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(10 Gennaio 2010) Enzo Apicella
Dopo la rivolta degli schiavi di Rosarno

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(9 Gennaio 2010)

la protesta di rosarno

L’inferno è quello che vivono i Mohammed e i Bakari ogni giorno, da anni. Ovunque poggino le loro membra, che gli italiani d’oggi chiamano negre. Sono tutti negri sia se vengono dal Maghreb, dalla Liberia magari pure dall’Afghanistan e la pelle ce l’hanno come gli europei. In nome del popolo italiano sono extracomunitari che significa senza diritti, ancora meno degli schiavi. Dormono nei sottoscala di San Salvario, Torino, in contorte scatole di squallore nella periferia romana, in mucchi di plastica affittati nel casertano, in Puglia, in Calabria dalla locale malavita. Gli chiedono il pizzo pure per quel posto da cani. Solamente l’italiano che gira all’alba può incontrarli prima che il caporale gli dia lavoro sui campi o in un cantiere abusivo. Venti euro al giorno e silenzio. Mai parlare, mai lamentarsi. E’ il caporalato mafiosetto che decennio dopo decennio si rinnova e sta nelle piazze rurali dell’Italia bella solo per i turisti, nei luoghi dove prima e dopo la guerra passava il mercato delle braccia nostrane.

L’Italia è cresciuta con generazioni di sfruttati e migranti. Si ritrova coi nipoti che non sanno, non vogliono sapere né imparano nulla da chi ha azzerato informazione e cultura. Sono i giovani che a Rosarno con eloquio stentato appena più vicino all’italiano della lingua dei padri dicono “Il compare che ha sparato al negro che pisciava per strada ha fatto bene. I negri se ne devono andare”. Lo dicono senza pudore davanti alle telecamere, come fa un ministro della Lega che predica razzismo e fa proseliti anche nel profondo Sud. L’egoismo è un valore e la violenza richiamata è uguale all’aria che le ndrine fanno respirare da decenni. L’altra politica a destra, a sinistra, e nella sinistra più a sinistra che dovrebbe saper dire e fare, balla valzerini di circostanza contro la violenza che si vede, quella dei neri diventata rabbia che brucia e tracima. Auto rovesciate e arse, vetri rotti e botte anche alle donne trovate per strada. Incolpevoli loro, ma nella testa della furia migrante, mogli di chi gli aveva sparato addosso seppure col fucile ad aria compressa.

Chiamiamo barbarie una fiammata eppure si son visti pali divelti non machete mentre sui corpi quei braccianti neri avevano profondi buchi. L’esasperazione è immensa, l’odio che seminatori nostrani diffondono insieme allo sfruttamento è una bomba a orologeria destinata a esplodere. Farsi scudo con la marginalità patria infarcita di demagogica ignoranza e scatenarla contro i nuovi schiavi che la sostituiscono nello sputare sangue per lavori mal pagati, incendia un percorso già esplosivo. Guardare altrove alla stregua dei benpensanti è sciocco e complice. Cercare di minimizzare come l’ignava sinistra priva d’ideali è da anni perdente. Solo fare i conti col neorazzismo italico – quello che legifera norme xenofobe definendole “pacchetto sicurezza”, che vuol discriminare non solo il negro di Rosarno, carne da macello, ma lo stesso figlio dell’immigrato a norma limitandone l’accesso all’istruzione per conservare l’italianità – potrà arginare questa deriva. Altrimenti le piccole Soweto create dal nostro apartheid ci travolgeranno.

9 gennaio 2010

Enrico Campofreda

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