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L'Italia tripudia la guerra

L'Italia tripudia la guerra

(5 Novembre 2010) Enzo Apicella

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    Afghanistan. Noi stiamo con la resistenza. Per la sconfitta dell'imperialismo

    Nessun cordoglio per gli aggressori Manifestiamo per il ritiro delle truppe!

    (20 Settembre 2009)

    Alternativa Comunista non si unisce al coro unanime dell'ipocrita pietà per "i nostri ragazzi morti in Afghanistan".
    Le truppe italiane non sono truppe di pace bensì truppe d'invasione che, per i profitti dei grandi azionisti di casa nostra (a partire dall'Eni), occupano i territori del Medio Oriente, massacrano popolazioni inermi, feriscono e uccidono ogni giorno i civili e i miliziani che resistono all'occupazione delle loro terre. Il rapporto dei morti tra soldati occupanti e civili e resistenti, cioè tra carnefici e vittime, è perlomeno di 1 a 20 (ma nessuno è in grado di calcolare esattamente il numero dei morti per le stragi delle truppe occupanti dall'ottobre 2001: solo a Kunduz, due settimane fa, almeno 200 afghani sono stati uccisi dai bombardamenti). I 6 parà della Folgore, uccisi dalla resistenza, portavano la pace (eterna) in Afghanistan con carri armati, elicotteri da combattimento, mortai.

    Responsabili di questa guerra e del massacro quotidiano di afghani (che non meritano più di qualche trafiletto sui giornali) sono i governi imperialisti di centrodestra e centrosinistra di ogni Paese (da Obama a Berlusconi); ma responsabili sono anche quei dirigenti della sinistra governista che hanno sostenuto i governi borghesi e le loro guerre.
    Risulta ipocrita il lamento dei Ferrero, dei Diliberto e delle sinistre più o meno critiche che per lungo periodo hanno fatto parte dei governi di guerra e, quando ancora sedevano in parlamento, hanno votato compatte a favore del finanziamento delle missioni coloniali, per un lungo periodo senza nessuna eccezione (i "critici" al più alternando per mesi e mesi ai voti a favore -unanime fu il voto del luglio 2006, unanime il voto ai "Dodici punti di Prodi"- astensioni e "non partecipazioni al voto").
    Dopo aver votato le missioni coloniali; dopo aver lavorato per subordinare il movimento contro la guerra alle politiche di guerra del Pd (la vicenda della base militare di Vicenza è una vera lezione su cui ora tutti tacciono, salvo questo sito e questa news: si veda l'articolo di Patrizia Cammarata) oggi i dirigenti di questa sinistra, sempre subalterna alla cosiddetta borghesia progressista, invocano "il ripristino di una diplomazia di pace e di dialogo" (così Turigliatto, ex senatore, dirigente di Sinistra Critica, in una dichiarazione quasi identica a quella di Ferrero, ex ministro). Come se diplomazia e guerra non fossero l'uno la continuazione dell'altro, il giorno e la notte, in un continuo alternarsi che risponde solo agli interessi miliardari della borghesia, basati sulla rapina delle risorse di altri Paesi, sul controllo di territori strategici per i commerci, sul mercato delle armi.

    Di ben altro c'è bisogno per fermare la guerra. C'è bisogno, in primo luogo, di affermare l'incondizionata solidarietà con i popoli aggrediti che resistono e si difendono come possono. Bisogna dire con chiarezza, senza giri di frasi, che ogni successo militare della resistenza afghana, ogni colpo inferto alle truppe occupanti, è un colpo contro l'imperialismo e quindi a favore di una vera pace; è un colpo che indebolisce i governi, come quello Berlusconi, impegnati non solo nella guerra militare all'estero ma anche nella guerra sociale interna contro i lavoratori. C'è bisogno, contemporaneamente, di riprendere e sviluppare -questa volta in piena autonomia dalla borghesia, dai suoi partiti, da tutti i suoi governi- una grande mobilitazione per il ritiro delle truppe. Altro che manifestazioni "per la libertà di stampa" (promosse dalla "libera stampa" dei miliardari di centrosinistra), a rimorchio del Pd!
    E' paradossale che mentre il Pd rinvia la manifestazione "per la libertà di stampa", per riunirsi con spirito di "concordia nazionale" attorno alle bare dei "soldati di pace" della Folgore uccisi nella loro sporca guerra coloniale, la sinistra governista e le sue appendici critiche spargano lacrime per il rinvio. Di una manifestazione a cui si accodano tutti, da Ferrero a Ferrando, indetta dall'opposizione borghese: quella dei banchieri e degli industriali che vorrebbero scaricare Berlusconi, magari per sostituirlo oggi con Fini e domani con Bersani, cioè con gente capace di risolvere la crisi del capitalismo colpendo con più efficacia i lavoratori (in luogo di un piccolo Bonaparte che pensa prevalentemente ai suoi affari personali e ai festini con le puttane).
    Di un'altra manifestazione ci sarebbe bisogno oggi: per il ritiro delle truppe, contro tutti i governi di guerra della borghesia, in sostegno alla resistenza afghana che, nonostante la disparità di mezzi, lotta e tiene in scacco le truppe imperialiste di mezzo mondo.

    Solo l'unità tra le masse popolari aggredite dall'imperialismo e i lavoratori e i giovani dei Paesi aggressori può portare alla sconfitta dell'imperialismo, condizione indispensabile per porre davvero fine alle guerre (che non sono eliminabili da una società divisa in classi, dominata dal sistema capitalistico).
    Mai come oggi tornano attuali le parole di un grande dirigente comunista che si oppose alla guerra non invocando la diplomazia dei guerrafondai ma chiamando all'unità dei lavoratori di ogni Paese contro i governi della borghesia. Scriveva Karl Liebnecht, ucciso novant'anni fa da un governo della sinistra riformista contro cui conduceva una implacabile opposizione: Il nemico principale dei lavoratori è nel proprio Paese! E' questa, pensiamo noi, la bandiera unitaria sotto cui chiamare a raccolta nelle piazze un nuovo movimento contro la guerra.

    Partito di Alternativa Comunista

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