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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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il Cavaliere e la sindrome di Caligola

(6 Agosto 2009)

Nel suo delirio di onnipotenza l’imperatore romano Caligola faceva senatori i cavalli. Oggi, in demokrazia, diventano deputati e senatori le favorite del presidente del consiglio che, invece della busta (post coitum), preferiscono una carriera politica, che nella nostra Repubblica significa una principesca sistemazione economica a vita (pensione compresa).
Nel silenzio delle femministe e della Chiesa (che teme di perdere i soldi per le scuole cattoliche), non si sente una parola di etica che condanni senza appello (con manifesti per le strade) chi usa il proprio ruolo e potere politico per avere i favori delle belle fanciulle, ma, oltre il corruttore, vi è la impressionante facilità delle suddette fanciulle a farsi corrompere, praticando il vero meretricio, offrendosi in cambio di carriere politica, facendo persino apparire più oneste quelle poverette che si vendono per la strada.
Non può essere considerato un fatto privato promuovere in politica le proprie favorite e forse essere sottilmente ricattato da queste, l’intreccio tra attività sessuali personali e livello politico riguarda tutti, e denuncia una cultura corruttiva che ha una vistosa continuità con le vicende giudiziarie dell’imprenditore Berlusconi, che non sta in galera solo perché da politico ha fatto approvare le famose leggi “ad personam” che lo hanno salvato.
Non è normale che il nostro personaggio abbia avuto il monopolio televisivo dal delinquente Craxi, che abbia fatto intrallazzi col delinquente Previti, e che abbia avuto, nel cuore economico della Fininvest la società per la raccolta pubblicitaria “Pubblitalia”, il condannato per mafia Dell’Utri, che l’unico prete suo amico, Don Gelmini (della Comunità Incontro) sia stato in galera due anni per truffa e ora è inquisito per molestie sessuali.
Non è nemmeno normale che abbia portato in Parlamento l’intero collegio dei suoi avvocati difensori, che dalla stanza del potere suggeriscono quali norme far approvare o correggere per continuare a mantenere impunito il loro capo.
Non mi interessano i particolari scabrosi di cui parla l’ex esponente del PDL Paolo Guzzanti, perché ci portano sulla strada sbagliata. La strada maestra è quella di chiedere “l’impecheament” per indegnità, in quanto in perenne conflitto di interesse, in quanto sodale di delinquenti, in quanto corruttore di donne attraverso il suo ruolo e peso politico, in quanto ispiratore del “Lodo Alfano” che ha infranto l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
PD e Di Pietro avrebbero il dovere di trovare un accordo per chiederne le dimissioni, anche perché sarebbe piacevole uscire dalla dittatura e tornare in democrazia, magari contentandosi di ricominciare a dare la preferenza.

Paolo De Gregorio

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