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Il referendum sull’art. 18 e la legge delega sul mercato del lavoro

di Michele Di Schiena (Presidente Emerito di Cassazione)

(24 Maggio 2003)

Forse molti non conoscono fino in fondo le conseguenze delle leggi deleghe affidate al governo in materia di lavoro, derivanti dal cosiddetto “Libro bianco”.

Sempre Michele Di Schiena (oggi Presidente Emerito di Cassazione, ha fatto per decenni il giudice del lavoro a Brindisi) offre, all’uso di chi ha la cortesia di volersi soffermare alla lettura di questo articolo, una sintesi sulle gravosissime conseguenze sul mondo del lavoro di tali modifiche (quando saranno approvate) che di fatto permetteranno alle aziende di qualsiasi dimensioni di eludere il limite dei quindici dipendenti e quindi non applicare già le garanzie dell’art. 18.

Questo rende ancora più necessario l’estensione di questo diritto attraverso il SI al referendum del 15 giugno per contrastare questo diabolico ed antidemocratico escamotage partorito dalle “menti” della Confindustria e dei cosiddetti riformisti che, ovviamente, invitano, all’astensione.

Utilizza e diffondi, se condividi.

Giancarlo CANUTO



Per un malinconico patto “in frode” alla democrazia che lega menzogne e silenzi, c’è il rischio che possa sfuggire l’istanza di giustizia e la rilevanza sociale del referendum sull’art. 18 per l’estensione a tutti i lavoratori del diritto alla reintegra nel posto di lavoro nel caso di licenziamento arbitrario. Ed è anche probabile che non sia purtroppo colta la valenza che l’iniziativa referendaria ha assunto dopo quanto è accaduto qualche mese addietro con l’approvazione della legge 14 febbraio 2003 n° 30 che, in parziale ma significativa attuazione del progetto delineato dal Ministro Maroni nel famoso “Libro bianco”, delega al Governo l’adozione di decreti legislativi in materia di occupazione e mercato del lavoro fissando i relativi principi e criteri direttivi.

Partendo dal rilievo che cultura costituzionale e sensibilità democratica avrebbero dovuto sconsigliare alla maggioranza il ricorso, in materia così delicata, allo strumento della delega per non sottrarre la riforma ad un vaglio del Parlamento approfondito e particolareggiato, è utile tratteggiare alcune delle più rilevanti modifiche messe in cantiere con la citata legge per coglierne la portata regressiva e le gravi implicanze che confermano la giustezza e la lungimiranza della proposta referendaria. Va detto allora che la legge delega punta ad una crescente privatizzazione del sistema del collocamento e progetta la redazione in materia di “testi unici” che, col pretesto dello “snellimento e semplificazione delle procedure d’incontro tra domanda e offerta di lavoro”, appaiono destinati a ridurre le garanzie in favore dei lavoratori. La riforma prevede poi l’abrogazione della Legge n° 1369/60 che vieta l’interposizione di manodopera consentendo in tal modo l’appalto di mere prestazioni lavorative col ritorno alla grande del triste fenomeno del “caporalato”. Operazione questa portata avanti dietro la cortina fumogena della ridefinizione dei casi di “interposizione illecita” riscontrabile solo “laddove manchi” una … immancabile (per la genericità con la quale viene formulata) “ragione tecnica, organizzativa o produttiva”.

Ed ancora, la legge in questione estende l’area del lavoro parziale addirittura fino a comprendere il lavoro “intermittente”, con variazioni dell’orario lavorativo settimanale e giornaliero comunicabili al lavoratore giorno per giorno (se non ora per ora) con il conseguente suo totale assoggettamento, compensato da qualche misera maggiorazione retributiva, ai mutevoli interessi ed umori del datore di lavoro. E sulla stessa linea di attacco ai diritti ed alle tutele viene delineata la creazione di nuove forme di lavoro precario mentre non muta, se non a parole, la situazione delle collaborazioni coordinate e continuative per l’inadeguatezza e l’inefficacia delle misure fumosamente enunciate. E c’è infine, in esecuzione di un più ampio disegno rivolto a ridurre il controllo di legalità da parte della magistratura, la novità costituita dalla “certificazione” preventiva in materia di qualificazione del rapporto di lavoro da affidare ad un organo abilitato ad attribuire “piena forza legale” al contratto appunto “certificato” col chiaro intento di scoraggiare il ricorso al giudice nei casi di errata qualificazione giuridica del rapporto o di mancata corrispondenza tra tale definizione e lo svolgimento concreto del rapporto medesimo.

Ma c’è nella legge delega una “perla”: una disposizione che svuota di qualsiasi efficacia l’art. 18 e tendenzialmente lo abroga estendendo di fatto – con una logica diametralmente opposta a quella del referendum – l’impossibilità della reintegra, oggi circoscritta nell’ambito delle imprese minori, a tutti i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti. Ed è precisamente la norma dell’art. 1 lettera p della citata legge che prevede la modifica dell’art 2112 codice civile che attualmente consente il trasferimento dell’intera azienda o di una parte di essa solo se questa “parte” costituisce una “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata … preesistente come tale al trasferimento” e solo se “conserva nel trasferimento la propria identità”. Oggi il trasferimento di un ramo di azienda è quindi possibile soltanto se esso, in quanto entità organizzata e dotata di autonomia funzionale, esisteva ed operava come tale prima del trasferimento e non quando questo ramo sia creato sulla carta in coincidenza del trasferimento medesimo per mascherare cessioni fraudolente rivolte a frazionare aziende di grandi o medie dimensioni in imprese minori per sottrarre ai lavoratori la garanzia dell’art. 18.

Ebbene, con la riforma della legge delega non sarà più così perché il requisito della “autonomia funzionale” non dovrà più preesistere al trasferimento del “ramo” di azienda ma sarà sufficiente che esso compaia “nel momento” della cessione, anche in favore di società all’uopo strumentalmente costituite, per sparire subito dopo. Tale requisito diviene insomma una “particella virtuale”, destinata nel mondo delle imprese a fuggevoli comparizioni e scomparse, scoperta in foraggiati laboratori dagli “scienziati” di questa maggioranza ed offerta alla Confindustria di D’Amato e a chi vorrà servirsene per vanificare la garanzia dell’art. 18. Un progetto questo che può essere clamorosamente battuto dal successo dell’iniziativa referendaria.

Brindisi, 22 maggio 2003

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