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Unifil e Forze Armate, l’interesse dietro la patria

(7 Novembre 2009)

Il Capo dello Stato italiano Giorgio Napolitano è volato in Libano, nazione tuttora posta sotto tutela dalla politica statunitense in Medio Oriente, per parlare di militari, missioni come quella Unifil e commemorare la giornata delle nostre Forze Armate. Una visita dai molteplici risvolti che, pur nell’ufficialità dell’accoglienza da parte del Presidente Suleiman, poco ha coinvolto le forze politiche del Paese attanagliate da una crisi governativa lunga di cinque mesi. Il premier reincaricato Saad Hariri pare stia in queste ore trovando la quadratura del cerchio nel convincere gli alleati del suo Movimento per il Futuro (progressisti di Jumblatt, nazionalisti e falangisti) a concedere al CPL del generale Aoun i richiesti dicasteri “pesanti” di telecomunicazioni ed elettricità. Si tornerebbe alla sperimentata via dell’unità nazionale con un’intesa ad ampio spettro con l’opposizione, e verrebbero messe fuori gioco proposte unilaterali come quella del patriarca maronita Sfeir che spinge per un governo del solo “blocco 14 marzo”. Con l’economia resa claudicante dalla crisi mondiale che nell’ultimo anno ha fatto evaporare parecchi capitali occidentali e anche sauditi, col conseguente aggravio del tasso di disoccupazione e sottoccupazione che coinvolge fra il 20 e il 50% della popolazione, il Libano cerca normalità e identità nazionali proprie. Di questo si preoccupa, non certo della presenza delle forze Unifil.

Nel territorio libanese dal 1979 la multiforza dell’Onu ben poco ha potuto e fatto nelle lunghe fasi di guerra scatenate da Israele coi reiterati tentativi di annessione a sud e le successive ingerenze siriane a nord. Nel 2000 c’è stato il ritiro delle truppe dell’IDF, ma nel luglio 2006 il nuovo sanguinoso attacco deciso dal governo Olmert che ha prodotto 1.300 vittime, ha visto le truppe Unifil nel ruolo di spettatore passivo. Com’era già accaduto nel tragico e sanguinosissimio conflitto balcanico. Perciò con buona pace per i discorsi di rappresentanza del Presidente Napolitano bisognerebbe interrogarsi sull’effettiva utilità e sull’accresciuta autoreferenzialità di queste missioni nell’era in cui il ruolo delle Forze armate di tante nazioni europee è diventato un esercizio politico-mercantile. Prendiamo come esempio le truppe italiane visitate da Napolitano a Naqoura e Shama nel sud del Libano. Il loro impiego in loco giova alla macro politica estera che ha visto qualsiasi governo seduto a Palazzo Chigi accettare subalternamente le direttive Nato (nel 2006 quando la presenza dei nostri militari venne incrementata l’Esecutivo era diretto da Prodi). Giova alla trasversale lobby militare e alle forniture dell’apparato bellico in dicasteri diretti da Parisi o da La Russa i cui governi trovano modo, sempre e comunque, di dirottare fondi pubblici sulle missioni militari.

I conti furono fatti tempo addietro proprio attorno al contingente “libanese” che costava parecchio al popolo italiano. Quel popolo, che un attuale spot governativo mostra plaudente attorno ai soldati, forse non sa che gli stipendi dei 2.500 (300 ufficiali, 1.200 sottufficiali e il migliaio di soldati) caschi blu nostrani lì impiegati ammontavano a 24 milioni di euro mensili, 300 milioni annuali. A quelle cifre andavano aggiunti costi per logistica e materiali bellico che facevano salire la spesa annua a 450 milioni di euro. E oggi tutto avrà avuto un ulteriore ritocco verso l’alto. Probabilmente sorride il sottufficiale col grado di maresciallo che porta a casa 12.000 euro mensili (2.900 di stipendio base, oltre 9.000 di missione) riferimento stipendiale medio fra i meno costosi sergenti e soldati semplici e i più esosi capitani e colonnelli. Non possono sorridere gli italiani cui ogni Finanziaria, così benevola verso le missioni militari, taglia fondi per sanità, istruzione, trasporti pubblici, ferroviari per pendolari, assistenza sociale a madri, bambini, anziani, disabili, malati. Discutere se per il generale Graziano, ottimo comandante della multiforza, sia giunta l’ora di passare la mano a un suo collega spagnolo e se il ritardo nelle consegne crei attriti fra i due Stati, può essere solo la conferma di quanto interesse, non tanto di prestigio bensì di cassa, giri attorno a tali missioni Onu.

Il loro operato, militarmente inesistente, civilmente limitatissimo poco giova ai governi e alle popolazioni investite. Fra l’altro molte opere civili, sanitarie, sociali vengono egregiamente prestate da Ong e strutture umanitarie internazionali, in Libano e altrove. Che l’uniforme si ponga al servizio della pace è sicuramente un bene, che baratti come operazioni pacifiche palesi occupazioni o interessi soggettivi è un insulto alle bandiere che sventola.

4 novembre 2009

Enrico Campofreda

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