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Elezioni nel Paese Basco. 150.000 voti “fantasma”

(9 Giugno 2003)

Delle amministrative del 25 maggio si parlerà ancora. Non per la presunta vittoria dei regionalisti della coalizione PNV-EA al governo della Comunità Autonoma, i cui voti in realtà sono stati inferiori rispetto alle precedenti elezioni. Per il Partido Popular è andata anche peggio, perché in due anni un terzo dei suoi elettori sono evaporati. Il Partito Socialista di Euskadi, mantenendo i suoi voti ha aumentato il suo peso relativo a causa del maggiore tasso di astensionismo.

L’apparente terremoto nel Parlamento regionale deriva dal fatto che la messa fuori legge della cosiddetta Sinistra Patriottica ha concesso agli altri partiti la possibilità di spartirsene i seggi. Ad approfittarne è stato soprattutto il patto PNV-EA che ottiene la maggioranza assoluta nelle giunte provinciali di Bizkaia e Gipuzkoa. Ma non c’è stata la “marea umana” che il “lehendakari” Ibarretxe chiedeva a sostegno del suo fumoso “Piano di associazione con la Spagna”. Aralar, propostosi come l’alternativa socialdemocratica e pacifista a Batasuna, raccoglie pochi voti e concentrati nella pragmatica Navarra.

Solo Esker Batua, sezione locale della Sinistra Unita, cresce intercettando una parte dell’elettorato di Batasuna che, privato del diritto a votare liberamente, ha scelto l’opzione più a sinistra tra quelle permesse.


La vera rivoluzione di questa giornata elettorale è stata l’espulsione di 150.000 cittadini baschi dal sistema politico. Il Premier Aznar e il supergiudice Garzòn sono riusciti a ottenere che nei consigli provinciali, nel Parlamento Forale Navarro e nella maggioranza dei consigli comunali la sinistra indipendentista basca non possa più contare su alcuna rappresentanza. Ciò costituisce sicuramente un durissimo colpo per Batasuna, oltre che per la democrazia. Ma i 150.000 voti comunque ottenuti dalle liste escluse dalla competizione costituiscono un messaggio chiaro al Governo di Madrid.

Nonostante la sistematica persecuzione – la destra come negli anni ’30 ha denunciato la “congiura rosso-separatista” - e l’appello al “voto utile” lanciato dai regionalisti, l’opzione politica messa fuori legge ha raggiunto comunque l’11%, confermando i dati del 2001, quando però era legale.

Se questi voti avessero concorso alla ripartizione dei seggi, nei Municipi l’erede di Batasuna avrebbe ottenuto 580 eletti e 30 sindaci, configurandosi come seconda forza regionale. Pur soppressa dai tribunali, la sinistra indipendentista è giunta in testa in numerosi centri, così come in alcune località nelle quali le Piattaforme Popolari hanno potuto concorrere in condizioni di legalità.

L’esclusione dalle elezioni delle liste della sinistra basca sancisce un vero e proprio regime di “Apartheid politico”, nel quale un’opzione politica di massa viene eliminata dal panorama legale attraverso un’azione coordinata tra potere giudiziario ed esecutivo. La divisione dei poteri e il principio democratico “una testa un voto” non valgono per una parte consistente della popolazione basca.

La famigerata Legge dei Partiti, varata ad hoc durante l’estate, esclude da ogni partecipazione politica attiva tutti coloro che sono stati eletti, candidati o anche solo dirigenti dei diversi partiti della sinistra baschista. Tale provvedimento non solo impone lo scioglimento di Batasuna, ma genera la criminalizzazione di tutti coloro che hanno militato in partiti all’epoca legali. Questo assurdo effetto retroattivo ha portato all’incriminazione di 22 persone che hanno ricoperto incarichi in Herri Batasuna o in Euskal Herritarrok dal 1977 al 2001. Molti di questi non sono più militanti politici attivi, ma ciò non impedisce che ad esempio l’intellettuale marxista J. A. Egido rischi 12 anni di prigione.

Il teorema è semplice quanto brutale: qualunque organizzazione sociale, politica e culturale condivida i programmi e l’ideologia della sinistra indipendentista è da ritenersi una copertura o prolungamento del terrorismo. In nome dell’equazione “oppositore=terrorista” tanto cara a George W. Bush, il nazionalismo spagnolo ha chiuso sedi politiche, culturali e mezzi d’informazione (come il quotidiano Egunkaria, il cui direttore ha denunciato di aver subito tortura); messo fuori legge gruppi giovanili, femminili e l’associazione dei parenti dei prigionieri politici (720, più che durante il franchismo).

Se nel resto dello Stato la responsabilità penale è individuale, nel Paese Basco essa diventa collettiva. Quando il Tribunale Costituzionale ha rilevato la presenza di individui inabilitati nelle liste presentate dal movimento di liberazione, avrebbe potuto escludere le singole candidature; ma, in base a una logica più politica che giuridica, ha escluso ben 225 piattaforme popolari sulle 241 presentate nei comuni, così come le liste provinciali di AuB (Assemblee per l’Autodeterminazione), privando tutta la popolazione del diritto di scegliere liberamente i propri amministratori.

Il nazionalismo di sinistra, che storicamente ha concepito l’azione politica come la combinazione della mobilitazione sociale e dell’iniziativa istituzionale, rimane fuori dagli enti locali, ma conferma intatta la sua forza che certamente cercherà di utilizzare per far pressione sui partiti regionalisti e sulla sinistra moderata. Il dopo-voto dipende dalla capacità di Batasuna di imporre la propria presenza nelle istituzioni aggirando il divieto giudiziario attraverso commissioni consiliari aperte, comitati di gestione unitari, governi locali ombra composti sulla base dei voti espressi e non di quelli validi.

I nuovi sindaci eletti in virtù dell’esclusione di AuB, sanno che la loro legittimità è discutibile, dato che non rappresentano la volontà degli elettori e che la maggioranza dell’opinione pubblica basca, al di là delle opzioni ideologiche, è contraria all’esclusione della sinistra abertzale dalla scena politica. Anche perché il rischio, tragico quanto concreto, è che la massa sociale “illegalizzata” adotti metodi di lotta corrispondenti alla clandestinità alla quale è relegata.

di Marco Santopadre

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