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(10 Gennaio 2010) Enzo Apicella
Dopo la rivolta degli schiavi di Rosarno

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Rosarno: gli "schiavi" ci insegnano a rialzare la testa

Siamo con i braccianti di Rosarno e Gioia Tauro, per l’unità di tutti gli sfruttati, contro le divisioni etniche e razziste, contro il padronato mafioso e legale.

(9 Gennaio 2010)

I fatti di Rosarno aprono un 2010 che sarà di “lacrime e sangue” per i proletari italiani e immigrati. Da un lato c’è l’orgoglio e la dignità di chi ha osato alzare la testa, dall’altro la meschinità e la vigliaccheria di chi si adagia sull’ideologia borghese e preferisce vedere nel più debole la causa dei suoi problemi.
Noi siamo per la lotta di classe e l’unità di tutti i proletari, per costruire la prospettiva del superamento di questa società, un anticapitalismo proletario e internazionalista.

Il 2010 si apre con la significativa rivolta dei braccianti della piana di Gioia Tauro: in migliaia in maggioranza africani, pagati 20 euro per 10-14 ore di raccolta — la forza-lavoro che rende possibile la produzione di frutta e ortaggi made in italy — .

Questi braccianti sono costretti a vivere in condizioni che gli stessi media borghesi definiscono “sub-umane”: tendopoli e baracche, senza acqua, fognature, né servizi igienici, sottoposti al caporalato, senza alcuna garanzia, senza contratto, spesso clandestini — quindi ancora più sfruttati e ricattabili.

Questi braccianti sfruttati in maniera brutale, subiscono quotidianamente il razzismo strisciante dell’italiano medio: quell’atteggiamento piccolo-borghese che coniugala pavida difesa della proprietà privata con una mentalità caritatevole che nei fatti legittima la superiorità di chi la esercita e pretende riconoscenza, silenzio e sottomissione in chi la riceve.

Questi braccianti sono sottoposti infine alle vessazioni della mafia che gestisce sia i flussi migratori che il lavoro nero, all’arroganza dei caporali, allo scherno dei cittadini “rispettabili”, alle aggressioni dei fascistelli o arroganti di turno che arrivano anche all’omicidio, senza che nessuno venga mai incriminato. Hanno sopportato tutto questo per anni, sempre in silenzio, sempre lavorando, ma…

Questi braccianti non ce l’hanno fatta più, e sono insorti.

Nel pomeriggio di giovedì 7 gennaio due di loro sono stati impallinati. Non che fosse stata la prima volta, ma questo ennesimo atto di umiliazione nei confronti di chi non solo è costretto ad essere sfruttato in condizioni-limite, ma viene anche quotidianamente vessato senza poter mai reagire, ha, evidentemente, oltrepassato il limite della umana sopportazione.

In precedenti episodi simili i braccianti immigrati avevano provato a rivolgersi alle forze dell’ordine, a fare manifestazione silenziose, ma non era servito a nulla, nessun intervento si era realizzato.

Come sempre accade quando si oltrepassa il segno, giovedì sera la notizia si è diffusa in un attimo in tutta la Piana di Gioia Tauro, centinaia di braccianti-immigrati sono confluiti a Rosarno, è iniziata la rivolta: hanno rovesciato la loro rabbia sulla cittadina che fino a quel momento era stata silente testimone della violenza perpetrata nei loro confronti, che — una parte, almeno — si ostinava a proteggere chi riteneva giusto e normale usare loro violenza.

Hanno abbandonato il posto di lavoro, attraversato la città, chiesto alla questura di essere protetti, hanno bloccato le strade, si sono dovuti difendere dagli attacchi delle forze dell’ordine ed hanno contrattaccato. Hanno manifestato con forza e dignità, ma anche con la disperazione di chi è lasciato solo, privo del suo alleato naturale — il proletariato italiano ancora inerte — privo di una guida politica capace di dirigere la loro rabbia nella direzione della lotta di classe e della rivoluzione sociale.

E’ facile scandalizzarsi per l’aggressività che i braccianti di Rosarno hanno espresso, indignarsi per delle macchine bruciate o altro, ma è un falso argomento: sono stati portati a tali atti dall’esasperazione perchè lasciati soli dalla popolazione. La loro disperazione esprime la rabbia contro chi, tra lo schiavo preso a fucilate e il sadico che impugna il fucile, si schiera senza dubbio dalla parte del secondo, invece di tessere quella solidarietà di lotta che unica può migliorare le condizioni dei proletari (italiani e immigrati). Sarebbe stato sufficiente che i “cittadini”, invece di lavarsi la coscienza facendo la carità, avessero intrapreso il percorso della lotta comune… e le violenze di questi giorni non si sarebbero verificate.

La popolazione locale, invece, ha prima osservato attonita la rabbia degli schiavi che osavano ribellarsi, poi il sentimento della piccola borghesia razzista e proprietaria ha prevalso: tutto andava bene fino a che i “negri” lavoravano e vivevano come bestie per arricchire i mafiosi e garantire benessere a una parte della cittadinanza (ma non è forse questa la vera violenza?), ma che lo schiavo si ribelli è un affronto che nessun bravo cittadino borghese potrà accettare mai. Ed ecco il “popolo” alzarsi al grido di: “aiutateci, cacciate via questi barbari che turbano i nostri sonni”.

Ragazzi e famiglie proletarie che vivono anche loro di lavoro nero, sfruttati, sono ancora schiavi dell’ideologia borghese: invece di fare la guerra ai padroni legali e mafiosi, rivolgono il loro odio verso gli ultimi che, al contrario, hanno l’ardire di alzare la testa.

Compagni e compagne!

I fatti di Rosarno aprono un 2010 che sarà di “lacrime e sangue” per i proletari italiani e immigrati. Da un lato c’è l’orgoglio e la dignità di chi ha osato alzare la testa, dall’altro la meschinità e la vigliaccheria di chi si adagia sull’ideologia borghese e preferisce vedere nel più debole la causa dei suoi problemi.

Noi siamo per la lotta di classe e l’unità di tutti i proletari, per costruire la prospettiva del superamento di questa società, un anticapitalismo proletario e internazionalista.

Tu che fai?

Partito comunista internazionalista - battaglia comunista

Fonte

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