortei, abolita la settimana di 40 ore introdotta in molte aziende dopo la rivoluzione, ripresero gli arresti, i licenziamenti, le torture, gli eccidi.

Rinacque la discriminazione: verso la donna, con l’appoggio allo sciovinismo maschilista. Chi ha studiato le rivoluzioni moderne, sa che sono impossibili senza la partecipazione di metà della popolazione, quella femminile. Creando un baratro tra proletari e proletarie, si disinnescò la carica rivoluzionaria. Lo stesso problema si pose nei confronti delle minoranze, fino allora unite nella lotta di popolo. Facendo leva sullo sciovinismo farsi, si discriminavano le minoranze curde, turcomanne, arabe, belucistane, turche, gli immigrati afgani, ecc.

La questione femminile

Il metro di Fourier per giudicare la reale evoluzione di un paese, si basava sull’emancipazione femminile. Questo criterio fu fatto proprio da tutti i marxisti: “Il cambiamento di un’epoca storica si può sempre determinare dal progresso del rapporto delle donne con la libertà, perché qui, nel rapporto della donna con l’uomo, del debole col forte, appare nel modo più evidente la vittoria della natura umana sulla brutalità. Il grado dell’emancipazione femminile è la misura naturale dell’emancipazione generale”.(7)

Gurrado riporta certe regole elaborate da Khomeini, che sono un capolavoro di anacronismo e di antifemminismo. Qui se ne possono citare solo alcune. La donna non può uscire di casa senza il permesso del marito, e le studentesse non possono stare nella stessa classe dei maschi. Se proprio non è possibile la segregazione sessuale, bisogna ricorrere al matrimonio temporaneo, che può durare anni, ma anche pochi mesi o giorni. Se la ragazza rifiuta di sposarsi, deve lasciare la scuola.

E’ severamente proibito sposarsi con individui di altre religioni, anche se è consentito agli uomini prendere una concubina ebrea o cristiana. Ci sono poi le impurità: sono considerati impuri, oltre agli escrementi, il vino, la birra, il porco, il cane, anche i non musulmani. “Un bambino deve essere considerato impuro se i suoi genitori e i suoi ascendenti non sono musulmani. Ma basta che ci sia un solo musulmano nella sua ascendenza perché diventi puro” (Gurrado) Non ci interessano qui le parti in cui si regolamentano i rapporti sessuali con animali, o le procedure per andare al gabinetto, c’interessa il fatto che molte di queste regole presero forme di legge. Alcuni giornali, che avevano cacciato i direttori monarchici ed erano autogestiti, furono occupati dai pasdaran e chiusi, e i giornalisti arrestati, perché avevano criticato le misure del governo contro le donne. Ci furono roghi di libri, soprattutto di sinistra, e si stabilì che i problemi di genere potevano essere trattati solo alla luce della dottrina islamica.

La discriminazione della donna è prevista a livello costituzionale, come dimostra Farian Sabahi: le donne non possono ricoprire la carica di presidente della repubblica islamica, di leader supremo o di giudice (art 21). Non possono uscire di casa senza il permesso del marito, neppure per partecipare al funerale del padre (art. 118 codice civile). Il marito può divorziare senza comunicarlo preventivamente alla moglie.(art 1133 cod.civ.). Le donne che si presentano in pubblico senza velo avranno 74 frustate (art. 102 Costituzione). Esiste il diyed (prezzo del sangue) ossia la commutazione della vendetta per omicidio in denaro, che ricorda il medievale guidrigildo, e il diyed della donna vale la metà di quello dell’uomo (art. 300 codice penale). Nell’aprile 1998 il parlamento votò per segregare le donne dagli uomini in ospedale, con enormi danni per la loro salute, visto che infermiere e dottoresse sono molto meno numerose dei colleghi maschi.

100 frustate sono previste per il reato di fornicazione di celibi e nubili (art 83 codice penale), ma per gli adulteri di entrambi i sessi è prevista la lapidazione. Se l’uomo riesce a fuggire è salvo, la donna invece deve essere uccisa con un’arma da fuoco.(art 102 e 114 cod. penale)

E il moderno, progressista, antimperialista Ahmadinejad? Durante la sua prima presidenza ha diretto una campagna contro le donne “malvelate”.

La società, soprattutto nelle città, è assai più evoluta del regime in cui è imprigionata, le famiglie permettono che le figlie escano, frequentino l’università. Il 63% della popolazione universitaria sono donne. Gli utenti della rete sono 23 milioni, e tra questi moltissime sono le ragazze. E’ facile comprendere le contraddizioni che sorgono tra una società civile sempre più moderna e un regime sempre più forcaiolo.

La guerra Iraq-Iran

La guerra fu un’occasione per riunire attorno alla repubblica islamica i fautori e persino gli avversari in un’union sacrée, con esplosioni di sciovinismo e di fanatismo. All’inizio, in poche settimane l’esercito iracheno occupò settemila chilometri quadrati, una zona un po’ meno grande del Friuli. Saddam aveva già dichiarato che il porto di Khorramshahr sarebbe stato annesso all’Iraq “fino alla fine dei tempi”. I comandanti dell’esercito e la Guardia rivoluzionaria volevano abbandonare la città per dare battaglia più all’interno del paese, ma un gruppo di giovani del posto decise di rimanere. Furono sterminati, ma le tre settimane di resistenza frenarono lo slancio iracheno, e alla guerra lampo si sostituì la guerra di logoramento. Anche quando la città fu riconquistata, Khomeini non volle interrompere la guerra, che definì “una benedizione di Allah”, perché aveva impedito alle forze di sinistra di mettere in pericolo la repubblica islamica.

Nel 1984 Khomeini destituì il generale Qassem-Alì-Zahir–Nezhad, perché aveva dichiarato che i normali obiettivi della guerra erano stati raggiunti. Non aver seguito il consiglio del generale costituirà un immenso danno per l’Iran.

Khomeiny continuò con le sue prediche fanatiche. Il 4 febbraio 1985 di fronte a leader musulmani di trenta paesi disse: “Perché recitate sempre le sure della clemenza? Non dimenticate che uccidere è anch’esso una forma di clemenza... Taluni mali non possono essere curati che col fuoco. Il marciume deve essere eliminato da qualsiasi società... Il Corano c’insegna a trattare come fratelli soltanto coloro che sono musulmani e credono in Allah. (Esso) c’insegna a trattare coloro che non lo sono in modo diverso; c’insegna a colpirli, a gettarli in prigione, ad ucciderli...”

Sempre nel 1985, Khomeini promulgò un editto secondo il quale i maschi di età superiore ai 12 anni potevano presentarsi come volontari, anche senza il consenso dei genitori. Senza preparazione militare e spinti dal fanatismo, questi bambini soldati correvano per i campi minati, saltando in aria sulle mine, o si buttavano come kamikaze contro i carri armati. Dal fronte, inviavano le loro ultime volontà alla famiglia. In una si legge: “Come sono stato povero, miserabile e ignorante in tutti questi quattordici anni della mia sordida vita passati nell’ignoranza di Allah. L’Iman dette luce ai miei occhi... Quanto dolce, dolce, dolce è la morte –questa benedizione di Allah ai suoi favoriti.”(8) Nella sola battaglia del passo di Chezabeh, caddero 300 bambini.

Israele rifornì l’Iran di armi fino al 1984, dopo dovette cedere alle pressioni degli Stati Uniti. Il rifornimento riprese, in parte, nel 1985. Al tempo dell’accordo Iran-Contras, “Washington mandava fuori strada il governo iracheno persuadendolo che la prossima mossa iraniana non sarebbe stato l’attacco alla penisola di Fao, ma lo sfondamento della parte centrale del Fronte”.

Questo la dice lunga sul preteso carattere antimperialistico e antiamericano della repubblica islamica.

Quanto all’Italia, salomonicamente, vendeva armi ad entrambi i contendenti. A Genova, alla fiera navale bellica del 1984, un elicottero che portava Spadolini volteggiava sulla folla dei dimostranti che cercavano di bloccare l’ingresso agli addetti ai lavori e ai clienti (tra i quali rappresentanti dell’Iran e dell’Iraq). Se le maledizioni dei manifestanti fossero giunte a segno, l’elicottero sarebbe sparito tra le onde, col suo panciuto “prezioso” carico.

Nel 1988, l’Iran corse il rischio di perdere definitivamente la guerra. Khomeini, dopo aver accettato il cessate il fuoco, disse : “Con questo, è come se avessi bevuto una coppa di veleno”. La sua posizione si era indebolita, e dovette accettare alcune riforme costituzionali. Restò “Guida Suprema”, ma più con funzioni religiose che politiche, e si stabilì che il successore avrebbe avuto funzioni simili a quelle di un re costituzionale. Per ricuperare in parte il prestigio perduto e ridestare il fanatismo, Khomeini condannò a morte per apostasia l’autore dei “Versetti satanici” Salman Rushdie, offrendo un milione di dollari a chi avesse ucciso lo scrittore. (Amir Taheri, cap. XVI)

Il dopo Khomeini

Col ritiro dei tecnici stranieri, la produzione di greggio diminuì fortemente. L’Iran aveva la disponibilità di denaro, ma l’ostilità delle compagnie petrolifere gli impediva di comprare gli strumenti e la tecnologia necessarie per uno sfruttamento efficiente. Molti pozzi, anche se non esauriti, hanno raggiunto la soglia della maturità, ed è cominciato il declino. La compagnie occidentali hanno tecniche avanzatissime, che potrebbero ritardarlo. Poi ci sono giacimenti nuovi, non ancora sfruttati. La National Iranian Oil Company ha dichiarato: “Se non si mette in atto un vasto piano di iniezioni di gas per ristabilire la pressione dei pozzi non saremo in grado di sostenere l’attuale produzione né tantomeno di incrementarla. Inoltre continueremo a bruciare il gas associato ai giacimenti petroliferi sprecando questa preziosa risorsa”.(9)

Il problema per gli Stati Uniti non è tanto il petrolio iraniano, quanto il timore che si costruisca un oleodotto tra il Caspio e il Golfo Persico, che costituirebbe una via breve per il petrolio degli stati ex sovietici in alternativa agli oleodotti sotto controllo americano progettati dall’occidente. Per questo, Clinton vietò i rapporti commerciali con l’Iran alle società americane e alle loro filiali (1995) impose sanzioni alle società, americane o estere, che investissero più di 20 milioni l’anno nel settore petrolifero dell’Iran (1996). In compenso, nel 2000, l’embargo fu tolto per i tappeti e i pistacchi. (Sabahi, op.cit). Una norma “ad personam” per favorire il “riformista” Rafsanjani e la sua famiglia, che dei pistacchi ha quasi il monopolio.

Il consumo di benzina è cresciuto in maniera sproporzionata, dati i prezzi bassissimi che il regime pratica per mantenere il consenso. Nel giugno 2007 Ahmadinejad è stato costretto a mettere un tetto massimo di cento litri al mese, al di sopra dei quali il prezzo sale. Questo limite cerca di risolvere molti problemi: quello del contrabbando, cioè la vendita all’estero di grandi quantità di benzina, acquistata in Iran a prezzi stracciati. Oltre a questo c’è il fatto che le capacità iraniane di raffinare il greggio sono limitate, per cui, mentre c’è il flusso illegale della benzina verso l’estero, ne esiste uno legale nel senso opposto. Uno dei maggiori produttori mondiale di petrolio è costretto a comprare la benzina all’estero. Se questo fenomeno continua, l’Iran perderà il vantaggio delle rendita petrolifera, attraverso la quale masse ingenti di plusvalore, strappato ai proletari di altri popoli, impinguano le casse della repubblica islamica. La produzione di energia atomica serve anche a non sprecare carburante per produrre energia elettrica, indipendente da possibili piani per la bomba atomica.

Gli anni successivi alla rivoluzione, hanno portato ad una crescita, e, rispetto al regime dello scià, ci sono stati alcuni passi avanti: una forte riduzione dell’analfabetismo e la crescita della produzione agricola. L’Iran - sostiene Pourian, redattore capo del mensile Iran Economics - un tempo il maggiore importatore mondiale di generi alimentari, è ora pressoché autosufficiente.(10) Roberto Luzzi, in un articolo sullo sviluppo capitalistico del Medio Oriente, scrive: “In termini assoluti la popolazione agricola, aumentata di nove milioni nel primo decennio dopo la rivoluzione, è diminuita di quasi 4 milioni nel secondo decennio, da 22,3 a 18,5 milioni. È inoltre molto probabile che, come in tutti i paesi dove sono in corso processi di urbanizzazione, una quota significativa dei redditi delle famiglie agricole provenga da membri emigrati in città. In termini relativi il fenomeno è più evidente: Il dato del 26,5% di forza lavoro agricola del 2000 è inferiore al 29,5% dell’Italia del 1961: siamo ai livelli dell’Italia dei primi anni ’60. Tra il 1975 e il 2000 l’impiego di fertilizzanti per ettaro arabile è passato da 22 a 94 kg, il numero di trattori è aumentato di oltre 5 volte da 43.900 a 237.000. Il capitalismo avanza a passi da gigante nell’agricoltura iraniana”.(11)

Però, nonostante questo, se si considera la bilancia dei pagamenti, che nel corso degli ultimi anni è stata ampiamente in attivo, si vede che le esportazioni si basano in gran parte sul petrolio, mentre il settore alimentare ha ancora un certo peso nelle importazioni.

Nella sinistra, quella istituzionale e quella alternativa, si è svolta una polemica sui recenti avvenimenti iraniani legati alle elezioni. Una parte ha presentato come fosse oro colato tutto quello che i media ci ammanniscono, e inneggiato a Musavi.

Musavi , il complice di Reagan e di Tel Aviv nell’operazione “Iran Contras”, è ora riciclato come dirigente di una “Rivoluzione verde”. Reagan aveva chiesto al Congresso di aiutare i contras, che definiva l' “equivalente morale dei nostri padri fondatori”. (I padri fondatori paragonati a briganti reazionari!) Il Congresso, invece, vietò gli stanziamenti destinati a rovesciare il governo legalmente eletto del Nicaragua. L’operazione si svolse in modo clandestino, sotto la guida del colonnello Oliver North del National Security Council, attraverso un conto svizzero, dai dieci ai trenta milioni di dollari, ricavati dalla vendita di armi all’Iran, andarono a finanziare la controrivoluzione in Nicaragua. Una tale operazione dovrebbe squalificare per sempre un uomo politico come Musavi agli occhi di ogni militante di sinistra. La connivenza di Musavi con l’imperialismo non è un’ipotesi, ma un fatto storicamente provato. Questo non crea problemi ai governi occidentale e alla stampa prona ai loro piedi, la loro capacità di falsificazione è infinita.

Musavi, inoltre, con Khomeini e Khamenei, fu responsabile del massacro di migliaia di oppositori politici, che erano in carcere alla fine della guerra con l’Iraq. Poiché l’unione sacra determinata dalla guerra era venuto meno, si procedette a questa criminale “operazione preventiva”, per impedire che, in futuro, fossero liberati e guidassero le lotte contro il regime.(12)

Suo protettore è Rafsanjani, arricchitosi col boom edilizio degli anni ’70 e con i pistacchi, legato al bazar, presidente del parlamento dal 1980 al 1989, per salire al vertice della repubblica islamica. E questi sarebbero i rivoluzionari? Ha cercato di indirizzare la protesta, non solo contro il governo, ma anche contro la Russia, non certo contro l’occidente.

Quanto ad Obama, se dobbiamo credere a quanto riferisce “Libero”, ha tagliato i fondi a Musavi: avrebbe cancellato “i finanziamenti del Dipartimento di Stato in favore dei gruppi di opposizione iraniani, azzerando l’apposito fondo nel “Foreign Assistance budget 2010” presentato al Congresso”. In questo modo, “collassa l’”Iran Democracy Program”, definito dal capo di gabinetto Rahm Emanuel ‘un inutile spreco, un relitto dell’era di Bush’, che in un quinquennio ci aveva investito quasi 400 milioni di dollari, permettendo un salto di qualità decisivo ai contestatori degli ayatollah.”(13) “Rivoluzionari” al soldo degli USA, ecco cosa sono i dirigenti verdi. Chi vuole lottare per la liberazione dei lavoratori e per abbattere la repubblica islamica si deve ben guardare da loro.

Questo non significa che le lotte e le manifestazioni contro la repubblica islamica siano frutto della CIA, del Mossad, o della banda dei verdi islamici. Chi grida “Abbasso la repubblica islamica” o “liberazione dei prigionieri politici” non può essere un tirapiedi di Musavi, come non lo sono gli operai della fabbrica automobilistica “Iran Khodro”, o il sindacato, costituitosi in barba al regime, dei trasporti pubblici di Teheran (Vahed), che ha già condotto forti lotte nel 2005.

Un’altra parte della sinistra, al contrario, si schiera con Ahmadinejad. Se ne deve dedurre che c’è una completa dimenticanza di ciò che ha rappresentato la repubblica islamica, che ha represso nel sangue la rivolta operaia. Musavi e Ahmadinejav sono figli di questa repubblica controrivoluzionaria, e anche se si presentano, il primo come campione della democrazia violata, il secondo come antimperialista.

Per Musavi o per Ahmadinejad, “riformisti” e “radicali” rappresentano due volti della repubblica islamaica. Chi in occidente parteggia per l’uno o per l’altro, non crede a una politica autonoma del proletariato.

Si è sviluppata una polemica sulla validità delle elezioni, sui brogli. In realtà è un falso problema, perché il vizio è a monte. Possono essere ammessi alle elezioni i candidati che hanno il permesso del Consiglio dei Guardiani, che è composto da dodici membri, sei religiosi scelti dal leader supremo e sei magistrati musulmani. Come se da noi il diritto a presentarsi alle elezioni fosse deciso da sei cardinali e sei avvocati della Sacra Rota.

Non soltanto sono esclusi in linea di principio i non musulmani, ma anche, tra gli islamici, i sunniti e le altre correnti religiose. Sono esclusi anche gli sciiti non considerati organici alla repubblica islamica. La scelta si può fare solo tra diverse espressioni del regime. Se questa è democrazia...

Si dirà: almeno la repubblica islamica è contro gli Usa e Israele! Se guardiamo solo gli slogan, non c’è dubbio. La sua politica reale, invece, cambia secondo le circostanze. A parte la già citata operazione Iran–contras, dove la collusione con questi due stati è clamorosa, ci sono altri casi di intesa col governo americano, quello israeliano o con i loro tirapiedi

“Nonostante i difficili rapporti diplomatici con Washington, durante l’invasione dell’Afghanistan, hanno dato la loro disponibilità, con la mediazione svizzera, ad aiutare i piloti americani gli ayatollah che si fossero trovati in difficoltà.”(Sabahi, pag. 174)

Qualcuno pensa che si tratti solo di un’iniziativa umanitaria? Allora perché la Repubblica islamica “è stata... uno dei primi paesi a riconoscere ufficialmente, nel luglio 2003, il Consiglio di governo provvisorio iracheno, istituito sotto l’egida del proconsole americano Paul Bremer”? E ha riaperto la propria ambasciata a Bagdad? “Nella primavera 2004, al momento della rivolta di Nag˘af guidata da Moqtada al-Sadr, Teheran ha offerto la sua mediazione”.(14) Una magnifica azione da pompieri!

Allora perché Israele minaccia un attacco alle centrali nucleari iraniane? Finché c’era un Iraq forte e laico, suo nemico dichiarato, Israele, anche se non ufficialmente, appoggiava l’Iran.Con l’Iraq occupato, semidistrutto e clericalizzato, il concorrente primo diventa l’Iran. Un bombardamento delle centrali, che rappresentare un crimine come quello di Hiroshima e Nagasaki, renderebbe impossibile la costruzione dell’oleodotto Caspio–Golfo. Gli imperialisti cambiano le alleanze secondo i propri interessi, Hitler si accordò con Stalin, ma poi invase l’Unione Sovietica. Ma la storia dell’Invincibile armata spagnola, dispersa e distrutta dall’azione combinata delle tempeste e della flotta inglese, dovrebbe far riflettere il governo israeliano, tanto orgoglioso della sua invincibile flotta aerea e del suo potente apparato missilistico.

Quale è stata la politica economica di Ahmadinejad nella passata gestione? L’articolo citato di Pourian riporta l’essenziale del programma delle elezioni precedenti e di vari progetti a medio e lungo termine. Ecco alcune citazioni:

“Promuovere reali iniziative di privatizzazione invogliando gli azionisti con convenienti prezzi di emissione delle nuove azioni (privatizzazione voucher-type)”.

“Permettere la creazione di un contesto economico e normativo che, garantendo sicurezza e stabilità, attragga gli investimenti nazionali ed esteri.”

“Dedicare la giusta attenzione ai “vantaggi comparati” indotti dalla globalizzazione internazionale favorendo lo sviluppo di attività legate al settore energetico.”

“Promuovere la competitività delle imprese iraniane.”

“Attrarre gli investimenti diretti e finanziari esteri.”

Il quarto piano di sviluppo a medio termine (2005-2010) prevede, tra l’altro:

“ Estendere l’attività della Borsa valori e, al contempo, il mercato fuori Borsa”

“Sviluppare un mercato di capitali per la compravendita di beni immobiliari creando un mercato secondario dei finanziamenti a lungo termine, incentivando gli investimenti esteri nel settore ed eliminando le distorsioni dei prezzi.”

Il prospetto strategico ventennale (2005-2025) prevede:

“Facilitare il passaggio ad un sistema occupazionale meritocratico.”

“Attuare i progetti di privatizzazione riducendo l’ingerenza dello Stato in campo economico.”

La nuova legge sui titoli nobiliari patrocina:

“La nascita di nuovi operatori e istituzioni quali le banche d’investimento, le agenzie di rating, gli intermediari finanziari e i fondi d’investimento.”

“L’istituzione di un’associazione rappresentativa per coloro che svolgono attività di brocheraggio... (Pourian, articolo citato).

Sono le misure che in occidente abbiamo combattuto, e che hanno consegnato il potere al capitale finanziario, con le conseguenze che conosciamo.

Siamo sicuri, poi, che tutto questo sia in linea col Corano, che proibiva i prestiti ad interesse?

Ahmadinejad, come abbiamo visto, porta avanti le privatizzazioni. Il Governatore della Banca della Repubblica Islamica dell'Iran, Seyyed Shams Al-din Hosseini, ha dichiarato che l’intenzione è di privatizzare l'80% delle industrie di Stato entro il 2010. Poco prima delle elezioni una banca di proprietà dello Stato, la Saderat, ha annunciato che avrebbe offerto il 6% delle sue azioni a investitori privati. (Press TV, 8 giugno 2009). “Altre significative privatizzazioni durante il regno di Ahmadinejad includono le Poste, altre due banche gestite dallo Stato, la Tejerat e la Mellat, e, in Febbraio 2008, un blocco di azioni del 5% della acciaieria di proprietà pubblica Foulad-e Mobarakeh è andato esaurito in otto minuti (Iran Daily, 14 febbraio 2008). In totale, dal 2005, 247 imprese sono state interessate dalle procedure dell'Organizzazione Iraniana per la Privatizzazione, il ministero che ha lo specifico incarico di supervisionare le privatizzazioni (vedere il sito dell'Iranian Privatization Organization).”

“IL FMI ha accolto favorevolmente questo processo descrivendo la situazione dell'Iran in un rapporto del 2007 come "La gestione della transizione a un economia di mercato".”

Il suo Ministro per gli Affari Economici e le Finanze Davoud Danesh-Jafari , al meeting 2008 della Banca Islamica per lo Sviluppo ha dichiarato che “l'investimento estero diretto in Iran era cresciuto del 138% dal 2007. (Iran Daily, 2/17/08) Circa 80 progetti erano stati iniziati in quel periodo. La chiave per questa penetrazione di capitali è stata l'accettazione nel 2004 delle Obbligazioni dell'articolo VIII del Fondo Monetario Internazionale (Rassegna Stampa FMI, 14 settembre 2004). In quest'ambito, l'Iran ha accettato di astenersi dall'imporre restrizioni su transazioni di valuta e altri elementi essenziali al flusso di capitali.”(15)

Sul piano politico, governi e stampa hanno spesso falsato le dichiarazioni del leader iraniano, giungendo persino a ritoccare le traduzioni dei suoi discorsi, ma questi sono fatti economici che l’occidente approva e condivide, e quindi, al massimo, gli possono rimproverare di non aver portato avanti abbastanza le privatizzazioni.

Ahmadinejad non ha cambiato nulla rispetto alla politica economica di Khatami. Si tratta di un normale programma di sviluppo capitalistico, con particolare interessamento verso il lato finanziario, che avrebbe la piena approvazione di Ciampi e di Tremonti.

La repubblica islamica è una delle tante maschere del capitalismo, che ha sostituito quella invisa della monarchia, ma ha continuato a massacrare operai in sciopero, oppositori laici, comunisti autentici e persino pseudocomunisti del Tudeh, minoranze etniche, omosessuali, aggiungendovi la lapidazione degli adulteri.

Quando il bieco regime dei preti sarà sul punto di cadere, saranno ancora una volta i lavoratori a dargli la spallata decisiva. Se nel frattempo saranno riusciti a far rinascere il partito di classe, seguiranno la via dell’ottobre rosso, se non ce la faranno, dovranno riconsegnare il potere a qualche altro partito della borghesia, come si è fatto in Francia nel 1830 e 1848, o in Italia, alla caduta del fascismo. In tal caso, come in Italia tutti divennero di colpo antifascisti con effetto retroattivo, e i preti distrussero le foto in cui erano immortalati facendo il saluto fascista, così si vedranno mullah in borghese condannare “l’odiata dittatura”. Speriamo che i proletari non caschino ancora una volta in questa trappola, e diano il benservito a tutti questi servi del capitale.

20 luglio 2009

Note

1) Si tratta di una citazione di un diplomatico inglese non meglio specificato, riportata in Furian Sabahi, “La Storia dell’Iran” Cap. 2, “La rivoluzione costituzionale”. Lo scià a cui si riferisce è Reza Khan, il fondatore della dinastia Pahlavi. Dall’opera della Sabahi ho tratto molte notizie, soprattutto di carattere istituzionale.

2) Lenin, “Le materie infiammabili della politica mondiale”, Proletari n.° 33, 23 luglio (5 agosto) 1908.

3) Citazione tratta da Lello Gurrado, “Khomeini e la questione iraniana”, pag 38.

4) Gurrado, op. cit.

5) “La tormenta iraniana nel suo quadro storico. L’eredità Pahlevi: rivoluzione capitalista alla cosacca.”, Programma Comunista, n. 1-2, gennaio 1979. In questo e in altri articolo di “Programma Comunista” di questo periodo si analizzano le cause politiche ed economico – sociali degli sviluppi rivoluzionari e della controrivoluzione successiva.

6) Le citazioni di giornali dell’epoca ( quasi sempre Le Monde) sono tratte dall’articolo “In Iran, il fossato fra proletariato e borghesia è destinato ad allargarsi”, “Il Programma Comunista, n. 12 e 13, giugno 1979.

7) Citato da Marx - Engels, “La Sacra Famiglia”, VIII -6.

8) Amir Taheri “Lo spirito di Allah. Khomeini e la rivoluzione islamica”, cap. 15, “La sfida al grande Satana” e cap. 16 “ Il prigioniero di Jamaran”. Anche le successive notizie sulla guerra sono tratte da questo testo.

9) Margherita Paolini, “Il meccano di Ahmadinejad. Altre notizie sul petrolio sono tratte da questa fonte

10)Heydar Pourian, “Ricco e povero”, Limes, 5/ 2005.

11) Roberto Luzzi, “Capitalismo in Medio Oriente”, Pagine Marxiste, aprile giugno 2007.

12) Lettera di un’amica iraniana, in “Convergences Révolutionnaires” n.64, e tradotta sul nostro sito.

13)“Gli utili idioti ” di Giellegi, in “Ripensare Marx”. Viene riprodotto anche l’intero articolo di Libero (p. 20, ne L’altrogiornale, sotto il titolo: “Gli Usa scaricano Mussavi”).

14) Delphine Minoui, “Il caos a Bagdad sta bene ai persiani”. Limes, 5/2005

15) Billy Wharton , “Iran in vendita: Ahmadinejad, privatizzazione e quell’autista dell’autobus che disse di no” 28 giugno 2009, in “Senza Soste”.

* Una succinta ma efficace presentazione dei problemi del movimento operaio iraniano e della rivoluzione del 1979 è contenuta nella rivista “Quaderni marxisti” n.3, “La rivoluzione in Iran e il movimento proletario”. Da questo testo ho tratto molte indicazioni.
L’intervento di Sultan Sade si trova in “Protokoll des II Weltkongresses der Kommunistisches Internationale”, cap. 7, dedicato alla questione nazionale e coloniale.
Sulla questione agraria, a chi non s’accontenta delle brevi annotazioni di questo articolo e vuole approfondire, si consiglia di leggere “Il programma agrario della social democrazia nella rivoluzione russa del 1905 -1907”, cap. III, Lenin, Opere Complete, vol. XIII, scritto nel novembre dicembre 1907.

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