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La psico-guerra contro la scuola pubblica

(3 Settembre 2009)

L’organizzazione cattolica Comunione e Liberazione esibisce da molti anni una doppia personalità. Da un lato, CL è la Compagnia delle Opere, una delle più tentacolari cosche affaristiche italiane, che monopolizza gli appalti nella Regione Lombardia (governata dal ciellino Roberto Formigoni, del PdL), ma è in grado di vampirizzare attivamente anche altre aree del Nord e del Centro Italia. Dall’altro lato, Cl si presenta invece come la “compagnia delle chiacchiere” che si esprime, con cadenza annuale, al Meeting di Rimini.

Il Meeting di Rimini è una palestra per la declamazione delle più spudorate stupidaggini, confezionate col richiamo pretestuoso ed astratto a valori morali e religiosi; il tutto in puro stile Don Giussani, il mitico e compianto fondatore di CL, il prete capace di scrivere ottocento pagine per garantirsi di non aver detto assolutamente nulla. La compagnia delle chiacchiere riesce così ad annebbiare ed oscurare la realtà affaristica della Compagnia delle Opere, che sovrintende a tutta l’impalcatura mediatica.

Spesso, però, esponenti politici e di governo scelgono il palcoscenico mediatico del Meeting di Rimini anche per lanciare pubblici messaggi ai loro clienti, o ai loro mandanti. Quest’anno è stato il caso del ministro-fantoccio dell’Istruzione, Gelmini, che ha dichiarato il proposito di abolire l’attuale sistema di formazione dei docenti, per sostituirlo con un tirocinio da attuarsi presso scuole statali o paritarie. Insomma, un business viene sottratto all’Università e donato ai privati, dato che, con questa ipotesi normativa, il governo concederebbe di fatto agli istituti paritari la facoltà di vendere la qualifica di docente.

Ovviamente la Gelmini, nelle sue dichiarazioni al Meeting, non si è fatta sfuggire l’occasione per avvilire e umiliare la categoria dei docenti e, nel caso specifico, i docenti precari; ma sarebbe un errore attribuire questo stile sprezzante e sguaiato alla particolare abiezione antropologica manifestata dai membri dell’attuale governo. Nel 1999 il ministro dell’Istruzione in carica era Tullio De Mauro, sino ad allora un intellettuale universalmente apprezzato; eppure De Mauro adottò uno stile analogo a quello della Gelmini, scegliendo i media, invece che il Parlamento, per esprimere i suoi propositi - elettoralismo ed antiparlamentarismo sembrano fatti l’uno per l’altro -, e trattando inoltre gli insegnanti da morti di fame, al punto di lanciare una proposta da avanspettacolo: istituire una lotteria per arrotondare gli stipendi dei docenti.

Anche l’affossamento dell’idea che la Scuola possa costituire un fattore di progresso sociale, e la trasformazione della stessa Scuola in un laboratorio riservato esclusivamente a esperimenti affaristici e reazionari, li si debbono ad un altro ministro di “sinistra”, cioè al predecessore di De Mauro al ministero dell’Istruzione, Luigi Berlinguer.

Il pomposo e prolisso programma dell’Ulivo alle elezioni del 1996 prevedeva, come punto qualificante per la Scuola, l’adozione dell’istruzione superiore per tutti sino ai diciotto anni: un obiettivo storico della sinistra. Eppure, appena giunto al ministero, Berlinguer si dimenticò di questo obiettivo e, con la solita intervista televisiva, lo sostituì con l’obbligo formativo, cioè una riedizione del caro, vecchio e reazionario avviamento professionale.

Come obiettivo qualificante della sua opera di ministro, Berlinguer lanciò poi in TV una proposta mai discussa prima: l’autonomia degli istituti scolastici. L’aspetto curioso - e interessante dal punto di vista della psicologia sociale - è che all’epoca nessuno si fece avanti a contestare al ministro l’abbandono dell’istruzione superiore per tutti, anzi tutta l’attenzione fu monopolizzata dal dibattito sull’autonomia, di cui, sino ad allora, nessuno aveva mai avvertito il bisogno.

Berlinguer, con la proposta dell’autonomia scolastica, non aveva fatto altro che propinare il solito sofisma, divenuto un luogo comune propagandistico dagli anni ’80: meno uguaglianza in cambio di più libertà. Ma libertà e uguaglianza sono nomi diversi per la stessa cosa, e pretendere di separare la libertà dall’uguaglianza, significa solo usare la parola “libertà” come un’etichetta per ogni genere di abuso.

Infatti, mentre molti hanno favoleggiato sulle opportunità creative offerte dall’autonomia scolastica, l’autonomia reale si è risolta invece in una sorta di riedizione del feudalesimo applicato alla Scuola, dove ora il Preside - divenuto il Dirigente Scolastico - assume, per legge, il ruolo di bullo istituzionale, un tirannello locale, con tratti da boss mafioso. Il Preside-bullo costituisce il punto di riferimento ed il modello per gli studenti bulli, che ora si ritrovano criminalizzati semplicemente per essersi adeguati al trend.

Rimane a tutt’oggi da spiegare come sia stato possibile che un obiettivo come l’istruzione superiore per tutti sino ai diciotto anni si sia potuto perdere per strada, sino a scomparire dalla memoria storica. Uno dei fondatori del comunismo, Filippo Buonarroti, diceva che ci sono idee emancipatrici, cioè idee che, aldilà della possibilità di realizzazione immediata, costituiscono comunque dei fattori di spinta sociale. Anche senza credere più ai Lumi ed alle virtù salvifiche della cultura, non c’è dubbio che l’idea dell’istruzione superiore per tutti costituisca un messaggio concreto di uguaglianza, cioè uno di quegli obiettivi che possono definirsi “identitari” per un movimento di opposizione.

Quindi non è affatto un caso che la guerra psicologica abbia usato un governo di “sinistra” per liquidare e cancellare dalla memoria collettiva proprio questo obiettivo.

3 settembre 2009

Comidad

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