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Ci facciamo un Tonchino?

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    Iran, un’economia oltre le sanzioni

    (10 Febbraio 2010)

    Il braccio di ferro sul nucleare fra l’Occidente e la Repubblica Islamica Iraniana può avere scenari conflittuali su più terreni a breve e medio termine. Mettendo per ora in un angolo, ma non escludendola, l’ipotesi di un ennesimo intervento militare delle forze Nato nel Grande Medio Oriente, si può osservare con maggiore realismo la minaccia delle sanzioni economiche che possono incrinare i rapporti interni di quella nazione. Un embargo può preoccupare l’Iran, che nell’ultimo anno ha riscontrato un pericoloso arresto di crescita dopo un trend positivo che durava dal 2001, però potrebbe non essere così drammatico se la cerchia dei sanzionatori rimarrà ristretta. Il Pil iraniano, che nel 2003 e 2007 aveva toccato punte superiori a una crescita del 7% ha avuto nel primo semestre del 2009 una brusca frenata attestandosi attorno allo 0.5%. Responsabile l’effetto della crisi globale e soprattutto la diminuzione del prezzo del greggio che assicura all’economia interna l’85% degli introiti delle esportazioni, quella che nel biennio 2007-08 aveva consentito di ampliare le riserve valutarie da 61 a 82 miliardi di dollari.

    Con la cura Rafsanjani proseguita da Khatami, l’economia nazionale aveva creato nuove chances proprio alla sua punta di diamante che è il mercato petrolifero: l’Iran è quarto produttore mondiale di greggio con 4,2 milioni di barili al giorno che nel 2015 dovrebbero diventare 5 milioni, è secondo dopo l’Arabia Saudita per riserve accertate e anche il quarto esportatore al mondo d’oro nero. La “cura” introduceva sistemi contrattuali come il buy-back, che richiede ai partner stranieri in cambio di pagamenti in natura di provvedere a finanziamenti ed esecuzioni di lavori strutturali, che ad esempio tornavano utili per acquisire la tecnologia della raffinazione. Infatti l’Iran vanta il paradossale record di secondo importatore mondiale di benzina (Vitol, Total, BP e l’indiana Reliance le fornitrici) che nel 2007 ha gravato per 6 miliardi di dollari nel bilancio statale. La National Iranian Oil Company, nata negli anni Novanta, assieme a partner cinesi sta ultimamente creando dieci impianti di raffinazione il cui completamento è previsto nel 2012 (per il Darquin c’è anche l’Eni) proprio per ridurre l’amplissimo deficit della raffinazione interna.

    La benzina ha avuto negli ultimi due anni un’impennata di consumi, complice lo sviluppo d’un mercato di auto (Iran Khodro è il marchio nazionale) che nel 2007 ha superato il mezzo milione di unità prodotte, di cui 22.500 esportate. L’altra immensa risorsa, sfruttata ancora pochissimo, è la riserva mondiale di metano (quasi un milione di miliardi di metri cubi) succube anch’essa della tecnologia perché in mancanza di gasdotti il prodotto per l’esportazione dev’essere liquefatto e trasportato via mare. Il Paese non può rischiare la paralisi per blocchi tecnologici dovuti alle sanzioni perciò ha diversificato il rifornimento energetico anche verso il termoelettrico e il nucleare, quest’ultimo naturalmente ha anche una componente strategico-militare per l’egemonia regionale. Finora i commerci iraniani hanno visto flessioni unicamente sui mercati statunitense e canadese, nazioni che dal 2002 in linea con la politica guerrafondaia di Bush nell’area mediorientale, hanno dimezzato e gradualmente ridotto un import-export che nel 1997 s’aggirava sui 9 miliardi di dollari. A tutt’oggi sono gli unici veri applicatori di sanzioni avendo ridotto nel 2007 a circa un miliardo di dollari i propri commerci con Teheran.

    Nonostante la risoluzione Onu 1747 del 2007 – per la quale diversi governi hanno predisposto misure restrittive - Italia, Germania, Francia hanno mantenuto fino al 2008 rispettivamente oltre 6.ooo, 4.447 e 4.169 milioni di euro di valori commerciali. Per quanto ci riguarda con grandi gruppi come Eni, Edison, Tecnimont, Ansaldo, Fiat, Fata. Le flessioni dei partner europei dell’Iran sono iniziate nel 2009. Bisognerà capire quanto l’ulteriore ridimensionamento potrà diventare un boomerang per i reciproci bisogni di mercato. Finora chi non ha mostrato alcuna intenzione di seguire la strada del disinvestimento è la coppia di Russia e Cina che dialoga a corrente alternata coi controllori del nucleare (Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia). Proprio attorno all’enorme business del metano la russa Gazprom, le cinesi Sinopec e China Petroleum & Chemical Corporation, si preparerebbero a sostituire Total, Shell e altre aziende europee e statunitensi in procinto di dismettere l’assistenza tecnica per il mercato del Gpl e per la re-inezione di gas nei giacimenti petroliferi al fine di mantenerne la capacità d’estrazione.

    Di metano s’interessa anche l’Indian Oil Company e la nazione indiana bisognosa d’energia, che negli ultimi anni ha accresciuto le importazioni sul mercato iraniano sino a 4 miliardi di dollari, è come la Cina ben lontana da condizioni di subordinazione ai desideri della Casa Bianca. Il pericolo che il fronte delle sanzioni rimanga ristretto ai fedelissimi alleati di Washington è reale. L’Ue dietro le volontà di Germania, Francia, Italia potrebbe compiere una generale levata di scudi anti ayatollah, ma l’effetto rimbalzo su alcuni rami economici sarebbe inevitabile e magari ridurrebbe le smanie degli intransigenti. Certo la macroeconomia iraniana deve fronteggiare un’inflazione del 25%, una disoccupazione dichiarata attorno all’11% che raggiunge percentuali anche triple in una popolazione formata al 70% da giovani sotto i trent’anni, e poi tassi d’interesse del 12% che non favoriscono l’incremento dei bazari. E fare i conti con la scarsa efficienza del sistema bancario e una Banca Centrale che soffre le interferenze politiche. Immagini dei volti del Paese sospeso fra tradizione e mercato non sono solo la folla eccitata dalla predica politica del venerdì e i desideri warholiani di taluni artisti.

    Si leggono nell’economia che ha ancora alcuni punti fermi nei 12 milioni di ettari di terreno coltivabile di cui la metà è irrigata e produce l’80% del fabbisogno alimentare interno, un’agricoltura per il 92% in mani private solo col 5% di cooperative agricole. En in un mercato della comunicazione in piena corsa con 23 milioni di linee fisse e le mobili che nel 2009 hanno effettuato il sorpasso, 76.500 km di fibre ottiche, oltre 10 milioni di pc. Il programma denominato Tafka prevede lo sviluppo del settore fino al 2025 con attivazioni di e-commerce, e-government, e-banche. I collegamenti Internet viaggiano sull’asse Trans Asia Europa, le comunicazioni satellitari usano i vettori Intelstat e Immarsat, tecnologie americane e britanniche che nei mesi scorsi hanno permesso ai contestatori di comunicare con l’ovest. Eppure il mercato a cui tengono ormai tutti, oppositori verdi e l’intero clero che ha appreso la lezione di Rafsanjani, non è detto che continuerà a parlare con l’inflessione di Wall Street. I capitalismi d’Oriente potrebbero offrire all’Iran un insperato salvagente dalle sanzioni.

    da “Terra”

    Enrico Campofreda

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