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Alimentaristi: un accordo complessivamente peggiorativo del sistema del 23 luglio ‘93”

(23 Settembre 2009)

La firma di un contratto nazionale richiede sempre giudizi approfonditi, che si riferiscano ai testi e non solo alle dichiarazioni della prima ora o alle cifre degli aumenti salariali. Dalla lettura del testo è evidente che l’accordo degli alimentaristi applica, seppur con delle omissioni, il sistema contrattuale definito dell’accordo separato del 22 gennaio. Non lo dichiara esplicitamente, ma lo fa in concreto su punti decisivi. E’ vero che non c’è alcun riferimento a possibili deroghe al Ccnl, ma è altrettanto vero che ogni riferimento contrattuale all’accordo del 23 luglio del ’93 viene meticolosamente cancellato e le procedure dell’accordo del 22 gennaio vengono in gran parte recepite. Infatti:

si accetta la decorrenza triennale del contratto nazionale e, in questo caso, addirittura la si fa slittare di quattro mesi, per una durata effettiva di 40 mesi del nuovo contratto. L’aumento salariale è quindi corrispondente a questa durata e, in quanto tale, molto inferiore a quello ottenuto dalla stessa categoria degli alimentaristi nel precedente rinnovo biennale.
Nell’accordo non si fa riferimento all’Ipca, ma si rinuncia anche a qualsiasi clausola di garanzia per adeguare i salari a un’inflazione più alta di quella considerata nell’accordo. I tre e più anni diventano quindi a totale rischio dei lavoratori. Non c’è alcuna certezza sulle decorrenze, anzi si dice esplicitamente che nel caso di allungamento dei tempi contrattuali si userà l’una tantum per coprire i ritardi. Viene abolita l’indennità di vacanza contrattuale. Infine, si recepisce dall’accordo separato il nuovo periodo di moratoria per gli scioperi, che così passa da quattro a ben sette mesi.

La contrattazione aziendale viene limitata qualitativamente e quantitativamente. Qualitativamente perché il salario contrattato aziendalmente è esclusivamente quello variabile. Con una clausola aggiuntiva, che subordina il premio alla possibilità di esenzioni fiscali dal governo. Che a questo punto diventa colui che decide sulla struttura dei premi. Inoltre, c’è il congelamento del valore dei premi aziendali, che può durare da dodici mesi a due anni, a seconda della scadenza degli accordi. Quindi anche i lavoratori delle aziende dove scadono i premi, dovranno aspettare almeno un anno prima di poterli aumentare. Paradossalmente, il sistema che doveva favorire la contrattazione aziendale, la inibisce per gran parte della durata della prossima vigenza contrattuale. Contrariamente alle dichiarazioni non c’è nessuna estensione della contrattazione, né a livello territoriale, né in altro modo. Tutta questa materia è affidata allo studio del nuovo Ente bilaterale, senza alcuna ricaduta reale sulla prossima contrattazione.

Vengono istituiti l’Ente bilaterale, che prima non c’era, con apposito finanziamento e anche il fondo sanitario integrativo di categoria, anche questo finanziato dalle aziende. Questi sono istituti auspicati dall’accordo separato sul sistema contrattuale ed esaltati da una parte del governo e del sindacato.

I lavoratori valuteranno il risultato salariale, purtroppo ancora una volta senza referendum, anche alla luce della crisi, anche se il settore alimentare non è certo in difficoltà come l’industria metalmeccanica o il tessile. Ma il giudizio di un contratto normativo non può fermarsi ai soldi. In ogni caso sul piano normativo è evidente che l’accordo è semplicemente un peggioramento complessivo del precedente accordo del 23 luglio. Si capisce allora perché gli industriali hanno tanto sostenuto la necessità di superare quell’accordo, che pure ha prodotto scarsi risultati per i salari dei lavoratori. Il nuovo sistema riduce ancora il peso del salario fisso e nazionale, ma invece che estendere la contrattazione aziendale, la limita ancora più di prima. Si è partiti da un giusto giudizio critico sull’accordo del 23 luglio ’93, che avrebbe dovuto essere migliorato e invece lo si riscrive peggiorandolo. Si riducono gli spazi di contrattazione e l’unica vera contropartita dell’accordo è costituita dall’istituzione dell’Ente bilaterale e dalla sanità integrativa. Lo scambio è quindi tra riduzione della contrattazione e incremento della funzione di servizio dei contratti dei sindacati. La Cgil si è, nel passato, pronunciata contro questo scambio, ma almeno in questo caso si è cambiata idea. Quello che non è accettabile è che lo si faccia senza dirlo. Se si vuole sceglie di ridimensionare la contrattazione a favore degli Enti e dei fondi, bisogna dirlo e discuterlo apertamente. In ogni caso noi restiamo contrari a questa scelta e non sarà questo accordo a farci cambiare idea.

Roma, 23 settembre 2009

Giorgio Cremaschi
Rete28Aprile

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