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L’impasse della berlusconizzazione francese

(30 Gennaio 2010)

Sono sempre più numerose le voci che denunciano in Francia una vera e propria berlusconizzazione, un processo che, come in Italia, va dall’unificazione delle destre - neofascisti, razzisti e xenofobi compresi - alla messa sotto controllo della televisione pubblica contestuale alle pesanti agevolazioni concesse alla televisione privata, dall’estrema concentrazione e personalizzazione del potere all’applicazione quasi religiosa delle dottrine del neoliberalismo, dal bavaglio alla magistratura all’esautorazione di quel che resta del potere legislativo. Come Berlusconi, Sarkozy è quasi quotidianamente su tutti i giornali, televisioni e radio, dato che buona parte di essi appartengono ai suoi sostenitori o, come la televisione pubblica, sono sottoposti al suo controllo, visto che il presidente di France Télévisions viene nominato direttamente dal presidente della Repubblica.

Mentre i francesi sembrano unanimemente convinti che l’elezione di Sarkozy – come quella di Berlusconi in Italia - non sarebbe stata possibile senza l’uso spregiudicato della televisione, non pochi continuano a pensare che la berlusconizzazione del loro paese sia, piuttosto che una realtà, una tendenza, inorriditi dalla sola ipotesi di mettere sullo stesso piano l’Esagono con lo Stivale, sebbene per alcuni aspetti il processo sia ancora più avanzato. In Francia, infatti, il procuratore può chiudere un’inchiesta se lo ritiene opportuno, dato che l’obbligatorietà dell’azione penale non esiste, le cinque più alte cariche dello Stato sono già al riparo dai tribunali durante il periodo del loro mandato (Chirac è sfuggito alla giustizia per dodici anni), il presidente della Repubblica nomina, come detto, il presidente di France Télévisions e la repubblica presidenziale – con il relativo, drastico ridimensionamento del parlamento - è già da 50 anni una realtà.

Sarkozy apparso su TF1 – la rete privatizzata di proprietà del suo amico Martin Bouygues – per una chiacchierata con una dozzina di cittadini accuratamente selezionati dall’emittente e moderato, in mancanza di un Bruno Vespa, da Jean-Jacques Pernaud, una specie di Emilio Fede locale il cui talento, interamente impegnato a valorizzare la figura del presidente, è oggetto da anni dell’irrisione della quotidiana trasmissione di satira su Canal plus Les Guignols de l’Info, una chiacchierata preceduta da un’intervista con un’avvenente giornalista di corte della stessa rete, specialista come Pernaud nel cirage de pompes, cioè nel lustrare le scarpe presidenziali. La prestazione televisiva del presidente non è stata delle migliori, tuttavia in Francia come in Italia il problema non è tanto né soltanto l’uso della televisione come portavoce del potere, dato che è così da sempre, quanto l’audience, la quantità e la qualità di coloro che sono influenzati dal diluvio di parole dell’onnipresente presidente, con un’opposizione incapace di proporre un progetto di società credibile malgrado la crisi.

Certo che per Sarkozy, arrivato a metà del suo quinquennato, il momento non è dei più facili ed a partire dall’autunno 2009 dà l’impressione di collezionare fiaschi, a cominciare dall’imprudente, tentata nomina di suo figlio Jean alla testa dell’EPAD (Ente Pubblico per la Sistemazione della Défense, che gestirà un progetto immobiliare da 30 miliardi di euro), che ha provocato una levata di scudi non solo da parte dell’opposizione, sdegnata da un nepotismo da basso impero, ma negli stessi ranghi della sua maggioranza, d’abitudine estremamente obbediente. Un’incauta stesura della legge sulle emissioni inquinanti – la taxe carbone – ne ha provocato l’annullamento da parte della Corte Costituzionale, fatto quasi inaudito in un paese dove da molti anni i custodi della Costituziona avevano fatto passare senza reagire ben altre leggi dovute all’attivismo presidenziale e ben altrimenti gravemente lesive delle libertà fondamentali.

E come non ricordare il fallimento della Conferenza di Copenhagen, alla quale Sarkozy si era recato sottolineando rumorosamente l’importanza della sua partecipazione, che avrebbe ottenuto grandi risultati dato il suo ascendente sulla signora Merkel, la sua amicizia con Gordon Brown, le sue capacità diplomatiche in grado superare le difficoltà poste dagli interessi statunitensi e da quelli cinesi, salvo tornare a casa con le pive nel sacco ? Infine, dopo essersi fatto soffiare la vendita di centrali nucleari ad Abu Dhabi dai rappresentanti della Corea del sud, meno mediatici ma decisamente più efficaci, il superpresidente è incappato nell’ennesimo flop: il suo amico e sostenitore Henry Proglio, neonominato presidente di EDF, avrebbe cumulato il salario di due imprese, una pubblica ed una privata (è presidente-amministratore delegato di Veolia Environnement, ex Compagnie générale des Eaux), per un totale di modesti 2 milioni di euro (egli ha dichiarato nel frattempo che si accontenterà degli 1,6 milioni di stipendio di EDF) in una Francia dove i licenziamenti nel 2009 sono stati centinaia di migliaia e dove si riducono i salari reali di quelli che hanno la fortuna di non aver ancora perso il lavoro, mentre il presidente martella da mesi che i padroni e i traders guadagnano troppo.

L’incoerenza dell’uomo che aveva vinto le elezioni presidenziali promettendo ai francesi che avrebbero potuto lavorare di più per guadagnare di più, mentre lavoro e guadagno diminuiscono, che pretende di dar lezioni di austerità festeggiando i suoi successi da Fouquet’s o veleggiando sui panfili degli amici, che spiega agli studenti: « ormai quel che conta in Francia per riuscire non è la nascita ma il duro lavoro e la capacità di dar prova, con gli studi ed il lavoro, del proprio valore », sembra indiscutibile. La sfasatura fra quel che Sarkozy dice e quello che Sarkozy fa aumenta : le promesse della campagna elettorale sull’aumento del potere d’acquisto sono durate lo spazio di qualche mese, le dichiarazioni – nel pieno della crisi – sulla necessità di uno Stato forte fanno a pugni con la riduzione dei dipendenti e delle risorse a disposizione della funzione pubblica in ogni settore, dalla scuola agli ospedali, dall’amministrazione ai trasporti. Nelle ultime sortite Sarkozy ha cambiato tono, è stato meno virulento del solito, ma non ha convinto. Effetto della ripetizione, della contradditorietà dei suoi discorsi, della stanchezza di cittadini che sembrano averne finalmente abbastanza della sua inesauribile sceneggiata coscienziosamente ripresa dalle televisioni ed al riparo dal pubblico vero, quello dei francesi che ne hanno piene le tasche di populismo e demagogia ?

Le elezioni regionali di metà marzo daranno, forse, indicazioni più precise : già fra i due turni delle presidenziali del 2007 Eric Besson, ex socialista, dal 2009 ministro dell’Immigrazione, dell’Integrazione, dell’Identità nazionale e dello Sviluppo solidale, aveva esclamato a Digione « Forza, Nicolas ».

Giustiniano Rossi

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