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(20 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Continua la guerra mediatica (e non solo mediatica) all'Iran

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Iran, un terrore per due

(2 Febbraio 2010)

A pochi giorni dal 31° anniversario della Rivoluzione Islamica l’opposizione contraria agli ayatollah fa sapere che riempirà di nuovo le strade per costringere Ahmadinejad a dimettersi. Ma la Guida Suprema Khamenei ha tuonato che le forze di sicurezza torneranno a usare la mano pesante contro i disordini e, in un’apparizione televisiva, ha nuovamente accusato talune potenze occidentali di fomentare scontri. In forma apertamente dissuasiva il governo clericale ha fatto di più impiccando due oppositori accusati di avere partecipato ai tumulti dei mesi scorsi. I due - Arash Rahmanpur e Mohammad Ali Zamani - non erano manifestanti qualsiasi ma rispettivamente attivisti del movimento monarchico e dei Mujahedin del Popolo, ai tempi di Khomeini la maggiore forza d’opposizione al sistema del velayat-e faqih. In un Paese dove la pena di morte è prevista per legge e le esecuzioni capitali proseguono, le due recenti impiccagioni dovrebbero costituire una cruda e crudele normalità. Eppure nel cinismo di quei tribunali non è così, il monito del gesto estremo appare nella sua duplice funzione che ha un comune denominatore: la paura. Gli ayatollah conservatori come Ahmad Jannati (nella predica dello scorso venerdì ha invocato la punizione estrema per i mohareb, i nemici di Dio) che dettano tempi e modi al presidente pasdaran vogliono ormai terrorizzare il movimento.

Un’onda di protesta che quest’estate vedeva nelle piazze moltissime donne, alcune assai giovani come la studentessa Neda diventata simbolo della repressione, appartenenti a ceti medi e medio-alti apertamente sostenitrici dell’Occidente. Componente sostenuta da fuoriusciti ora a Los Angeles dotata di trasmissioni televisive in lingua farsi per propagandare l’opposizione al regime. Nei giorni dell’Ashura la protesta ha cambiato volto trasformando le vie in campi di battaglia, finora con molotov e spranghe, ma potrebbe anche scivolare verso uno scontro armato che cambierebbe il volto alla protesta, limitando partecipazioni spontanee e disorganizzate. Perciò il governo sceglie la linea feroce della morte inflitta non solo in piazza dai corpi della repressione ma a freddo con esecuzioni rivolte non a ladri o stupratori ma a prigionieri politici. Una mossa che incute terrore, praticata da chi inizia ad aver terrore. Quei corpi di oppositori che pendono dalle gru non sono uguali ad altri, e non perché inumanamente gli individui non siano eguali, quelle vittime rappresentano per gli oppositori di Khamenei un confine, che altre generazioni della Repubblica Islamica hanno già conosciuto trent’anni or sono quando lo scontro fra fazioni è stato elevatissimo e spietato. L’Iran può tornare a essere teatro d’una lotta interna senza esclusione di colpi, e lì occorrerà ben altro della gioiosa partecipazione all’onda verde.

31 gennaio 2010

Enrico Campofreda

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