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Non è solo una questione di libertà di stampa

(12 Settembre 2009)

Le vicissitudini politico-mediatiche degli ultimi giorni, sfociate nelle querele che Silvio Berlusconi ha deciso di sporgere contro La Repubblica e L’Unità, quindi le dimissioni di Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, l’organo ufficiale della CEI, hanno fatto riemergere il tema, già di per sé scottante e controverso, della libertà di stampa, nonché altri aspetti riconducibili ad un conflitto latente tra i poteri forti presenti a livello nazionale.

Ma procediamo con ordine per tentare di comprendere la logica di tali vicende.

Il 26 agosto scorso, il Capo del governo ha deciso di adire le vie legali depositando una citazione per danni contro il gruppo editoriale L’Espresso-Repubblica per contestare le dieci domande (evidentemente scomode) che per oltre due mesi il giornalista Giuseppe D’Avanzo gli ha posto sulle sue frequentazioni sessuali, senza ricevere alcuna risposta.

Probabilmente ciò che avrebbe indotto Berlusconi ad agire legalmente contro La Repubblica sono le insinuazioni su una sua presunta “ricattabilità” e su presunte infiltrazioni al vertice dello Stato italiano da parte di centri mafiosi, in particolare della mafia russa, e l’ampia eco che tali notizie hanno avuto sulla stampa internazionale.

Pochi giorni fa il direttore di Avvenire e Sat2000, Dino Boffo, ha rassegnato le dimissioni con una lettera inviata al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Boffo era stato vittima di pesanti accuse sulla sua vita privata, in modo particolare sulle sue abitudini sessuali, messe al centro di una feroce e smisurata campagna diffamatoria condotta in modo cinico e spregiudicato da Vittorio Feltri, direttore del Giornale, il quotidiano edito dal fratello del premier Paolo Berlusconi.

Nello stesso giorno delle dimissioni di Boffo, il presidente del Consiglio ha deciso di trascinare in tribunale il direttore de L’Unità, Concita De Gregorio, insieme ad altre quattro colleghe del noto quotidiano. La denuncia per diffamazione farebbe formalmente riferimento ad una serie di articoli sugli scandali sessuali di questa estate.

E’ evidente che i violenti attacchi sferrati contro alcuni tra i maggiori organi di stampa nazionali non possono essere ricondotti semplicemente ad alcuni fatti episodici, né ai motivi ufficialmente addotti nelle querele inoltrate dai legali del premier, ma si inquadrano e si spiegano all’interno di una cornice più vasta e complessa che vede al centro non solo la libertà di informazione, sempre più minacciata da fenomeni di squadrismo, killeraggio ed imbarbarimento politico, ma pure una serie di affari ed interessi legati ad importanti centri di potere, tra cui non sarebbero da escludere gli scontri interni al Vaticano tra la Segreteria di Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.

Secondo don Andrea Gallo, cappellano della comunità genovese di San Benedetto al Porto, il direttore Dino Boffo sarebbe stato di fatto sacrificato e le sue dimissioni sarebbero il risultato “di una manovra vaticana” tesa a favorire il governo “in cambio dell’approvazione della legge sul testamento biologico”. Don Gallo aggiunge che tale manovra “dimostra che la situazione è in mano alla Segreteria di Stato vaticana”.

Al di là dell’attendibilità o meno di affermazioni che sono state rilasciate da una personalità ecclesiastica che si presume conosca bene le dinamiche interne alla chiesa vaticana, è certo che quanto sta accadendo negli ultimi tempi rischia di accelerare un processo degenerativo ed involutivo della vita politica italiana a scapito soprattutto del livello già basso della libertà di stampa e di informazione vigente nel nostro paese.

Basta citare la prima classifica mondiale della libertà di stampa pubblicata qualche tempo fa da Reporters sans frontières, in base alla quale l'Italia, in virtù dell'irrisolto conflitto di interessi del Capo del governo, si colloca addirittura al 40° posto, dietro a paesi latino-americani come il Costa Rica, l’Ecuador, l’Uruguay, il Cile, il Paraguay, El Salvador e il Perù, superata da Stati africani come il Benin, il Sudafrica e la Namibia.

Pertanto, come scrive Concita De Gregorio in un editoriale del 2 settembre scorso: “È venuto il momento non solo di una grande mobilitazione, necessaria ma non sufficiente. È il momento di opporre allo strapotere dei soldi la politica, che sia quella l'argine al declino della democrazia. È anche venuto il momento, cari cittadini, di sostenere con forza rinnovata chi si sottrae alla logica del plutocrate. Di dare più forza alle voci del dissenso, ogni giorno. Non tanto e non solo per noi, che dal 1924 abbiamo conosciuto stagioni peggiori. Per tutti, per l'Italia che verrà”.

Lucio Garofalo

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