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Italia: il latifondismo nell'informazione

(3 Febbraio 2010)

In Italia, da quando il Signor Silvio Berlusconi decise di scendere in politica, una quindicina di anni fa, si parla di conflitto di interesse. In realtà il problema è un altro: il latifondismo esistente nel settore dell’informazione. Parlare del conflitto di interesse serve solo a sviare l’opinione pubblica dal vero problema.

Latifondo, dal latino latus che significa ampio e fundus podere, è un termine che si riferisce specificatamente al settore agricolo per indicare un terreno di grandi dimensioni.

E’ un tipico sistema dell’Ancien régime che in Europa venne progressivamente superato fra il XVIII ed il XIX secolo, grazie alla diffusione del capitalismo. Il latifondismo, però resistette nelle zone perifiriche più arretrate dell’Europa, come in Italia, fino alla metà del XX secolo. Infatti, ancora dopo la seconda guerra mondiale, in Italia tale sistema feudale era così diffuso che, ad esempio la famiglia Torlonia nella Piana del Fucino possedeva estensioni di terreno per 140 kmq, oppure in Sicilia un quinto di tutti i terreni agricoli erano nelle mani di meno di 300 latifondisti (1).

Con la riforma agraria del 1950, il latifondismo è abolito anche in Italia, introducendo la norma che proibisce ad una persona di accumulare terreni agricoli per oltre 300 ettari, equivalenti a 3 kmq (2).

Tale termine, nato dunque per il settore agricolo è progressivamente caduto in disuso. Oggi, però il termine latifondismo deve essere riconsiderato ed applicato ad un altro settore, ossia a quello dell’informazione, prioritario nella attuale società, come era prioritario il settore agricolo nelle società preindustriali.

Infatti, nell’attuale sistema l’informazione ha una funzione primaria, non meno importante di quella che svolgeva una volta l’agricoltura. E purtoppo, soprattutto nelle aree periferche dell’Europa, dove si colloca ancora una volta l’Italia, nel settore dell’informazione esistono grandi latifondismi, arrivando al caso limite in cui una sola persona, o se si vuole una sola famiglia, o una sola impresa, accentra grandi estensioni non di terreno ma di frequenze televisive, radiofoniche, mezzi di informazione ed attività connesse, come la raccolta pubblicitaria. Ovviamente ci riferiamo esplicitamente al signor Berlusconi, che non a caso è anche capo del Governo italiano.

La questione non va inquadrata semplicemente nel problema del conflitto di interesse, essendo il Berlusconi suddetto proprietario di mezzi informativi, soprattutto televisivi, ed al contempo capo del governo.

La questione è più complessa di quello che sembra e va risolta a monte. Anche se si riuscisse a risolvere il problema del conflitto d’interesse, ad esempio con la proibizione per il propietario di mezzi di informazione di poter incursionare in politica (la nostra è solamente una ipotesi che ben potrebbe trovare applicazione), rimarrebbe il problema del latifondismo nel settore dell’informazione. Ossia, il problema vero da risolvere non riguarda il conflitto di interesse che scaturisce nel caso in cui un proprietario di mezzi informativi incursiona in politica. Il vero problema è dovuto al fatto che una sola persona accentri nelle sue mani grandi proprietà di mezzi informativi, trasformandosi in un latifondista dell'informazione.

A parte l’illegalità che un latifondista dell’informazione possa diventare capo del governo, cosa che si verifica solamente in un paese arretrato e periferico come l’Italia, la vera questione da risolvere è dunque il latifondismo, che va urgentemente scardinato per il bene dell’Italia. Non è possibile che un signor Berlusconi sia detentore della maggiore parte delle TV a carattere nazionale, oltre ad una infinità di attività connesse con il mondo dell’informazione e della cultura (quotidiani, periodici, agenzie di pubblicità, telefonia, tipografie, produzione e distribuzione di film …).
Dunque, prima ancora del problema del conflitto di interesse tra proprietari dei mezzi di informazione e attività politica va affrontato il problema del latifondismo, ossia (e ci ripetiamo) impedire che una persona, o una famiglia, o una impresa accentri nelle proprie mani grandi proprietà nel settore dell’informazione.

Per impedire il latifondismo nel settore informativo, parlando da un punto pratico, innanzitutto vanno stabilite quote ben precise, ossia fin dove si può arrivare ad essere proprietari, esattamente come si è fatto per il settore agricolo, dove è proibito avere estensioni di terreno superiori a 300 ettari; oltre tale limite si è considerati latifondisti.

Sarebbe, duqnue prima di tutto utile prevedere una equa divisione al 33% fra i tre settori del pubblico, del privato e del locale. Ossia, pensiamo che sia una buona regola che, ad esempio le frequenze televisive (ma il principio dovrebbe valere per qualsiasi altro settore, dai quotidiani, ai periodici, alle agenzie per la raccolta pubblicitaria, ecc.) vadano equamente divise in tre parti, riservando un terzo allo Stato, un terzo ai privati che operano a livello nazionale ed un terzo ai privati che operano a livello comunitario, intendendo per comunitario coloro che operano a livello di una comunità ristretta, tipo un quartiere, o un comune, o una provincia o una regione; al massimo tale tipo di proprietà non può andare oltre un certo numero di regioni, ad esempio due. La nostra è ovviamente solo un’idea, perché ben potrebbe adattarsi altro criterio, tipo quello popolazionale, ad esempio una TV locale si considera tale se raggiunge fino ad un decimo (6 milioni) della popolazione totale italiana; oltre il limite prefissato, nell’esempio oltre le due regioni oppure oltre i 6 milioni di abitanti tale operatore rientrerebbe tra quel terzo di operatori privati a livello nazionale.

Una volta stabilito il criterio di riservare un terzo allo Stato, un terzo ai privati che operano a livello nazionale ed un terzo ai privati che operano a livello comunitario, è necessario stabilire un’altra importante regola: un operatore privato non dovrebbe poter sconfinare in settori differenti, tipo TV e giornali; se opera nel settore della Tv non può sconfinare nel settore della stampa quotidiana o periodica.

Parimenti è fondamentale regolare anche il settore della raccolta pubblicitaria, impedendo che una sola agenzia raccolga pubblicità per oltre un certo numero di operatori a livello nazionale e/o locale; per esempio potrebbe stabilirsi che una’agenzia possa raccogliere la pubblicità per conto di due operatori nazionali (ad esempio una TV e un quotidiano nazionale) ed un certo numero di operatori locali. Solo impedendo che anche in questo settore si crei latifondismo si può garantire il pluralismo nell’informazione. Del contrario a niente serve stabilire regole che impediscano di accentrare la proprietà dei mezzi informativi in una sola persona, se poi tutti gli operatori dovessero ricorrere ad una sola agenzia per la raccolta degli spazi pubblicitari: potrebbero facilmente essere condizionati nella politica editoriale.

Un’ultima annotazione riguardante le frequenze, bene pubblico e limitato: il propietario di tale bene limitato, le frequenze, sia radiofoniche, che televisive, che telefoniche è e rimane lo Stato e la concessione deve essere stipulata mediante contratto a tempo determinato, rinnovabile, ma che non può andare oltre una certa durata, ad esempio quinquennale, o decennale, o ventennale. Per consentire la pluralità non è possibile avere concessioni vitalizie. Allo scadere del contratto, se non intervengono necessità nuove per lo Stato, proprietario delle frequenze, la concessione si può rinnovare, sempre e quando siano state rispettate le regole; una concessione dovrebbe sempre poter essere revocata, ovviamente non in modo arbitrario, ma nel caso di violazione di regole e principi stabiliti.

Ci piacerebbe sapere quando scadono le concessioni a Canale 5 e a tutte le altre TV e Radio, nazionali e locali, oppure se sono concessioni vitalizie. Dove sono i contratti? Su quali basi sono stati stipulati tali contratti? Le frequenze sono ovunque un bene pubblico inalienabile, pertanto non possono esistere concessioni vitalizie. Quando scadono i contratti di concessione di utilizzo delle frequenze al Signor Berlusconi e a tutte le altre TV e radio italiane, nazionali e locali?

In conclusione, il problema vero non è il conflitto d’interesse tra detentori dei mezzi d’informazione e svolgimento dell’attività politica, problema che si pone solamente perché esiste il latifondismo nel settore dell’informazione. Se non ci fosse il latifondismo, non esisterebbe neppure il problema del conflitto d’interesse. Un operatore del settore dell’informazione, quantunque proprietario di un mezzo informativo a livello nazionale, non sarebbe in grado di condizionare l’intero settore informativo, se operasse congiuntamente a tanti altri attori; non rappresenterebbe quindi, un pericolo per la manipolazione dell’informazione e dunque non si presenterebbe il problema del conflitto d’interesse. E’ quindi inappropriato parlare di conflitto di interesse e risoluzione di tale problema. Il problema vero è superare il latifondismo esistente in Italia nel settore dell’informazione. Solo impedendo il latifondismo è possibile assicurare una certa pluralità dell’informazione.

Caracas 24/01/2010

fonte: http://www.folliero.it


Note

(1) Fonte: wikipedia, indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Latifondismo

(2) Fonte: Pag 108 del libro Studi sul Mezzogiorno repubblicano: storia politica ed analisi, Di Luca Bussotti, Rubbettino Editore srl, 2003.

Attilio Folliero

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