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(14 Gennaio 2010)
Di fronte ai fatti di grave conflitto sociale che ancora una volta hanno sconvolto in questo periodo il tessuto sociale della cittadina calabrese di Rosarno e ferito il comune sentimento di umanità di gran parte della popolazione italiana migrante e nativa, desideriamo esprimere la nostra vicinanza e il nostro appoggio morale ai fratelli lavoratori agricoli protagonisti di una protesta tanto dura quanto comprensibile. Fin dagli anni ‘90 la sopravvivenza dell’agricoltura della zona è stata garantita dal lavoro di migliaia di migranti, soprattutto africani, che hanno accettato condizioni di sopravvivenza e di lavoro equivalenti ad una vera forma di riduzione in schiavitù. Di tali condizioni disumane tutti erano a conoscenza, sia gli abitanti sia le autorità amministrative. Ma nulla è stato fatto in questi vent’anni, né per garantire la tutela del lavoro, né per consentire alle migliaia di braccianti impegnati nei duri lavori agricoli di potersi proteggere e riposare in abitazioni degne di questo nome. Oggi le parole del ministro Maroni che lancia accuse di “eccessiva tolleranza verso i clandestini” vogliono trasformare le vittime in responsabili del degrado e dello sfruttamento, qualificando ancora una volta con la dispregiativa etichetta di “clandestini” i lavoratori regolari e irregolari, tutti comunque da considerarsi pericolosi e criminali. Ma se c’è qualcuno in questa vicenda immorale che è stato troppo tollerante, questi sono stati proprio i migranti di Rosarno, che per anni hanno “tollerato” di lavorare 18 ore al giorno per 20/25 euro, pagando tangenti ai caporali della ‘ndrangheta, accontentandosi di ricoveri di fortuna in condizioni igieniche spaventose. Nonostante la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo siano stati aboliti oltre 100 anni fa, c’è ancora chi considera “normale” un trattamento del genere nei confronti di chi viene in Italia per lavorare e costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia.
C’è un grave problema di riconoscimento della dignità umana in Italia nei confronti dei migranti e di esigibilità dei loro diritti riconosciuti universalmente. Per questo riteniamo che, nonostante i richiami di civiltà espressi da alte personalità dello Stato e della Chiesa cattolica anche recentemente, le reazioni della società civile a questi sintomi di grave degrado della convivenza siano ancora insufficienti. Esigiamo dallo Stato e dai suoi rappresentanti il riconoscimento concreto, nei confronti dei migranti, dei diritti umani universali e la pratica del rispetto reciproco.
Facciamo appello a tutti i migranti, alle loro associazioni, a quelle di tutti i cittadini che credono nel valore e nella pratica della coesione sociale e dell’uguaglianza di ogni essere umano di fronte ai diritti universali affinchè ci sia un’assunzione di responsabilità morale e organizzativa di fronte al pericolo di incremento della conflittualità tra le diverse componenti della nostra società che, ribadiamo, è già multietnica. È necessario che ciascuno si attivi, nelle forme e nei tempi che ritiene adeguati e possibili, per un rilancio del protagonismo e delle risorse associative e partecipative, attivando modalità legali e legittime di rigetto di ciò che si sta prefigurando come una vera e propria “via italiana” all’apartheid.
09/01/2010
Rete Migranti Vicenza
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