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Dignità operaia

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(Per un sindacato di classe)

Nell'Autunno Caldo del '69 le radici di chi ancora oggi tiene aperto il conflitto sociale

(10 Novembre 2009)

Sabato 7 novembre si è svolta a Roma una interessante giornata di discussione, analisi e testimonianze sull’Autunno Caldo del ’69.

L’iniziativa promossa dalla redazione di Contropiano, dai Cobas, dal collettivo Vis a Vis e dal Comitato di quartiere Alberone, da un lato ha avanzato l’ambizione di una rivendicazione collettiva della rottura politica e sociale verso il riformismo italiano operata dalle lotte operaie e sociali dell’Autunno Caldo, dall’altra ha voluto ricordare con questa giornata il contributo del compagno Marco Melotti recentemente scomparso che di quella rottura e di questa rivendicazione era profondamente convinto.

Alla giornata hanno portato il loro contributo storici e studiosi come Sergio Dalmasso, Giorgio Gattei, Riccardo Bellofiore, Enzo Modugno, i protagonisti nelle lotte studentesche ed operaie dell’epoca ((Franco Russo, Alfonso Natella, Amedeo Timperi, Gaetano Congi, Goffredo Martucci) e i compagni degli organismi che hanno promosso l’iniziativa (Fabio Ciabatti, Vincenzo Miliucci, Marco D’Ubaldo, Sergio Cararo).

Sul piano dell’analisi la discussione è oscillata spesso intorno a due dati: la necessaria contestualizzazione dell’Autunno Caldo (e per alcuni versi la sua irripetibilità sul piano della composizione di classe e delle condizioni storiche) e la stretta connessione tra la soggettività delle lotte operaie e la crisi capitalistica. Se è vero che la crisi nasce, matura ed esplode oggettivamente dentro il modo di produzione capitalistico, è anche vero che la soggettività messa in campo dal movimento operaio e sociale della fine degli anni Sessanta accentuò questa crisi costringendo il patto tra politica, borghesia e sindacati ufficiali ad una accelerazione dei processi di ristrutturazione produttiva e di normalizzazione condivisa della conflittualità operaia e sociale.

Il primo rischio ad essere stato evitato – anche nella parte delle testimonianze – è stato quello della retorica e della nostalgia. Sia i compagni operai che in quegli anni hanno rappresentato concretamente l’autonomia di classe che si andava esprimendo nelle fabbriche, nelle università e nei servizi, sia gli storici dei movimenti e dell’economia, hanno continuamente cercato – seppur con chiavi di analisi diverse – di riconnettere continuamente il filo rosso tra la stagione dell’Autunno Caldo e la sua onda lunga fino ai nostri giorni. “Per tutte queste ragioni pensiamo che una giornata di discussione e di confronto – che veda coinvolti militanti, studiosi e protagonisti di quella stagione – possa rivelarsi utile non solo per rivendicare un passato che è nostro ma anche per iniziare a costruire un presente che ci veda capaci di inserire le nostre battaglie rivendicative e sindacali in un orizzonte complessivo all’altezza delle sfide dei tempi, quell’altezza cui seppe innalzarsi la storia di chi osò chiedere tutto” è stato segnalato nella relazione introduttiva.

Un ragionamento sulla memoria storica dunque non fine a se stesso ma alla conoscenza e rivendicazione piena di una “cassetta degli attrezzi” fatta non solo di analisi e categorie corrette ma anche di movimenti reali capaci di incidere sul corso della storia. “Con l’«autunno caldo» prese forma l’«anomalia italiana»: l’anomalia, cioè, di un moderno paese industrializzato la cui classe operaia diceva basta alla propria posizione di subordinazione e sfruttamento e, al tempo stesso, rifiutava le lusinghe e le promesse di un presunto benessere generalizzato” è stato sottolineato in un altro passaggio della relazione introduttiva. “Il mito progressista e democratico del “benessere per tutti” vagheggiato durante il «miracolo economico» si era definitivamente infranto contro la disuguaglianza nella distribuzione di quel benessere, l’irrisolta pesantezza del lavoro operaio, l’autoritarismo che governava la vita nei luoghi di lavoro, il trauma delle migrazioni interne di centinaia di migliaia di persone”.

La ricostruzione e la conoscenza della nostra storia e delle nostre radici, è fortemente funzionale alla radicalità con cui ci si attiva dentro il conflitto sociale oggi. Non è casuale il tentativo pesante e sistematico di decostruzione e rimozione di queste pagine della storia recente, pagine in cui il capitale ha dovuto ammettere la sua “grande paura” di fronte al protagonismo di operai, studenti, lavoratori finanche di settori come giornalisti, medici, magistrati, psichiatri che mai avrebbero immaginato di condividere il loro percorso di emancipazione insieme a figure sociali distanti anni luce fino a qualche anno prima. Le lotte operaie dell’Autunno Caldo e la loro contaminazione con gli studenti prodotti dalla scolarizzazione di massa che rese accessibile scuola e università anche ai figli dei lavoratori, hanno creato il più grande processo autodidattico di massa che si è mai visto nel nostro paese. La grande paura del capitale, che lo costrinse ad avviare la pesante ristrutturazione degli anni ’70 e a fare i conti con la crisi del proprio sistema (una crisi irrisolta tutt'oggi), ha impiegato più di dieci anni per normalizzare la rottura sociale del biennio '68/'69, e non ha esitato a usare tutti i mezzi - dalle stragi di stato ai licenziamenti politici e di massa, dalle leggi speciali repressive alla cooptazione dei sindacati confederali nella linea della compatibilità - per stroncarne le avanguardie e depotenziarne le conquiste sociali.

Per dirla ancora con l’introduzione alla giornata di sabato “Il quarantennale dell’«autunno caldo» costituisce perciò un’occasione opportuna per tornare a quegli anni che, purtroppo, ci appaiono così distanti dai nostri tempi; un’occasione per riflettere su quell’esperienza senza nostalgia ma anche, al tempo stesso, senza volerla considerare un momento lontano e concluso, da studiare e dissezionare asetticamente. Riteniamo che oggi chi è ancora attore del conflitto sociale e non rinuncia alla sua indipendenza dalle compatibilità politiche, economiche e culturali imposte dal capitale, non possa che riconoscere le radici di gran parte della propria storia nell’autunno caldo del 1969”.

Nelle conclusioni è stata avanzata la proposta di raccogliere tutti gli interventi in una pubblicazione con supporto video dell’iniziativa per far si che possa essere socializzata il più possibile.

La situazione tra questo primo decennio del XXI° Secolo non consente paragoni con quella di quaranta anni fa sul piano della soggettività e del conflitto sociale, ma è anche vero che la crisi capitalistica che oggi si manifesta nella sua estensione è solo l’onda lunga della crisi irrisolta degli anni Settanta. Lo spazio vuoto è quindi quello della soggettività, un fattore questo in ritardo evidente sul piano della “politica” ma più avanzato su quello sociale, soprattutto alla luce dello sviluppo del sindacalismo di base e di classe che forse è l’eredità più ricca e meno sperperata dell’Autunno Caldo del ’69.

CONTROPIANO

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