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Lavoro atipico e salute

(21 Giugno 2003)

La ricerca di Eurispes e Ispesl su Incidenti sul lavoro e lavoro atipico mette in chiaro tutto quello che sui contratti di lavoro precari era prima lasciato all'immaginazione o ai racconti individuali: il lavoro atipico è quasi sempre un lavoro infernale, privo di diritti, avaro di salario, più pericoloso di qualsiasi media nazionale ed europea. Quasi sempre subìto, solo in rari casi "scelto". Non appena si varca la soglia d'ingresso e si comincia a lavorare, a prescindere dal tipo e dal luogo di lavoro. Il lavoro atipico - secondo quanto riportano i due centri studi - è infatti inteso dalle imprese come forma occupazionale destrutturante del tradizionale rapporto di lavoro subordinato e dipendente o a rischio di evasione delle normative contrattuali, fiscali e contributive. Nel lavoro interinale, analizzato da una ricerca Asl di Milano, l'indice di frequenza degli incidenti è pari a 92,1 ogni milione di ore lavorate, mentre in settori ad alto rischio come il metalmeccanico "regolare" o il minerario è di 38,1 e del 50,8. Sulla gravità degli infortuni, oltretutto, mancano dati statistici precisi, e una stima può esser dedotta solo dalla durata delle prognosi; ma anche in questo caso si tratta di stime "per difetto", perché nel lavoro interinale accade spesso che la certificazione del trauma coincida con la chiusura del rapporto lavorativo.

Il lavoro atipico è insomma rischioso in sè, anche dal punto di vista psichico. Il 41% dei lavoratori italiani è stressato (in Inghilterra e Germaia lo è il 27%, in Francia il 24, in Spagna il 22). Tra questi sono parte determinante proprio gli atipici. Nell'ordinamento italiano non è stata recepita "la direttiva 91/383 Cee, relativa alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori temporanei". E così, nei primi tre anni del nuovo millennio, "su quattro posti di lavoro addirittura tre sono a tempo determinato o part-time". Una pacchia, per chi il lavoro lo sfrutta.

19 giugno 2003

Centro di documentazione e lotta - Roma

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