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Il diploma

Il diploma

(3 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Diaz: la Cassazione deposita le motivazioni della sentenza che condanna 25 poliziotti tra cui Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine.

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(Verità e giustizia per Genova)

Genova: (la loro) giustizia è fatta

(17 Ottobre 2009)

Lo Stato si autoassolve per la barbarie del G8 e infligge quasi 100 anni di carcere a chi in quei giorni ha osato resistere al terrore poliziesco. Ma le imponenti manifestazioni di questi giorni a Istanbul contro il FMI dimostrano come la crisi economica sia destinata a produrre un nuovo ciclo di lotte contro la globalizzazione capitalistica.

98 anni e 9 mesi di galera per 10 dei 25 manifestanti sotto processo a seguito delle contestazioni; assoluzione per De Gennaro e Mortola, rispettivamente capo della polizia e dirigente della Digos all’epoca dei fatti: questo l’esito, a dir poco scandaloso, dei processi sugli oramai arcinoti fatti del G8 del luglio 2001.

Per i compagni, accusati di “devastazione e saccheggio” (dunque secondo il loro stesso diritto relative ad atti contro cose e non contro persone), le pene sono state addirittura aumentate rispetto al primo grado, fino a un massimo di 15 anni: condanne di questa portata non sono mai state inflitte neanche per i peggiori casi di strage o omicidio. Nel frattempo gli aguzzini della Diaz e di Bolzaneto, artefici di quella che loro stessi definirono “macelleria messicana”, non solo sono scagionati, ma ricevono onorificenze e promozioni (vedi il superpoliziotto De Gennaro, il quale non a caso fu nominato lo scorso anno commissario straordinario per l’emergenza-rifiuti in Campania).

Le due sentenze, pronunciate dai giudici della corte d’appello di Genova a sole 48 ore di distanza, di fatto si commentano da sole, e dimostrano ancora una volta la vera natura di classe dello stato “democratico”: garantista e liberale quando si tratta di perdonare, condonare o assolvere padroni, politicanti corrotti e i loro servi in divisa; repressivo e poliziesco contro chiunque osi disturbare il manovratore.

A fronte di una sentenza talmente inaudita nessuna parola è stata proferita dalle sedicenti opposizioni “democratiche”, gli stessi che in queste ore festeggiano per la bocciatura del “lodo Alfano” e si ergono a paladini della (loro) Costituzione.

Il loro complice silenzio non ci sorprende: sono gli stessi che qualche mese fa applaudirono al “neo-democratico” presidente della camera Fini quando quest’ultimo si dichiarò soddisfatto per l’assoluzione degli assassini di Carlo Giuliani!

La nostra rabbia ed indignazione per gli esiti di quest’ennesimo processo-farsa è forte, ma non ci illudevamo che le cose potessero andare molto diversamente: dalle bombe di piazza Fontana del 1969 a oggi assistiamo nel nostro paese alla sistematica autoassoluzione da parte dello Stato di quasi tutti i suoi crimini e alla altrettanto sistematica criminalizzazione di chiunque lotta contro miseria, guerra e sfruttamento.

In Italia quel movimento che ha avuto nelle giornate di Genova il suo apice viene da più parti considerato un capitolo chiuso da consegnare agli archivi storici, magari attraverso un’opera di revisione in chiave “sociologico- generazionale” volutamente edulcorata dai suoi specifici connotati di classe, analogamente a quella compiuta nei confronti delle lotte del ’68 e del ’77.

In realtà le ragioni della battaglia di luglio 2001, e i suoi contenuti più autenticamente di classe e antisistema si dimostrano quanto mai attuali a fronte dei disastri sociali prodotti dalla crisi del capitalismo. Lo dimostrano le mobilitazioni prodottesi in questi ultimi mesi (vedi Londra) e soprattutto le recenti manifestazioni in Turchia contro il meeting del FMI, comitato d’affari del grande capitale finanziario e tra i principali responsabili delle politiche di rapina e di sfruttamento perpetrate ai danni dei popoli dei paesi dipendenti (nello specifico turco, l’FMI chiede al governo di Ankara un’ulteriore attacco allo stato sociale e un’ondata di privatizzazioni in cambio di nuovi prestiti). Nel corso dei due giorni di mobilitazione ad Istanbul, il movimento turco è stato capace di mettere in piazza migliaia di lavoratori, disoccupati e studenti in nome della lotta al capitalismo.

La radicalità delle proteste e l’ondata repressiva da parte della polizia turca, sfociata in un morto e oltre cento tra fermi e arresti ricalca, seppur con le dovute proporzioni, quanto abbiamo vissuto negli scorsi anni, e smentisce coi fatti, in maniera clamorosa, tutti coloro che vorrebbero “chiudere i conti” con Genova in una cella carceraria o in un’aula di tribunale.

Anche in questo caso l’analisi materialista e dialettica si dimostra l’unico metro d’indagine adatto ad interpretare la realtà storica e le lotte sociali: se il ciclo “no global”, legato all’iconografia e del movimento dei movimenti e all’attenzione dei mass-media verso le forme estetiche del conflitto, è oramai definitivamente alle nostre spalle, la lotta internazionale al capitalismo e per la costruzione di un’alternativa di sistema è, alla prova dei fatti, una storia ancora tutta da scrivere.

Le lotte non si processano
Fuori i compagni dalle galere
Solidarietà al movimento turco e agli “anti-FMI” arrestati

Rete anticapitalista campana

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