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Ammortizzatori sociali per pochi, Italia tra gli ultimi in Ue

(2 Febbraio 2010)

L’anno nuovo non inizia con prospettive incoraggianti per il mondo del lavoro. Lo confermano i dati Istat pubblicati a fine gennaio e che riguardano il mese di dicembre 2009. Il tasso di disoccupazione è salito all'8,5%, il dato peggiore dal gennaio 2004. A dicembre sono stati persi 306 mila posti di lavoro e il numero di persone in cerca di occupazione risulta pari a 2 milioni 138 mila unità, in crescita del 2,7% rispetto al mese precedente e del 22,4% rispetto al dicembre 2008.

Utilizzando il vecchio sistema del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, qualcuno ha sottolineato che, pur nella gravità del dato, l’Italia reagisce meglio degli altri Paesi della zona euro. Qui infatti il tasso di disoccupazione rilevato a dicembre è pari al 10%, in crescita di un decimo rispetto a novembre. In termini assoluti, nell'intera Unione europea a dicembre risultavano senza lavoro oltre 23 milioni di persone, 15,7 dei quali nei Paesi aderenti al sistema della moneta unica. Purtroppo per chi è disoccupato, in queste analisi dove i numeri vengono stirati e interpretati a comando, spesso ci si dimentica di completare il raffronto e si evita di parlare degli ammortizzatori sociali, cioè di quelle misure di sostegno al reddito finalizzate ad evitare che i lavoratori, che nella normalità dei casi traggono dall'attività il sostentamento per sé e per le proprie famiglie, rimangano privi di retribuzione. Se si equiparassero anche i dati di accesso agli ammortizzatori sociali si vedrebbe come il quadro non sia poi tanto positivo. In Italia l’ultimo monitoraggio effettuato dal Ministero del Lavoro, stima che gli ammortizzatori sociali coprano non più del 30% dei disoccupati con sussidi di varia natura. E gli altri? Si arrangino da soli verrebbe da pensare e purtroppo la nostra realtà è proprio questa. Per una larga fetta di disoccupati, oltre al problema sociale e psicologico di rimanere senza lavoro, c’è anche la condanna di non poter accedere a nessuna forma, neanche minima, di sostegno. Il caso Alitalia in questo senso è stato emblematico: nell’ambito di una ristrutturazione che ha coinvolto una grossa azienda di Stato, sono stati concessi ammortizzatori molto forti ed estesi; di contro per migliaia di lavoratori precari o fuoriusciti da piccole e medie imprese c’è invece la solitudine e la mancanza totale di assistenza. Il tanto citato (quando fa comodo) raffronto con l’Europa in questo caso è impietoso. Stando ai dati Ue, gli ammortizzatori sociali in Svezia e negli altri paesi scandinavi coprono oltre il 70% dei senza lavoro; la Francia arriva al 60%, il Belgio al 50%, la Germania al 45%. L’Italia è agli ultimi posti assieme a Grecia e Bulgaria. Ecco quindi che l’ottimistico dato della minor disoccupazione rispetto alla media europea viene miseramente a sgonfiarsi, in quanto in Italia spesso la perdita del lavoro, proprio per mancanza di misure di sostegno, rischia di sfociare in una caduta libera verso la povertà.

Anche il dato della spesa per gli ammortizzatori sociali è sconfortante: rispetto al Pil l’Italia spende circa la metà degli altri paesi europei. A completare il quadro ci sono i raffronti con gli importi erogati anch’essi assolutamente sotto la media europea. Prendiamo per esempio l’indennità di disoccupazione ordinaria: essa viene erogata per 8 mesi (12 per coloro che hanno superato i 50 anni di età), la retribuzione corrisposta è pari al 60% per i primi 6 mesi, al 50% per il settimo e l’ottavo mese e al 40% per i mesi successivi. In Danimarca si arriva al 90% per un periodo di 48 mesi; in Olanda al 75% per un periodo che può arrivare addirittura a 5 anni. In Germania e Francia dove si eroga come in Italia il 60% si arriva rispettivamente a 32 e 42 mesi. Oltretutto va anche considerato che in Italia tra coloro che perdono il lavoro, solo il 25% lo ritrova entro i primi sei mesi, per gli altri le attese oltrepassano anche l’anno con esiti ovviamente disastrosi sotto tutti i punti di vista. Sul tema ammortizzatori sociali in Italia siamo molto indietro: Cassa Integrazione, Mobilità e Sussidio di disoccupazione sono gli unici strumenti, riservati a poche categorie per fronteggiare lo stato di disoccupazione. Visto che l’Europa viene sempre citata, incidentalmente notiamo che in Francia per esempio, esistono sei diverse tipologie di ammortizzatori sociali: l’indennità di disoccupazione, il sussidio di disoccupazione, l’indennità di prepensionamento, il reddito minimo di inserimento, il reddito minimo di attività e l’indennità equivalente alla pensione. E se questo non bastasse, ad aggravare il quadro ci si potrebbero aggiungere anche le inesistenti politiche italiane di formazione e placement, che lasciano chi ha perso il lavoro nella più completa solitudine, costretto a rivolgersi ad amici e conoscenti invece che a reti strutturate di orientamento e ricollocazione.

È chiaro che il dato sulla disoccupazione non può essere visto solo come un semplice elemento numerico da comparare e strizzare a seconda delle esigenze. Esiste un problema di natura sociale che va affrontato e di cui non si possono ignorare i disastrosi effetti di disgregazione che sta creando. Intere famiglie si trovano improvvisamente ad affrontare situazioni di emergenza senza avere nessun sostegno né economico, né di supporto alla ricollocazione.

In Italia non si è ancora riusciti ad aprire un dibattito politico sereno e costruttivo sull’introduzione di politiche di sostegno estese a tutti. Ogni volta che si tenta di affrontare il discorso vengono subito tirate in ballo parole tabù come “peso del debito pubblico” o “assistenzialismo” che chiudono qualsiasi spiraglio di discussione. Fino a quando però si continuerà a ignorare la realtà? È possibile che sia considerato normale che, dall’oggi al domani, chi ha perso il lavoro si ritrovi a dover sostenere tutti i “doveri sociali” (mutui, affitti, bollette, sussistenza sanitaria, scolastica etc..) senza nessun diritto di sostegno? È forse “assistenzialismo” sostenere intere famiglie ad affrontare dignitosamente queste situazioni? È forse “assistenzialismo permettere a un giovane di progettare un futuro, sapendo che nella pur deprecata precarietà ci sono comunque forme di reddito che non siano sempre la pensione o i risparmi del genitore? O forse si vuole continuare a pensare anche alle politiche sociali come un serbatoio di clientelismo riservato a pochi? Aspettiamo risposte istituzionali e politiche non più differibili, anche per una questione di stabilità del tessuto sociale che diventa sempre più urgente. Nel frattempo ai disoccupati senza protezione non resta che cercare qualche tetto libero su cui arrampicarsi per avere un po’di visibilità: anche qui però ultimamente lo spazio comincia ad essere affollato.

Lunedì 01 Febbraio 2010

L'autore è Sociologo Operatore di orientamento e Placement per l’Università Roma Tre. Consigliere Nazionale dell’ass.ne Atdal Over 40, che si occupa della disoccupazione in età matura. Autore del saggio “Non ho l’età” una ricerca sul fenomeno stesso.

Stefano Giusti

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