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Genta (Innse), gli operai e le "persone serie"

(6 Agosto 2009)

"Sono disponibile all'apertura di un tavolo tecnico, ma con persone serie, tecnici del sindacato, e non con la Rsu".

A parlare è Silvano Genta, proprietario della Innse, la fabbrica milanese agli onori delle cronache di questi giorni per la lotta degli operai contro la sua chiusura e la vendita dei macchinari.

Questa frase va analizzata, perché non è una frase qualunque, ma il paradigma di una cultura.

C'è l'espressione "tavolo tecnico", poi quel "persone serie". Poi ancora, a ribadire, "tecnici del sindacato". E infine, a chiudere con una negazione sottolineante e dispregiativa, "non con la Rsu".

E' il paradigma di una cultura, dicevamo. Perché emerge in questa breve frase il cuore pulsante della mentalità imprenditoriale italiana e globale, una mentalità secondo cui l'operaio (individuato in questo caso con la Rsu, organo elettivo tramite il quale gli operai appunto decidono liberamente chi li deve rappresentare) non è un uomo, ma solo "forza lavoro".

Per Genta liberare la fabbrica dalle macchine o dagli operai è la stessa cosa, perché uguali sono. E infatti poi continua: "mi sto adoperando per piazzare i lavoratori in aziende della Lombardia di miei conoscenti". Merce, pacchetti, bestie da soma, schiavi da vendere al mercatino del lavoro o ad amici. E con la merce, con le bestie, non si può dialogare. Ci vuole qualcuno che parli per loro, che traduca i loro ragli in parole italiane e intavoli una trattativa "seria".

Sarebbe bello aprire i siti internet domani e leggere che un Cremaschi, un Rinaldini, a Genta hanno risposto così: "noi, i tecnici del sindacato, le persone serie, non accettiamo la sua chiusura nei confronti della Rsu. Questa lotta è degli operai, non nostra".

Ma oltre allo specchio di una (sotto)cultura, nella frase del padrone c'è anche la fotografia istantanea della crisi del sindacalismo italiano.

Genta infatti si permette un giudizio del genere anche perché sa bene che nelle grandi organizzazioni sindacali non c'è protezione nei confronti delle rappresentanze direttamente elette nei luoghi di lavoro. L'imprenditore attacca un bastione orgoglioso, ma intorno al quale mancano le forze che dovrebbero fare quadrato.

Genta con quella frase lancia un messaggio che si insinua come legge, come verità politica: i lavoratori sono una cosa, i sindacati un'altra. E quest'ultimi non fanno niente per smentirlo.

La vicenda della Innse potrebbe (e soprattutto dovrebbe) essere il sasso nello stagno per il futuro del sindacalismo in Italia, a partire dal prossimo congresso della Cgil e da quelli del percorso di unificazione delle organizzazioni di base. Un sindacalismo che dovrà fare la conta di quanti vogliono rilanciare il senso originario della centralità dei luoghi di lavoro e dei lavoratori e di quanti invece si sentono "tecnici", "persone serie" che hanno il "privilegio" di andare a parlare con i padroni e mettersi d'accordo con loro. I primi da una parte, a costruire progetti di tipo diverso, centrati sui temi fondamentali della lotta alla precarietà e della partecipazione attiva, e che partano dai luoghi di lavoro, dai territori e dal basso. I secondi a proseguire la loro strada del sindacalismo che piace a Sacconi, del sindacalismo collaborazionista e firmatario di tutto, del vecchio, viscido sindacalismo giallo insomma.

Gli operai della Innse via telefono da sopra la gru hanno lanciato un messaggio chiaro e (si può dire) didattico per il futuro. Hanno detto: "devono capire che non scherziamo, che facciamo sul serio". Una determinazione che deve fungere da esempio, per iniziare una stagione nuova e per conquistare quell'autonomia di azione che serva a non farsi strumentalizzare ogni volta dai Franceschini e Di Pietro della situazione, dalla parte dei padroni senza se e senza ma quando governano, ipocritamente e solo a parole a sostegno dei lavoratori in lotta quando invece sono all'opposizione.

Ma soprattutto una determinazione che riproduce l'orgoglio di chi non accetta che un padrone si permetta di non ritenere neanche degna di parola la rappresentanza eletta dai lavoratori. Di chi non si sente da meno di un "tecnico del sindacato". Di chi rifiuta il concetto che, siccome è un semplice operaio, allora non è una "persona seria".

Per Senza Soste, Franco Lucenti

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