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La recessione taglia le pensioni, ma di quanto?

E' sottovalutato l'impatto della recessione in atto oggi sugli assegni di pensione di domani.

(18 Dicembre 2009)

Un danno collaterale dovuto alla strana ed arzigogolata maniera di rivalutare i contributi pensionistici dei lavoratori che l’Italia ha scelto di fare propria, comporterà ulteriori grossi sacrifici per i futuri pensionati che hanno già avuto la disgrazia di finire tra le grinfie della Riforma TruffalDini.

I contributi che i lavoratori versano allo Stato vengono infatti rivalutati, anno dopo anno, di una percentuale che la TruffalDini stessa prevede così: “Il tasso annuo di capitalizzazione e' dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, (PIL) nominale, appositamente calcolata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare”.

I contributi dei lavoratori vengono cioè rivalutati della media dei PIL nominali dei 5 anni precedenti. Ciò comporta, pur essendo prevista la esclusione di rivalutazioni negative, un effetto devastante sugli assegni di pensione in caso di decrescita del PIL, trattandosi di una media infatti il valore negativo si ripercuote per i 5 anni successivi alla crisi, tenendo comunque molto basse le percentuali di rivalutazione.

Gli effetti della recessione saranno inoltre differenti a seconda che il lavoratore sia più o meno vicino all’età della pensione, un lavoratore giovane ha infatti una somma di contributi accantonata ancora bassa e l’abbassamento della rivalutazione per il quinquennio successivo all’anno di crisi si ripercuoterà in misura minore rispetto a chi, più vicino alla pensione e con un montante contributivo accantonato più elevato, vedrà abbassarsi di molto la pensione attesa.

Come è ben chiaro a tutti il 2009 si chiuderà con una forte riduzione del PIL e con un tasso di inflazione molto basso, come impatterà il 2009 sulle pensioni, ovvero a quanto ammonterà il taglio delle pensioni derivanti dalla recessione?

Ipotizzando un lavoratore tipo che lavori 35 anni e vada in pensione a 65 anni di età con una carriera ‘piatta’ (ovvero percependo solo aumenti stipendiali pari alle variazioni Istat), ed una crescita costante del PIL nominale pari al 3 per cento annuo con un tasso di inflazione pari al 2 per cento annuo abbiamo inserito, nella carriera di questo lavoratore, un anno nero come il 2009 che si sta chiudendo, con un tasso d’inflazione all’1 per cento ed un PIL nominale che scende di circa il 3 per cento. La verifica è stata effettuata inserendo l’anno di crisi una volta all’inizio ed una volta alla fine della carriera del nostro soggetto proprio per verificare quanto ampia possa essere la differenza d’impatto a seconda dell’età del lavoratore. Ovviamente sono stati utilizzati i nuovi coefficienti di conversione che, in un misterioso silenzio, entreranno in vigore il prossimo 1° gennaio.

L’impatto risultante sull’importo delle pensioni sembrerebbe essere decisamente sottovalutato, in particolare dalle organizzazioni sindacali, in quanto incontrare in carriera un singolo anno come il 2009 può portare a riduzioni del rapporto tra l’importo dell’ultimo stipendio e quello della prima pensione che vanno dall’1,5 per cento, per chi l’incontrasse all’inizio di carriera, fino al 9 per cento per chi avesse la sfortuna di imbattersi in un anno di recessione verso la fine della propria attività lavorativa.

Anche la esposizione degli assegni di pensione agli umori dei mercati mondiale costituisce uno degli elementi che dovrebbero spingere verso un ripensamento generale del sistema pensionistico italiano, riportandolo verso lidi in cui parole come futuro e certezze possono ancora avere un senso.

http://amerigo-rivieccio.blog.kataweb.it/2009/12/18/la-recessione-taglia-le-pensioni-ma-di-quanto/

Amerigo Rivieccio

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