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Maroni il cattivo, avvocato del capitale

(13 Gennaio 2010)

Alcuni personaggi passano alla storia con un nomignolo, come accadde ai normanni Guglielmo I il Malo e Guglielmo II il Buono. Qui non si tratta di storia, ma di cronaca. Maroni, l’appellativo di cattivo se l’è dato da solo: “Per contrastare l’immigrazione clandestina, non bisogna essere buonisti, ma cattivi, determinati”.

Non siamo certo noi marxisti a vedere le personalità come protagoniste della storia. I veri fattori determinanti vanno cercati in reti di interessi, che noi ci ostiniamo a chiamare classi, mentre altri cercano definizioni più ristrette, come lobby, gruppi di pressione, associazioni padronali, ecc, cogliendo così i problemi in singoli aspetti, e non nella loro complessità. Una visione classista può dare un quadro generale da cui partire, ma per un ulteriore approfondimento ci vuole uno studio sistematico delle situazioni concrete, che per ora non si è ancora sviluppato. Ogni militante deve appartarvi il suo contributo.

Cosa rappresenta Maroni? E’ uno dei tanti avvocati del capitale, che difende il cliente – padrone, anche quando sa che questi ha torto. Deve assumere certe pose da restauratore dell’ordine, da tutore delle italiche o padane tradizioni contro la contaminazione dello stato multietnico. Questo per i voti e per dare un contentino a tutti i filistei, siano essi leghisti, berluscones o democristiani (pardon, PD). Recita bene la parte, ma forse davanti allo specchio gli viene da ridere. Non è Gasparri! Ed è assai più pericoloso. Il suo vero compito è un altro: eliminare ogni ostacolo che si presenti sulla via del capitale, impedire la saldatura delle lotte tra i lavoratori stranieri e quelli italiani, soffiando sul clima di tensioni che inevitabilmente sorge dalle situazioni di disoccupazione degli uni e di sfruttamento bestiale degli altri.

Ci sono illusi che sognano un flusso di lavoratori immigrati ben organizzato, con i documenti in ordine, in numero commisurato alle esigenze reali, senza fare concorrenza ai lavoratori autoctoni.

Impossibile! Il capitalismo è fondamentalmente anarchico. Chi non ha assimilato a pieno il marxismo può anche citare Engels, per cui, nel capitalismo sviluppato, c’è un parziale riconoscimento del carattere sociale delle forze produttive, o Lenin, che parla delle grandi capacità organizzative dell’imperialismo. Ma tutto ciò è a esclusivo vantaggio di fasce ristrette.

Inoltre Engels scrive: “La necessità che i mezzi di produzione e di sussistenza assumano il carattere di capitale si erge come uno spettro tra essi e gli operai. Essa solo impedisce il contatto tra le leve reali e le leve personali della produzione: essa sola proibisce ai mezzi di produzione di funzionare e agli operai di lavorare e di vivere”.(1) E Lenin parla di fame genialmente organizzata dall’imperialismo. Traduciamo in termini più vicini a noi. A Rosarno c’è l’esigenza di raccogliere i mandarini. Il capitale non compie un’azione perché è socialmente utile, ma per garantirsi un profitto. Se utilizza manodopera locale, non può scendere al di sotto di un livello minimo di salario, perché trova un limite nelle comuni condizioni di vita della popolazione locale. Sceglie dunque lavoratori ricattabili perché stranieri, costretti a vivere senza casa, senza un letto decente, a lavorare oltre ogni limite fissato ufficialmente dallo stato italiano e dall’Unione europea per un salario di fame. Se si ribellano, sono loro gli incivili, i violenti. Il capitale preferisce cacciarli, scatenando una guerra tra poveri, e, utilizzando anche le provocazioni di giovinastri armati, provocare la perdita di parte del raccolto, pur di non rinunciare alla sua incontrastata egemonia su bianchi e neri. E l’avvocato del capitale Maroni, con chi se la prende? Con chi ha turbato l’andamento dell’osceno sfruttamento, contro coloro che hanno dimostrato di essere uomini, e non macchine usa e getta.

Il flusso dell’emigrazione varia, perché i lavoratori devono seguire il capitale. Lo stato si assume l’onere di regolare questa corrente, ma la sua logica non è indipendente. Quando c’è urgente bisogno di manodopera, i burocrati chiudono entrambi gli occhi su ogni formalità, e il flusso si accentua. Quando il mercato è saturo, allora l’immigrato è considerato un peso, le formalità assumono un carattere kafkiano, si costringono gli immigrati a lunghe attese all’addiaccio per ottenere un pezzo di carta che dà loro il diritto di essere sfruttati legalmente. Il flusso è interrotto, o va la direzione opposta, quale che sia il costo umano. Per il capitale, il lavoratore è uno strumento come gli altri, da gettare o da rivendere quando non serve più.

In Italia, questi problemi sono aggravati dalla presenza di miriadi di piccole industrie, dove il sindacato non entra neppure con le sue varianti epifaniche concertative. Le esigenze del lavoro sono annegate dalla retorica dei diritti umani, e aggravate dalla presenza di organizzazioni borghesi clandestine, perfettamente funzionali alle esigenze del grande capitale, che vengono ancora definite “malavita organizzata”, come se fossero qualcosa di sostanzialmente estraneo al tessuto sociale. Non hanno più molto a che fare con le vecchie associazioni malavitose, sono imprese del crimine, con tanto di bilancio, fatturato e profitto. Possono pure permettersi di lasciar marcire in carcere qualche esecutore materiale, mentre i veri capi siedono in consigli amministrativi di finanziarie e società per azioni internazionali. Condizionano e ricattano uomini politici, favorendo i più malleabili alle loro esigenze. Il pizzo pagato da commercianti e piccoli industriali è un provento assai secondario, e rappresenta piuttosto una forma di “fidelizzazione impropria”, per ribadire il rispetto supino da parte del “cliente”.

La logica di queste associazioni è ormai la stessa del capitale monopolistico, che ha mille modi, dinamite compresa, per distruggere la concorrenza. Quando lo ritengono necessario, non hanno problemi ad assoldare qualche bravaccio per fare gambizzare un lavoratore immigrato.

Leggiamo spesso cronache di lavoratori e sindacalisti dell’America latina uccisi da bande al servizio di multinazionali della frutta o dell’agricoltura. Possiamo pensare che l’Italia sia un’isola, dove questi fenomeni non accadono? O che accadano solo al sud? Nell’età dell’imperialismo, la sopraffazione, la brutalità, la truffa, la coercizione, l’usura, lo sfruttamento inaudito, la violenza e la guerra non rappresentano l’eccezione, ma la regola. Se vogliamo combatterli, dobbiamo respingere ogni pia illusione sul “paese democratico e civile”, e prendere atto della realtà.

11 gennaio 2009

Note
1) Friedrich Engels, “Antidühring”, Terza sezione, Socialismo, Elementi Teorici.

Michele Basso

Fonte

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