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Arrivano gli aiuti. Rotto l'infame assedio di Gaza

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(7 Gennaio 2010) Enzo Apicella

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(Gaza Freedom March)

Gaza, la repressione parla anche egiziano

(7 Gennaio 2010)

Finisce con un morto, un poliziotto egiziano, la concitata protesta attuata al valico di Rafah dove le forze di sicurezza locali impedivano il transito d’una parte della carovana di 200 camion organizzata da “Viva Palestina”. L’organismo internazionale è sostenuto dall’ex deputato laburista scozzese George Galloway che in Medio Oriente s’era già battuto a favore della difesa del Libano da parte di Hezbollah contro l’invasione israeliana. La delegazione costituiva una seconda componente che insieme ai militanti della Gaza Freedom March portava solidarietà e aiuti al popolo della Striscia a un anno esatto dal criminale massacro compiuto da Israele. Già il numeroso gruppo della marcia per Gaza, composto da 1.400 attivisti di quarantatre paesi, era stato bloccato nei giorni scorsi al Cairo e con minacce e arresti impossibilitato ad avvicinarsi al valico di Rafah. Per parte loro i convogli di “Viva Palestina” in buon numero imbarcati avevano subìto deviazioni nell’attracco avvenuto infine nel porto siriano di Lattakia anziché in quello egiziano di Al Arish.

Martedì 5 gennaio c’è stato l’ultimo affronto dei responsabili egiziani del valico che consentivano il passaggio di 139 camion deviandone 59 verso il confine controllato da Israele. Una manovra, probabilmente concordata con Tsahal che avrebbe sicuramente proibito il transito d’ogni aiuto, volta a esasperare gli animi. Sia quelli dei militanti internazionalisti in viaggio da un mese, molti dei quali dovevano rientrare al lavoro dopo un lungo periodo di ferie dedicate a quest’opera solidale. Sia quelli degli abitanti della Striscia ridotti agli stenti dalla cinica politica di Netanyahu cui il compiacente e servile Mubarak presta il fianco. Così le centinaia di manifestanti palestinesi che accoglievano con calore i Tir pieni di generi alimentari e di conforto hanno protestato a gran voce e poi lanciando pietre verso i cordoni della polizia egiziana che impediva all’intera colonna di transitare per Rafah. Ne nascevano cariche e scontri violentissimi durante i quali la polizia e i palestinesi hanno sparato. Ne è rimasto vittima un agente di ventuno anni.

Sia Hamas, che aveva guidato la protesta, sia un rappresentante del governo egiziano hanno rilasciato dichiarazioni dure e contrapposte. Fawzi Barhoum per la forza islamica che controlla la Striscia ha sottolineato come ”L’atteggiamento egiziano rafforza l’assedio di Gaza. Dall’Egitto ci aspettiamo ben altri comportamenti che ora vengono infranti dai colpi di manganello e d’arma da fuoco. Tutto ciò è disumano e immorale”. Da parte governativa un rappresentante del Partito Nazionale Democratico è stato perentorio: "L'Egitto non può essere schiaffeggiato da tutti. Se abbiamo una responsabilità storica verso i palestinesi non vuol dire che chiunque possa torcerci il braccio”. La situazione resta tesa, soprattutto per gli sviluppi futuri della vita nella Striscia. Israele prosegue nella sferzante via del logoramento di quella prigione a cielo aperto che è Gaza dove anche i generi di primo soccorso degli ospedali vengono centellinati e dove centinaia di migliaia di sfollati vivono da un anno sotto tende e alloggi di fortuna.

La sbandierata ripresa di colloqui fra le parti è un fiore che Obama non riesce a infilare nel suo occhiello. Nessuno, soprattutto a Gerusalemme lo segue e l’ascolta. I viaggi delle sue braccia esecutive, la Clinton e Mitchell, non hanno prodotto risultati e negli ultimi tempi l’attenzione è rivolta al Grande Medio Oriente che va dall’Iran allo Yemen, lasciando fare all’alleato israeliano il suo comodo in tutti i Territori Occupati. Mentre gli atteggiamenti politici di altri Stati amici quali l’Egitto virano sempre più su azioni repressive come quelle di ieri, la realizzazione del famigerato Muro sotterraneo da collocare sul confine di Rafah, per tacere degli ammazzamenti di copti avvenuti a fine anno. Il camaleonte Abu Mazen che aveva promesso un’uscita di scena tiene in sourplasse la questione delle elezioni - presidenziali e politiche - impedendo un rinnovo di cariche scadute da un anno e l’eventuale spiraglio di novità attorno a una rappresentanza unitaria dei palestinesi. A lui e alla sua fazione continuare a parlare a nome di un’esautorata Anp fa gioco, come è utile per Israele tenere in stallo l’intero panorama, compresa la vicenda dei prigionieri eccellenti: il suo Shalit e i mille nemici, fra combattenti e leader alla Barghouti, di cui un mese fa si dava per certo lo scambio. Tuttora allo stremo resta il milione e mezzo di gazesi.

7 gennaio 2009

Enrico Campofreda

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