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(11 Gennaio 2010)
La ricostruzione cronachistica dei fatti di Rosarno è oggi nota a tutti. Da questo episodio scaturiscono almeno quattro riflessioni:
1) Esistono in Calabria condizioni di sfruttamento della mano d’opera bracciantile extracomunitaria incompatibili con la permanenza dentro i confini dello stato di diritto. Ad essere fuori da questa cornice non sono però, come crede qualcuno, soltanto i protagonisti della vicenda in atto, cioè le vittime dello sfruttamento e i loro carnefici, ma l’intera porzione di territorio nazionale che trasforma in denaro per gli occidentali lo sfruttamento degli immigrati extracomunitari. Mai come in questo momento diviene chiaro il legame tra la rottura del “diritto” e la crisi dei “diritti”.
2) Il ripristino della “legalità” non consiste nell’allontanamento degli immigrati africani o nella loro espulsione, ma nella critica politica e sociale della pratica del loro sfruttamento e nella conseguente abolizione dello stesso attraverso gli strumenti della legalità repubblicana. La condizione originaria di ogni conflitto e di ogni illegalità è nella riduzione in schiavitù di esseri umani nella Calabria del XXI secolo, non nella loro ribellione.
3) Le responsabilità della situazione determinatasi riposano sugli apparati dello stato preposti alla tutela della legalità, sugli apparati di governo degli enti locali. L’impegno di alcuni sindaci, come quelli di Badolato, Riace e Caulonia, proprio sui temi dell’accoglienza, ha mostrato che le amministrazioni locali possono intervenire su queste pratiche e generare forme di imprenditoria etica e solidale, non imperniate sulla massimizzazione del profitto.
4) Nello svolgimento del conflitto odierno, come anche nella pratica dello sfruttamento della manodopera africana, appare chiaro un ruolo di coordinamento da parte della criminalità organizzata, messa sotto accusa, circa un anno fa, proprio dalla comunità africana di Rosarno. In quella circostanza, tuttavia, la protesta degli immigrati raccolse la solidarietà di gran parte della cittadinanza.
Non è peregrino, ma sicuramente degno di nota, che a molti in questi giorni sia venuto in mente il precedente dell’olocausto e dei lager nazisti (Adriano Sofri sulla Repubblica e Barbara Spinelli sulla Stampa citano entrambi Primo Levi). La condizione di servitù e di annullamento di ogni dignità umana su cui si regge la produzione di ricchezza di gran parte del capitalismo occidentale è la scatola grande che contiene la piccola scatola di Rosarno, dei suoi immigrati e della vergognosa caccia all’uomo di colore. La questione del lavoro e della sua dignità torna ad essere una questione vitale per la tutela della democrazia di tutto il mondo occidentale e del nostro paese.
Raffaele Perrelli (Un. Calabria), Vito Teti (Un. Calabria), Francesco Garritano (Un. Calabria), Fulvio Librandi (Un. Calabria), Mario Alcaro (Un. Calabria), Amelia Paparazzo (Un. Calabria), Giuseppe Pierino (già Dep. P.C.I.), Peppino Lavorato (ex Sindaco di Rosarno), Silvio Gambino (Un. Calabria), Guerino D’Ignazio (Un. Calabria), L.M. Lombardi Satriani (Un. Roma), Domenico Rizzuti (C.G.I.L.), Tonino Perna (Un. Messina), Guido Liguori (Un. Calabria), Franco Altimari (Un. Calabria), Giuseppe Roma (Un. Calabria), Piero Bevilacqua (Un. Roma), Paolo Sorcinelli (Università di Bologna)
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