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Il disgelo tra Ulivo e Prc

un altro articolo de "Il Manifesto" sul dopo-amministrative

(31 Maggio 2003)

Bertinotti parla di un centrosinistra cambiato. I Ds invocano l'«alleanza politica». Mentre procedono gli esperimenti pilota per il 2006

ROMA - Il disgelo procede a passo di carica. Non è iniziato con le elezioni, ma dopo il voto ha subìto un'accelerazione impressionante. Uscito di scena Sergio Cofferati e con alle spalle la riprova di quanto gli elettori apprezzino uno schieramento unitario, Ulivo e Prc marciano verso la definizione di quell'«accordo programmatico» su cui dovrebbe basarsi il fronte unitario nel 2006. Dagli studi di Porta a Porta, a conteggi non ancora terminati, Fausto Bertinotti spiegava che l'Ulivo non è più quello di una volta, che è stato investito dal vento del pacifismo. In questi casi non c'è bisogno di aggiungere altro per far capire che la marcia di avvicinamento è già a buon punto. Del resto le successive interviste del leader del Prc non lasciavano margine di dubbio. A raccogliere la palla sono stati i leader diessini, nel direttivo di mercoledì scorso. Prima di tutto con un messaggio esplicito, ribadito sia da Piero Fassino che da Massimo D'Alema: «Con Rifondazione non basta più la desistenza. Bisogna puntare a un accordo politico». Ma soprattutto con un messaggio cifrato. Fassino e Cesare Salvi, che tra i leader del correntone è quello più vicino alle posizioni del Prc nonché promotore del referendum sull'art. 18, hanno convenuto sulla necessità di smussare i toni del confronto su quel referendum. E ai vertici della Quercia nessuno nasconde che, se l'obiettivo esplicito dell'offensiva di pace era l'ala sinistra di Aprile, il vero destinatario del messaggio era proprio Bertinotti. La stessa tregua firmata sotto la Quercia dalle due anime del partito, inoltre, fa perno proprio sull'intesa in merito al dialogo con Rifondazione.

Certo, quelle tre «commissioni paritetiche» decise il 6 marzo scorso, nel vertice Ulivo-Prc che diede l'avvio al disgelo, non sono mai state convocate. Non si tratta di un particolare irrilevante, dato che proprio quelle tre commissioni avrebbero dovuto verificare in concreto la possibilità di un'intesa programmatica. Ma lo slittamento, probabilmente, rivela proprio quanta importanza entrambi gli attori attribuiscano al confronto. Inutile, anzi dannoso, farlo partire prima del referendum, quando le divisioni inevitabilmente avrebbero la meglio sui tentativi di mediazione.

Se il confronto è ancora alle posizioni di partenza, almeno uno dei punti messi sul tavolo da Fausto Bertinotti è noto: il «salario sociale» per i disoccupati, magari in una delle versioni accettate anche dagli economisti liberal come Dahrendorf. Rutelli non aveva detto no, non aveva sprangato le porte. E proprio Rutelli, da quel 6 marzo alle elezioni di domenica scorsa, si era incaricato di gestire in prima persona i rapporti diplomatici con il Prc. Ma le urne hanno drasticamente ridimensionato il ruolo e il peso specifico dell'ex sindaco di Roma. Per Rifondazione è diventato dunque determinante puntare alla mediazione con il vero interlocutore numero uno, Romano Prodi. Gli elogi riservati da Bertinotti a Gasbarra «che apriva i suoi comizi sotto la bandiera della pace», non vanno intepretati, garantisce il capogruppo rifondatore Franco Giordano, come conferma del rapporto privilegiato con Rutelli. Segnalano invece l'interesse del Prc per quelle aree cattoliche che si sono distinte nell'opposizione alla guerra, e che anche in materia di politica sociale potrebbero trovare assai più facilmente di altri un punto di contatto con la sinistra radicale. Una linea che Bertinotti ha sostenuto anche nei colloqui con i leader dei Verdi, e che porta dritta al confronto con la principale testa di serie per la leadership dell'opposizione nel 2006, l'attuale presidente della commissine europea.

Proprio i Verdi, come e più del correntone, mirano a proporsi come cerniera fra il centrosinistra e le altre forze d'opposizione, il Prc e il gruppo di Antonio Di Pietro. Il banco di prova dovrebbero essere le elezioni in Val d'Aosta, dove le tre formazioni hanno dato vita a una «lista arcobaleno» sulla base della comune posizione nei referendum (l'ex pm di Mani pulite, assicura il portavoce dei Verdi Pecoraro Scanio, ha infatti cambiato idea sull'art.18, ed è passato dalla linea astensionista al sì). La lista arcobaleno ha ottime probabilità, secondo i pronostici, di raggiungere un buon risultato, oltrepassando il 10% e forse superando gli stessi Ds. I Verdi la considerano un'esperienza pilota e hanno già intavolato trattative con il Prc per estenderla. «Noi - dichiara Pecoraro Scanio - vogliamo rappresentare una cerniera. Pensiamo a un Ulivo che non sia più una gabbia, ma una formazione dai confini mobili. Non un Ulivo allargato, ma una nuova alleanza di programma». Obiettivo pienamente condiviso dallo stesso Bertinotti. Forse persino più indicativo del caso della Val d'Aosta è quello del Friuli, dove per la prima volta il Prc ha raggiunto l'accordo con il candidato alla presidenza della regione Illy, che pure ha nel suo programma il completamento della privatizzazione della Fincantieri.

Gli ostacoli, va da sé, non sono stati ancora superati. E se il primo è la difficile ricerca della mediazione sui programmi, il secondo è l'opposizione interna al Prc. Il leader della minoranza Ferrando promette «una campagna come mai l'opposizione ha fatto sinora», annuncia un appello «a tutto il partito, aldilà delle degli steccati congressuali». Subito dopo le elezioni la minoranza tenterà di bloccare i «comitati paritetici» Ulivo-Prc, e si dichiara pronta a chiedere la convocazione del congresso straordinario.

Bertinotti e i leader ulivisti «dialoganti» hanno però dalla loro parte il verdetto delle urne. I risultati dell'ultima tornata amministrativa certificano in sostanza l'impraticabilità elettorale di due ipotesi politiche a lungo dibattute negli ultimi due anni: la costruzione di un schieramento di «sinistra alternativa» capace di estendere il consenso oltre quello raccolto da Rifondazione comunista e l'idea di un Ulivo a due velocità guidato da un nocciolo duro composto dal tandem Ds-Margherita.

La scarsa capacità di penetrazione elettorale di un cartello di «sinistra alternativa» era già stata certificata nelle precedenti tornate elettorali. La buona tenuta del Prc nella corsa solitaria alle scorse politiche (5 per cento, pari a 1.868.659 voti), si colloca comunque ad anni luce di distanza dal grande successo politico dell'alleanza con l'Ulivo nel 1996 (8,6 per cento, pari a 3.213.748): un problema di «efficacia» del voto a Rifondazione - ritenuto tale solo se dentro un'alleanza di governo alternativa alle destre - che non è mai sfuggito ai vertici di via del Policlinico. E confermato anche nelle recenti amministrative. Talvolta a discapito della stesso volontà dei dirigenti del Prc: come a Brescia, dove l'alleanza è stata disdettata dall'Ulivo, ma dove il Prc paga ugualmente la corsa solitaria (calando al 3,2 per cento, rispetto al 3,7 delle recedenti comunali del '98 e al 5,1 del 2001; per non parlare dei voti assoluti ridotti a 3.008 dai 6.903 delle politiche).

Tuttavia anche l'idea di un motore a due cilindri - Ds e Margherita - del centrosinistra deve fare i conti con il responso del voto. La Quercia, infatti, cresce proprio in ragione della sua differenziazione rispetto al partito di Francesco Rutelli. Insieme ai Ds crescono anche i partiti minori (il Pdci in primis) più ancorati a sinistra: segno che su di loro si sono maggiormente depositati i flutti dell'onda lunga del 23 marzo 2002 e delle lotte per i diritti. Tanto da trasformare la maggioranza Ds, certo non sospettabile di radicalità, in un interlocutore privilegiato e non belligerante con Rifondazione comunista, anche nella prospettiva vicina del referendum.

ANDREA COLOMBO
COSIMO ROSSI

Fonte

  • fonte: Il Manifesto del 30 5 2003

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