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(18 Ottobre 2009)
Aperta condanna del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per Israele e Hamas entrambi accusati di crimini di guerra dalla relazione del giudice sudafricano Richard Goldstone, capo delle indagini Onu che s’era occupato anche delle stragi in Rwanda e nella ex Jugoslavia. A Ginevra venticinque nazioni hanno votato a favore del suo dossier di quasi seicento pagine, undici paesi si sono astenuti e sei, fra cui Stati Uniti e Italia, si sono dichiarati contrari. Goldstone pone sotto accusa l’operazione “Piombo fuso” dell’Idf sulla Striscia di Gaza e il lancio dei razzi su alcune località del sud di Israele da parte dei militanti della fazione islamica, che hanno rispettivamente prodotto 1.415 vittime gazesi (oltre la metà civili e più d’un terzo bambini) e 13 morti, di cui tre civili, fra gli israeliani. Le cifre spesso non sono prova assoluta delle atrocità ma, come in altri casi, nel conflitto israelo-palestinese a pagare con la vita è solo un popolo. Nonostante il rapporto metta quasi sullo stesso piano la potenza di fuoco con cui l’aviazione di Tel Aviv distruggeva col fosforo bianco scuole dell’Unrwa o interi palazzi abitati per far fuori Nizar Rayan o Siad Syam e i razzi katyusha dei resistenti, Hamas ha valutato favorevolmente la risoluzione. Nel ringraziare i paesi che l’hanno sostenuta un suo portavoce a Gaza, Taher al-Nanu, ha manifestato la speranza che si possa giungere a processi individuali contro i colpevoli di occupazione e stragi.
Netanyahu ha definito il rapporto un premio al terrorismo e un insormontabile ostacolo al processo di pace. Quale esso sia allo stato attuale è difficile comprendere visto il pericoloso stallo, pieno di tutte le emergenze post massacro, in cui versa la vita del milione e mezzo di abitanti della Striscia. Mentre Abu Mazen, voltando per l’ennesima volta le spalle alla sua gente e quasi in sintonia col premier israeliano, aveva nelle scorse settimane puntato a far slittare la presentazione del dossier e per questo ricevuto un’infinità di critiche. Solo alla fine aveva giocoforza mutato opinione. In base all’invito dell’Onu sia Israele sia i palestinesi dovrebbero avviare proprie commissioni d’inchiesta per verificare se quanto denunciato risponde a verità. Probabilmente nessuno farà nulla, allora potrebbe essere la Corte Internazionale dell’Aja ad agire di sua sponte con un’indagine ufficiale. Naturalmente in base a quanto scritto la posizione più grave è quella delle Forze armate israeliane accusate d’aver causato “omicidi intenzionali e procurato grandi sofferenze a persone protette”, cui s’aggiunge la “violazione del diritto alla vita” per l’arbitraria e reiterata uccisione di civili palestinesi. Sproporzionato è giudicato l’uso della forza dell’esercito israeliano nell’uccisione di civili e nella distruzione di proprietà e infrastrutture, comprese quelle religiose. C’è il noto caso dell’abbattimento d’una moschea con quindici religiosi all’interno.
Ricordiamo come già in altri periodi s’è cercato di dare nome e volto a stragisti di Tsahal, nella fattispecie ad Ariel Sharon, ministro della difesa all’epoca dei massacri di Sabra e Shatila che furono molto più che coperture offerte ai macellai falangisti. Ma i tentativi processuali caddero nel vuoto. Nonostante l’istituzione della commissione Kahan, che valutava le responsabilità israeliane sul crimine del massacro perpetrato a freddo per due giorni consecutivi che superò le tremila vittime, e sugli 88 giorni di bombardamenti che ridussero Beirut in una città fantasma, Sharon la passò liscia. Se ne andò per un lustro a vivere nel deserto e venne ripescato e sdoganato da Shamir per le nuove offensive che lo videro propugnatore della politica dell’entrismo degli insediamenti coloniali nei territori palestinesi e fautore del Muro dell’apartheid. Dopo aver provocato la Seconda Intifada col famigerato passeggio sulla spianata delle Moschee Sharon venne definito da Bush jr politico di pace (sic). Insomma i tentativi d’ottenere giustizia dai Tribunali hanno trascorsi tutt’altro che confortanti. Resta in tutta la sua drammaticità l’emergenza quotidiana a Gaza, dove una delegazione italiana compie in queste ore un sopralluogo. Non solo dopo dieci mesi dai massacri nessun ospedale, scuola, casa distrutti sono stati ricostruiti perché l’Idf tiene cemento e acciaio fuori dai varchi, ma tonnellate di macerie sono lì a rendere difficilissima la vita dei gazesi. Scarseggiano sempre medicinali e viveri, e prosegue il ‘conflitto degli stipendi’ gestiti dall’Anp per il 40% della popolazione locale.
16 ottobre 2009
Enrico Campofreda
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