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il pane e le rose

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Crisi, workfare, reddito (R.M.G.)

(16 Ottobre 2009)

Negli ultimi trent’anni, l’aumento dei profitti è stato consequenziale alla sovrapproduzione di merci ed all’incremento dei consumi, mentre la disoccupazione, anche per effetto della precarizzazione dei rapporti di lavoro è cresciuta tanto da divenire fenomeno strutturale.

Per anni ci hanno fatto credere che le politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro, avrebbero favorito nuova occupazione, senza spiegarci, che questa era dovuta a contratti precari, aventi l’unico obiettivo di abbassare ulteriormente il costo della forza lavoro.

Il tentativo ( riuscito ) di dividere i lavoratori e fiaccarne le potenzialità di lotta, è passato attraverso la legittimazione, di fatto, del lavoro nero, la flessibilizzazione dell’orario di lavoro, della sua precarizzazione, il ricorrente, ricattatorio, ricorso agli ammortizzatori sociali, l’utilizzo schiavistico della manodopera immigrata, lo smantellamento dei servizi pubblici ed in genere dello stato sociale ( sanità, istruzione, previdenza, casa ).

Capziosamente, e con l’avallo delle forze concertative, si è posta la necessità di risanare il debito pubblico, di contrastare le crisi economiche, di riformare le pensioni, attraverso scelte economiche che hanno prodotto il peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Tuttavia, non va dimenticato, che i costi pagati dai lavoratori, sono da ricercarsi anche nella spietata concorrenza intercapitalistica globale, nei parametri imposti dall’Europa e da organismi internazionali ( Banca mondiale, Fondo monetario, Organizzazione per il commercio… ) e non da ultimo, la scelta di intervenire militarmente in guerre “umanitarie”. Imprese e finanza, oltre a capitalizzare i profitti, spesso, hanno potuto usufruire di aiuti attraverso sovvenzioni, sgravi fiscali, contributivi e decine di miliardi a vario titolo ( basti pensare alle inutili sovvenzioni per ricerca e sviluppo riconversioni, emersioni dal lavoro nero … ).

Nonostante la pauperizzazione della popolazione, la precarietà del lavoro e la disoccupazione strutturale, il ciclo produzione/consumo, non si è mai interrotto, essendo premessa necessaria per la riproduzione del capitale. Dopare l’economia, anche attraverso la finanza di rapina, è stata la soluzione per sopperire all’intasamento di merci, che richiedevano un altrettanto esasperato ( ed indotto ) consumo. I risultati li abbiamo sotto gli occhi: peggioramento delle condizioni di vita, aumento della povertà, disoccupazione, dramma abitativo, lavoro nero.

Contestualmente, i governi susseguitisi ( longa mano del capitale ), incapaci di risolvere le contraddizioni insite in un sistema sociale da loro stessi attivate ( non dimentichiamo lo sbracamento del sindacato concertativo ), da una parte, hanno fomentato fenomeni di criminalizzazione dell’”altro”, considerando il disagio sociale come problema di ordine pubblico, dall’altra, hanno attivato contingenze emergenziali, ( ammortizzatori sociali in deroga, effimeri sostegni al reddito, pacchetti sicurezza … ), trasmutate in stati provvisori strutturali.

Nel frattempo, sono state vanificate le conquiste nell’ambito dei diritti civili, politiche, sindacali e salariali, annichilendo quel poco di welfare che era sopravvissuto. Anzi, a questo va sostituendosi, con anni di ritardo rispetto agli altri paesi che l’hanno adottato ed in mancanza di una reale riforma degli ammortizzatori sociali, la politica del welfare to work o workfare, che pretenderebbe di rendere la condizione lavorativa più competitiva rispetto le misure passive ( sussidi ), spingendo il disoccupato alla ricerca “attiva” di lavoro, pena particolari sanzioni ( ad es. sospensione dei sostegni o cancellazione dalle liste di disoccupazione ). Sostanzialmente, si prevede una responsabilità individuale, piuttosto che sociale, attribuendo importanza al “giusto” scambio di diritti e doveri e sollecitando una presunta partecipazione, piuttosto che conflitto. “Questa impostazione è propria delle correnti neoliberali” ( da:”Reddito garantito e nuovi diritti sociali”- Assessorato al lavoro della Regione Lazio - Febbraio 2006 ).

La Regione Lazio, tramite i centri per l’impiego, ha implementato i patti di servizio ed i piani di azione individuale ed emanato la Legge regionale n. 4/’09 ( reddito minimo garantito ), subordinando l’ acquisizione di determinate prestazioni alla ricerca “attiva” di lavoro ( attraverso la “congrua” offerta ) e all’accettazione di corsi di formazione ( quali? ): una filosofia lavorista, che fa precipitare il lavoratore nel buco nero delle ragioni di mercato, facendolo divenire imprenditore di sé stesso, in competizione con i propri simili. Una filosofia, sicuramente, meglio rappresentata nel Libro verde di Sacconi.

Praticamente, si demandano politiche del lavoro a strutture pubbliche ( ormai privatizzate ed inutili ) come i servizi per l’impiego e formazione, e si implementano leggi sul reddito minimo, che individuano peculiari target di fruitori ( per non parlare del loro complicato iter ), senza tener conto che la realtà dei Servizi per l’impiego è ben diversa da quella che traspare da dispendiosi convegni ed autoreferenziali seminari. Nonostante si affermi il contrario, essi, non sono in grado di far muovere un mercato del lavoro gestito da altri soggetti ( Stato, Comunità europea, apparato macroeconomico ), i quali stabiliscono parametri di politica socio-economica, che spesso confliggono con ipotesi di “programmazione” territoriale. Tali conflitti, prodotti anche dalle contraddizioni del mercato, più volte si tenta di risolverli localmente garantendo alle imprese lauti benefit, qualora manifestino “ ravvedimenti” ( ad es. l’emersione dal lavoro nero ) o garanzie di assunzioni (con sgravi di varia natura o contributi economici ). Ancora non si comprende (ma molti fingono ), come l’uso dei Centri per l’impiego è stato funzionale alla logica appena esposta: essi, non essendo in grado di sviluppare occasioni di lavoro e formazione professionale, sono divenuti un supplementare luogo dove le imprese possono trovare, senza impedimenti, tutte quelle forme di precariato al momento disponibili. Diviene necessario, invece, ipotizzare un diverso “governo” del Collocamento, coinvolgendo anche alcune soggettività territoriali, con cui si possano attivare confronti innovativi e reciprocamente propositivi ( pensiamo ad aggregazioni giovanili, comunità d’immigrati, settori del movimento dei precari e dei disoccupati … ), aldilà degli stereotipati guazzabugli propinati da illuminati esperti, che mal si conciliano con le reali esigenze di chi fatica a riconoscersi come cittadino garantito. Nel contesto, va evidenziata la mancanza di una reale formazione del personale, che preveda la riqualificazione dello stesso ed una sua più pertinente caratterizzazione professionale, finalizzata all’ottimizzazione del peculiare servizio pubblico erogato, la cui qualità, sia in grado di offrire adeguate risposte al cittadino. Ci si deve opporre a quella sorta di “pensiero unico”, che contempla gli operatori pubblici come dei fannulloni, per imbastire una campagna di svuotamento delle prerogative dell’amministrazione pubblica, trascurando le vere responsabilità nella filiera dei “tutori del sistema”. Non sono loro a gestire la “cosa pubblica”, sono solo il mezzo, lo strumento con cui la burocrazia si/li aggroviglia per perpetuarsi, anche utilizzando una pletora di contrattisti utili ed utilizzabili alla bisogna.

Abbiamo accennato all’emanazione della legge regionale sul reddito minimo garantito ( dopo anni, guarda caso a ridosso delle elezioni regionali ), voluta da un eterogeneo fronte che ha, tra l’altro, compreso il sindacalismo di base ed i movimenti sparsi nel territorio. La legge prevede che possono accedere al R.M.G. ( fino a 7.000 euro annuali ) i disoccupati, gli inoccupati, i lavoratori precariamente occupati che abbiano la residenza nella regione Lazio da almeno 24 mesi. Contrariamente da quanto previsto dall’art. 4 della legge, nella delibera di Giunta n. 426/’09, sono stati individuati come fruitori coloro i quali hanno un’età compresa fra i 30 ed i 44 anni. Torneremo sull’argomento in maniera dettagliata, ma certamente dobbiamo registrare come nel momento in cui scriviamo, le graduatorie provvisorie, dal 15 ottobre sono slittate al 15 Novembre, data in cui sarebbero dovuti iniziare i primi pagamenti ( «i beneficiari del reddito minimo possano ricevere il primo assegno a novembre» Assessora al lavoro A. Tibaldi ). Ad oggi, possiamo constatare che solo alcuni cittadini ( su 170.000 domande? ) potranno beneficiarne; che, considerato l’enorme afflusso di possibili aventi diritto nei centri per l’impiego ( uno dei requisiti è l’iscrizione al collocamento ), ancora non si possono quantificare i titolari; che sarebbe stato opportuno verificare con chi opera sul “campo” ( invece che sedicenti “esperti” ), le possibili criticità tecniche. Abbiamo, invece, assistito all’assalto ai centri per l’impiego ( tante aspettative, ma nessuna conoscenza della norma ), sobbarcando di ulteriore lavoro l’esiguo personale.

Tratteremo in futuro tali problematiche, in modo più esaustivo. Al momento, esporremo genericamente la questione avvalendoci di parole non nostre.

"La maggiore flessibilità dei lavori e la possibile discontinuità delle carriere lavorative devono essere accompagnate da una estensione delle tutele, soprattutto in caso di disoccupazione, che non perdano di vista il necessario collegamento tra erogazione di sussidi e attiva ricerca di nuovo lavoro", diceva Prodi, al quale faceva eco il ministro del lavoro: "Il sussidio sarà strettamente legato a percorsi di riqualificazione professionale e, soprattutto, all'accettazione di proposte di nuovo impiego". Oltre queste dichiarazioni vanno presi in considerazione i progetti sperimentali avviati da qualche tempo in tutta Italia, che hanno ad oggetto il sostegno e la ricollocazione dei lavoratori disoccupati, si pensi soprattutto al "Progetto azioni per il reimpiego", nel quale sono coinvolti sindacati, imprese, regioni, province, centri per l'impiego, insomma una sperimentazione che ha visto attivarsi una importante fetta organizzativa sia istituzionale che delle parti sociali … Gli interventi di sostegno del reddito, destinati per lo più ai disoccupati, saranno caratterizzati da un'erogazione monetaria, certamente di entità modesta, per un periodo di tempo determinato, durante il quale sarà fatto firmare loro un "patto" in base al quale, per ricevere il beneficio, saranno obbligati ad accettare proposte e occasioni di lavoro che il mercato offre in quel momento e a seguire corsi di formazione professionale. Le imprese che dovessero assumere questi soggetti sottoposti a un tale iter trattamentale beneficerebbero di un incentivo - sarà quindi più vantaggioso per loro utilizzare una manodopera di questo tipo … Il ministero potrà trovare spunto per realizzare quell'agognato rilancio dei Centri per l'impiego sul piano locale, e per costruire o rilanciare nuovi organismi sul piano nazionale, cui demandare la gestione di tutti i trattamenti cui il disoccupato sarà sottoposto. La Confindustria, con il ricorso agli ammortizzatori sociali, potrà usufruire di manodopera a costi ancora più bassi, e potrà addossare sulle casse statali le necessità di formazione dei dipendenti. I sindacati, se sapranno sfruttare con abilità le prevedibili inefficienze del sistema pubblico, potranno proporsi come centri di formazione o addirittura come collocamenti privati: un'ulteriore tassello potrà quindi aggiungersi nella trasformazione del sindacato da struttura di lotta e di organizzazione di interessi di parte, in struttura semplicemente erogatrice di servizi a un'utenza astratta e indeterminata. In questo modo i sindacati, i centri per l'impiego e le agenzie private di matching tra domanda e offerta, potranno liberamente concorrere tra loro per spartirsi la torta e i profitti … Il legame con il lavoro rimane centrale perché la sfera lavorativa viene assunta come centro regolatore della vita sociale: chi non lavora è fuori dalla società. Il sussidio, nell'accezione neoliberista, ridistribuisce denaro (poco) al solo fine di mantenere invariato il sistema che crea squilibri e marginalità diffusa. Secondo questa concezione il sostegno al reddito può essere concesso solo a coloro che sono rimasti "fuori" e a condizione che aderiscano al patto di inserimento lavorativo, qualunque esso sia. In questa prospettiva l'idea è quella di rafforzare il controllo sociale sui ceti più marginali, di inserirli negli schedari della social security … Relazioni di subordinazione sia nei confronti del mercato, in quanto vittima sacrificale al regime di concorrenza, che nei confronti dello stato, in quanto ridotto a oggetto di assistenza pubblica … La dialettica tra economia e politica, tra struttura capitalistica e struttura sociale, determina oggi un riallineamento della politica alle esigenze della produzione … La politica recupera il terreno perduto, nel mettersi al servizio degli interessi capitalistici adegua il quadro giuridico delle tutele ai mutati rapporti nella sfera produttiva. Il cerchio attorno al precario sembra definitivamente chiudersi: sfruttato, ricattato e spremuto nei momenti occasionali di lavoro, inserito in un sistema risocializzante e di formazione nei periodi di non lavoro, condizionato comunque ad accettare eventuali proposte di lavoro senza la possibilità di rifiutarle, pena la fine di ogni eventuale beneficio. Ricattato, dunque, nei momenti di lavoro formale, in quanto precario, ricattato nei momenti di non lavoro in quanto eventuale beneficiario di un sostegno. E in tutto questo spazi possibili di riappropriazione, di conquista materiale di libertà sembrano non esistere … La tutela del reddito, in questa nuova accezione di parte capitalistica, non designa più il riconoscimento di una sfera intangibile di libertà individuale, il diritto di ciascuno a non scendere mai sotto una determinata soglia di dignità e di ricchezza, designa invece una debole erogazione monetaria, concessa in cambio di una più che totale disponibilità ad assoggettarsi a qualsiasi trattamento lavorativo-formativo deciso ad personam dall'autorità pubblica … Con l'indirizzo alla creazione di un workfare si tende in Europa ad abbandonare la concezione socialdemocratica classica secondo cui sussisteva, in capo allo stato, un obbligo a garantire a tutti i cittadini condizioni dignitose di vita, dalla culla alla tomba … Il pericolo reale sotteso agli schemi di workfare è quello di determinare un ulteriore peggioramento delle condizioni di molti lavoratori. Infatti, facendo ricorso alle politiche attive di inserimento lavorativo, si omette di considerare la sussistenza di una relazione diretta tra entità dei sussidi percepiti e il livello generale dei salari pagati dalle imprese. Se invece l'erogazione del sussidio è accompagnata da obblighi stringenti di attivazione (cui corrisponde una sanzione), si spingono i beneficiari verso lavori di basso profilo, con conseguente dequalificazione professionale. Una politica tesa all'inserimento lavorativo dei beneficiari può di fatto incentivare, anziché contrastare, il ricorso alla precarietà nel mercato del lavoro e la tendenza alla dequalificazione dei lavoratori e all'abbassamento dei salari … I precari, nel discorrere di reddito, non parlerebbero di formazione al servizio dell'impresa, né di accettazione di impieghi derelitti ordinati dai Centri per l'impiego. I precari parlerebbero di un'esigenza di tutela universale, di una necessità di allentare i vincoli al lavoro, di uno strumento idoneo a rompere il ricatto occupazionale, di un'appropriazione reale di pezzi di ricchezza garantiti, di un meccanismo di tutela atto a favorire percorsi individuali più liberi. Di queste parole nuove abbiamo davvero un urgente bisogno
( da: INFOXOA maiday 2007 - http://www.bin-italia.org/pdf/foglio.pdf ).

La mercificazione della persona ( autoctono o migrante ), quindi, sempre più costretta nella sua debolezza contrattuale, diviene fattore dirimente per la funzionalità del libero mercato.

La questione impellente è quella di offrire, a precari e disoccupati, uno strumento che consenta loro di difendersi da offerte di lavoro precarizzanti e dal lavoro irregolare, capace di aprire una stagione vertenziale con tutti i soggetti in campo, compresi i servizi per l’impiego e formazione, organismi attraverso cui la politica governativa opera per veicolare le politiche liberiste del lavoro. Naturalmente, senza dimenticare di sensibilizzare chi in essi vi lavora, dipendenti sì garantiti, ma che comunque subiscono i morsi della crisi, individualmente o attraverso i propri figli e che un’adeguata controinformazione, porterebbe a rinsaldare quelle divisioni artatamente costruite e finalizzate all’esclusiva difesa dei propri interessi categoriali. E’ urgente, perciò, rompere la disgregazione imposta dal capitale e ricomporre un movimento di garantiti e non: che possa interloquire con le istituzioni sul territorio, che dia rilievo alla contrattazione sociale, che sia capace di andare aldilà delle specifiche vertenze locali, che sappia contrastare l’egemonia culturale vigente, ma, fondamentalmente, sappia essere credibile, coerente e che sappia dotarsi di diversificati e validi strumenti di lotta.

Luciano Di Gregorio
RdB-CUB P.I.

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