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Immunità

(20 Novembre 2009)

La vicenda politica italiana sta nuovamente attraversando una fase di forte fibrillazione per le tensioni ingeneratesi tra una parte della maggioranza (quella più vicina al Presidente del Consiglio) e la Magistratura, dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale del cosiddetto "Lodo Alfano", e la proposta di presentazione di un ddl riguardante una altrettanto cosiddetta "prescrizione breve".

In questo quadro è riapparso il fantasma del pieno ripristino dell'immunità parlamentare, ridotta nella sua estensione per via referendaria nel momento culminante della "transizione italiana" dei primi anni'90, caratterizzata dall'implosione del sistema dei partiti "storici".

In gioco è la prevalenza tra i due poteri contendenti: il primato della giustizia o il primato della investitura popolare (non a caso si parla già di "Costituzione materiale", nel senso dell'elezione diretta del Premier poiché, sciaguratamente, è stato concesso di scrivere sulla scheda elettorale il nome del "presunto" capo della coalizione, nonostante che i meccanismi di designazione da parte del Presidente della Repubblica e della fiducia da erogarsi da parte di entrambi i rami del Parlamento siano rimasti inalterati).

Il tema è, come in tante altre occasioni della nostra vita pubblica, quello della corruzione, nel nostro caso un tipo particolare di corruzione non direttamente "politica" ma derivante (come nel caso del processo Mills) da quel "conflitto di interessi", che sovrasta come un macigno la realtà della politica italiana.

Il Presidente del Consiglio rivendica il fatto che, stante la sua investitura diretta, si sia creato nel tempo un consenso di massa attorno all'inviolabilità della sua figura, almeno nella fase pro-tempore dell'espletamento della carica.

Si tratta di un fatto relativamente nuovo perché collegato -appunto - alla copertura di un presunto reato di corruzione.

I reati di corruzione, infatti, hanno sempre rappresentato il tallone d'Achille dell'istituto dell'immunità.

L'immunità, vale la pena ricostruire un poco di storia, fa parte del patrimonio giuridico europeo - costituzionale fin dalla costituzione francese del 1791: e l'idea di un abuso proprio nella direzione dell'eccesso di immunità è sempre stato legato, contrariamente a quanto sta accadendo oggi in Italia, al deturpamento delle funzioni pubbliche attraverso l'esercizio della simonia.

Nel periodo risorgimentale la preoccupazione delle forze che sostenevano l'ancor fragile regime rappresentativo era di assicurare una posizione di intangibilità al gruppo politico al potere, ancora assediato dalle forze ostili.

Senza infingimenti Pasquale Stanislao Mancini dichiarò che il contrasto tra i sostenitori e detrattori delle immunità nascondeva il contrasto tra i sostenitori del regime rappresentativo e gli "esagerati fautori della preponderanza del potere esecutivo confidato al monarca ed ai suoi ministri".

Successivamente, però, a causa della giurisprudenza della Camera "che la più stretta immunità dell'ufficio ha tradotto spesse volte nella più ampia immunità della persona", l'immunità venne ad intrecciarsi così strettamente con la protezione del malaffare, che fu considerata "ripugnante" dai giuristi della "scuola democratica".

Sul volgere del secolo lo scontro sociale surrogò l'esaurirsi della spinta risorgimentale e le immunità trovarono una nuova legittimazione quando vennero applicate ai comportamenti tipici dell'attività politica di "massa", ma considerati reati: lo svolgimento di pubblici comizi in assenza di avviso all'autorità di PS, la induzione (mediante pubblico comizio) alla partecipazione di scioperi, qualificata come attentato alla libertà del lavoro; la promozione di pubbliche riunioni provocando "torbidi e disordini"; vilipendio alle istituzioni costituzionali dello Stato; incitamento alla disobbedienza alla legge, incitamento alla rivoluzione, ecc,ecc.

La protezione offerta all'opposizione antifascista cessò di avere ogni rilevanza dopo il 9 Novembre 1926, quando furono dichiarati decaduti i deputati che avevano partecipato alla secessione dell'Aventino.

In forza di questo ricordo, le immunità statutarie furono riprese nella Costituzione Repubblicana, senza particolari discussioni.

In seguito si sviluppò una giurisprudenza parlamentare che tendeva sistematicamente a negare l'autorizzazione a procedere, sulla base del carattere politico dei comportamenti incriminati e, quindi, per ciò solo, della loro riconducibilità alla garanzia costituzionale.

Questa giurisprudenza fu sostenuta da un numero di costituzionalisti assolutamente minoritario, che sottolineò che i comportamenti assistiti dalle immunità dovevano essere non tanto quelli strettamente connessi al lavoro delle Camere, ma innanzi tutto quelli con i quali i parlamentari esercitavano la leadership, compresa quella che si esprimeva nell'organizzazione dell'attività politica di massa.

Istituto cardine delle immunità veniva così ad essere l'autorizzazione a procedere, perché era questa la garanzia specificatamente "dedicata" all'attività extra-parlamentare e orientata ad impedire "che di una tale attività venisse data da parte di organi esterni al Parlamento una valutazione che si sarebbe tradotta in una invasione di potere nella sfera parlamentare" (Manzella).

A fronte di questo orientamento si sviluppò una linea contraria alle immunità in nome dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Linea che si rafforzò nel tempo, quanto più diminuivano i reati di schietta impronta politica e quanto più aumentavano i reati di "simonia".

Il momento iniziale della svolta va trovato nel corso della III legislatura (1958-1963), nello scandalo INGIC: scandalo che destò profonda impressione per il numero degli imputati e dei partiti coinvolti e per le motivazioni con le quali la Camera negò l'autorizzazione, considerando non perseguibile, e dunque legittimando, la corruzione se volta non ad arricchire personalmente il parlamentare, ma a finanziare l'attività del partito.

Un sintomo particolarmente evidente degli effetti che ebbe tale pronuncia può essere colto nella reazione di Costantino Mortati, che era stato relatore all'Assemblea Costituente nella discussione sull'articolo 68 e che ne aveva sostenuto la formulazione estensiva, che definì nel suo manuale "scandaloso e mostruoso" tale diniego, e si pronunciò per l'abolizione dell'inviolabilità.

Non è qui possibile tracciare la storia degli abusi parlamentari e delle successive tappe della corruzione politica in Italia ( accennando soltanto, sotto questo aspetto, al collegamento con il finanziamento pubblico dei partiti, adottato nel 1974, proprio per fronteggiare questo stato di cose, in presenza di uno scandalo particolarmente esteso come quello dei "petroli") e l'intreccio con le posizioni di quel costituzionalismo che, a lungo, si sforzò di sostenere l'utilità residuale dell'istituto; né seguire le vicende che portarono alla scomparsa dell'inviolabilità stessa.

Vale la pena ricordare, ancora, come le immunità svolgano una funzione protettiva,c eh è strumentale a garantire quella che potremmo chiamare una funzione "universalistica" della rappresentanza.

Le immunità valgono, cioè, ad assicurare la totale libertà del parlamento nella scelta dei comportamenti che realizzano la funzione rappresentativa: comportamenti che comprendono tutti quegli atti che, anche - o proprio perché - illeciti, sono giudicati dal parlamento stesso come carichi di un significato simbolico relativi agli sviluppi possibili dell'ordinamento, e che proprio in quanto tali sono "rappresentativi".

E' da questo punto di vista che il controllo del giudice diventa inammissibile.

Ci troviamo così al cuore delle vicende odierne.

Il Presidente del Consiglio ha sin qui presentato la sua posizione di imputato "ribelle" come una posizione propriamente rappresentativa.

Come una posizione che moltissimi cittadini comprendono e condividono, in cui si riconoscono e si vedono rappresentati (anche per via della lunghezza eccessiva nell'esercizio della giustizia penale e civile, che caratterizza la realtà italiana).

Ci troviamo, dunque, di fronte a una attività rappresentativa di nuova concezione della legalità, di un modo di intendere le funzioni politiche ed imprenditoriali diverso da quello codificato dall'attuale ordinamento.

Una concezione supportata da una forte maggioranza che richiede, proprio in quanto rappresentativa di un nuovo ordine, di essere tutelata nell'inviolabilità per potersi consolidare contro i residui del passato: l'intreccio con la proposta di presidenzialismo, di investitura diretta dal popolo, è fin troppo evidente.

Ci troviamo,quindi, al centro dello scontro sull'identità storica della Repubblica.

Savona, li 19 Novembre 2009

Franco Astengo

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